“Una nuova partnership politica che superi il tradizionale rapporto di donatore e ricevente, basata sui comuni valori e obiettivi della ricerca della pace, stabilità, stato di diritto, democrazia, progresso e sviluppo”.
Era questa in sintesi la dichiarazione d’intenti siglata da 53 capi di stato africani e 27 europei al termine del secondo vertice Europa-Africa, tenuto a Lisbona l’8 e il 9 dicembre 2007. Un abbraccio ideale tra i due continenti che suonava anche come una risposta compatta alla crescente influenza della Cina in Africa, in particolare per quanto riguarda i temi economici.
Una nuova politica d’intervento, dunque, sulla scia dello slogan “Non più una politica per l’Africa ma una politica con l’Africa” che vede l’Europa apparentemente decisa a smettere i panni del donatore per inseguire un rapporto di partnership da pari a pari.
Nella politica di aiuti messa in atto dall’Unione Europea è bene distinguere, a questo proposito, tra due tipi di aiuti diversi per tipologia, destinazione e durata degli stessi, ovvero aiuti allo sviluppo, finanziamenti di medio lungo-periodo erogati dal Fondo Europeo di Sviluppo, ed aiuti umanitari, interventi di breve periodo gestiti dal European Commission Humanitarian Aid.
Fin dalla sua creazione, nel 1992, l’attività di quest’ultima (il cui acronimo è Echo) riflette la proliferazione di gravi emergenze in tutto il mondo e la volontà dell’Unione di svolgere un ruolo di primo piano nella fornitura di attrezzature essenziali e di aiuto specialistico alle vittime.
L’intervento umanitario dell’Unione si avvale di tre strumenti principali: l’aiuto di emergenza, l’aiuto alimentare e l’aiuto ai profughi fuggiti dalle zone di guerra e agli sfollati all’interno di un paese o di una regione in guerra.
Ultimamente il bilancio medio annuale ha superato i 600 milioni di euro, di cui il 75% va all’Africa e all’Asia.
Echo ritiene che il suo compito principale sia l’assistenza alle vittime di catastrofi: contribuire a salvare e proteggere vite umane, ridurre le sofferenze e tutelare l’integrità e la dignità di quanti sono coinvolti.
L’intervento di emergenza può comprendere la fornitura di tende, coperte e altri generi di prima necessità, quali cibo, medicinali, attrezzature mediche, sistemi di depurazione dell’acqua e combustibili. Echo finanzia inoltre squadre mediche, esperti in sminamento e fornisce sostegno nel campo dei trasporti e della logistica.
Essa provvede pertanto al finanziamento e al coordinamento delle operazioni, mentre per la fornitura di cibo e di attrezzature e per la realizzazione dei programmi di emergenza si affida ai partner del settore umanitario: organizzazioni non governative (Ong), le agenzie specializzate dell’Onu e la Croce Rossa Internazionale
Nel 2007, attraverso gli interventi finanziati dalla direzione generale per gli Aiuti umanitari, la Commissione ha stanziato 768,5 milioni di euro per l’aiuto umanitario.
In Africa gli interventi più consistenti ed importanti hanno riguardato il: Sudan (110 milioni di euro), per soddisfare le esigenze umanitarie (compreso il fabbisogno alimentare) dovute alla situazione di conflitto, alle calamità naturali e alle epidemie che colpiscono il paese; la Repubblica democratica del Congo (50 milioni di euro), per garantire un servizio sanitario di base alla popolazione e prestare assistenza a sfollati e rifugiati, concentrando gli interventi sulle persone più vulnerabili (donne e bambini); il Ciad (30,5 milioni di euro), per assistere i rifugiati, gli sfollati e la popolazione locale più vulnerabile.
Le origini della politica di aiuto allo sviluppo risalgono alla convenzione di Lomè, firmata nella capitale del Togo nel febbraio del 1975 che è stata per venticinque anni lo strumento di gestione dei rapporti politici, economici e di cooperazione allo sviluppo tra i paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico) e l’Unione Europea.
