Intervista a Christian Carmosino autore del documentario Barefoot Revolution. E’ tornato recentemente a Roma dopo aver vissuto i giorni del fallito colpo di stato tentato dagli uomini dell’ex presidente, Blaise Compaoré, defenestrato dalle manifestazioni popolari dell’ottobre 2014. Qui ci racconta com’è nato il suo documentario e le sue esperienze nel paese di Thomas Sankara.
Come è nata l’idea del documentario in Burkina Faso nei giorni della rivoluzione?
È nata per caso. Mi trovavo lì per fare un documentario sulla cooperazione tra Italia e Burkina Faso, un progetto dell’università di Roma Tre e l’università di
Ouagadougou insieme ad altre università africane.
Dopo pochi giorni sono iniziate le manifestazioni. Ho dovuto interrompere le riprese del documentario perché avevano chiuso tutti gli uffici pubblici inclusa l’università dove lavoravamo. Non sapendo cosa fare ho chiesto al mio assistente, un ragazzo burkinabé, di accompagnarmi alle manifestazioni. Così siamo andati ed è iniziato tutto un po’ così, per caso. O meglio ho scelto di andare alle manifestazioni anziché tornare in Italia come hanno fatto gli altri colleghi lì presenti.
Finora mi è sembrato che la tua sia l’unica testimonianza diretta di un italiano in Burkina Faso in quei giorni dell’ottobre 2014 e fino a quest’anno. È così?
Credo che fossi l’unico italiano a testimoniare in maniera diretta l’insurrezione. Poi durante quei giorni ho conosciuto altri italiani in Burkina Faso ma hanno rispettato il consiglio dell’ambasciata di rimanere in casa.
Che impressioni hai avuto del Burkina Faso e della rivoluzione dell’ottobre 2014?
Come premessa devo dire che non sono un esperto di politica né della situazione del paese o dell’area. E’ stato molto interessante perché in quei giorni si è passato da un periodo di dittatura ad una transizione. L’impressione che ho avuto è che all’inizio ci fosse un po’ di timidezza, un po’ di incertezza, quasi un non credere il fatto che fosse terminato, dopo un tempo così lungo, il periodo di regime dove non era possibile parlare ed esprimersi liberamente. Questo ha richiesto che il governo di transizione si conquistasse la fiducia della popolazione in modo che fossero possibili le piccole e grandi riforme che sono state fatte e che hanno dimostrato che qualcosa era possibile cambiare.
L’hanno dimostrato in maniera così forte che poi le forze e gli interessi legati all’ex dittatore si sono organizzati per impedire che si andasse ad elezioni democratiche ed hanno tentato il colpo di stato, il 16 settembre scorso, che per fortuna è fallito sia per la fortissima e decisa opposizione della gente ma anche perché l’esercito non ha appoggiato questo colpo di stato.
O meglio l’esercito regolare, perché il colpo di stato è stato portato avanti dalla guardia presidenziale, un corpo speciale nel controllo totale dell’ex presidente, che anche dopo la rivoluzione è rimasto fedele a quegli interessi lì, guidato da questo Dienderé che era di fatto la figura militare più importante del vecchio regime, colpevole di tanti crimini, tra cui l’assassinio di Thomas Sankara.
Alcuni sostengono che una delle ragioni che hanno portato alla caduta di Compaoré riguardano il fratello dell’ex presidente che era sindaco della capitale Ouagadougou e che lì faceva un po’ il bello e il cattivo tempo in maniera spesso sconsiderata. Era un po’ la brutta faccia del passato regime. Ti risulta?
Il fratello era la mano brutale e armata del regime. Sì. Ma non solo, è anche l’organizzatore delle esecuzioni che servivano al regime. Ad esempio il giornalista Norbert Zongo. Un giornalista molto famoso, apprezzato, assassinato brutalmente e di questo si dice apertamente che sia stato opera del fratello dell’ex presidente Blaise Compaoré, François Compaoré.
La casa di François è stata assalita il giorno stesso della rivoluzione e distrutta. Tra l’altro è parte del materiale che ho girato e che ancora non ho montato.
Comunque il fratello non solo era il braccio armato ma è noto che controllasse anche tantissime delle attività economiche più importanti del paese quindi i traffici o comunque le imprese legate al mondo dell’estrazione, in particolare l’estrazione d’oro.
Nella versione per il cinema che stiamo realizzando ci sarà la storia di alcuni minatori che sono stati colpiti dal fatto che il governo della transizione ha bloccato tutti i conti e le società legate all’ex presidente, tra cui anche la società che li stipendiava.
I conflitti di interesse rimangono in Burkina Faso e devono ancora essere risolti. È così?
Personalmente non mi aspetto che tutto cambi così velocemente come è avvenuta la caduta di Blaise Compaoré. È solo un primo passo. Tra l’altro saranno le prime elezioni veramente democratiche di questo paese. Blaise Compaoré aveva un partito, si candidava alle elezioni. Quindi formalmente era un democratico. Anzi, il paese da lui guidato era anche