La Convenzione di Lomé era stata firmata in un momento storico in cui l’attenzione della comunità internazionale era concentrata sulla creazione di un nuovo ordine economico mondiale, basato sulle preferenze commerciali non reciproche, che avrebbe permesso ai paesi più poveri del mondo di uscire dal sottosviluppo.
La Comunià europea ha stipulato un accordo cn 69 paesi africani, dei Caraibi e del Pacifico, firmatar della convenzione di Lomè; prevedeva una zona di libero scambio riguardo determinati prdotti e l’istituzione del Fondo Europeo di Sviluppo (FES) destinato a favorire il decollo economico dei Paesi associati.
Poiché queste disposizioni sono in contrasto con i pricìpi liberisti del WTO, a cui tutti questi paesi aderiscono, le parti hanno dovuto rinegoziare gli accordi. È nato così l’Accordo di Partenariato ACP/UE, firmato nel 2000 e valido per venti anni. La cosiddetta Convenzione di Cotonou, sancita nella Capitale del Benin il 23 giugno 2000, prende a tutti gli effetti il posto della convenzione di Lomè, suscitando non poche critiche specie per l’adeguamento ai principi economici liberisti portati avanti dall’Organizzazione Mondiale del Commercio.
L’aspetto senza dubbio più interessante della politica di aiuto allo sviluppo europeo è l’istituzione del FES che è, appunto, il principale strumento di aiuto e finanziamento alla cooperazione con i Paesi in via di sviluppo.
Il FES finanzia ogni tipo di progetti o programmi che contribuiscono allo sviluppo economico, sociale o culturale dei paesi interessati. Esso si compone di diversi strumenti, in particolare gli aiuti non rimborsabili, i capitali di rischio e i prestiti al settore privato.
Tra i settori d’intervento figurano protezione, salute e alimentazione/nutrizione, nonché iniziative nei settori idrico e igienico-sanitario, dell’istruzione di base ecc.Con 17 miliardi di euro di aiuti allo sviluppo, che dovrebbero diventare 29 nel 2010, l’Europa eroga oltre il quadruplo degli Stati Uniti (3,5), tredici volte di quanto dà il Giappone (1,3), quasi venti volte più dei 900 milioni della Cina. Nel commercio è il primo partner con il 32% e un deficit di 35 miliardi di euro, seguono gli Stati Uniti con il 29% e la Cina con il 27%. Per quanto riguarda gli investimenti diretti nel 2005 l’Ue a 15 ha totalizzato 17 miliardi contro i poco meno di 2 miliardi di Usa e i 17 milioni del Giappone. Tanto, dunque, è stato fatto e si sta facendo ma si può, si deve, fare di più per l’Africa.
Perché le citazioni riportate all’apertura di questo articolo non rimangano solo mere dichiarazioni d’intenti, soltanto belle parole destinate a giacere morte ed inapplicate nei polverosi scaffali degli uffici europei di Bruxelles.
Una politica di sviluppo efficace e duratura non può e non deve prescindere da un sempre più stretto e consapevole coinvolgimento dell’Africa nelle politiche economiche e nei circuiti internazionali che contano, abbandonando una volta per tutte la politica di assistenzialismo che è alla base del circolo vizioso del sottosviluppo.
Bisogna soprattutto istruire e formare i cittadini africani perché diventino loro i veri protagonisti di questo sviluppo economico e sociale delle loro nazioni, senza più essere spettatori inermi di uno scempio continuo ed indiscriminato di risorse e materie prime.
Gli aiuti umanitari ed assistenzialistici non bastano più, occorre quel salto di qualità che consenta agli africani di progettare il loro futuro nel lungo periodo, occorrono infrastrutture civili, scuole, strade, ospedali, centri di formazione che forniscano quei “pre-requisiti” fondamentali per qualsiasi tipo di sviluppo sociale ed economico.
La tigre cinese è in agguato anche sul “continente nero” ma, forse, non era la stessa saggezza popolare cinese che affermava “non dare il pesce, insegna a pescare”?
Di Isidoro Malvarosa
Foto di Tiongacre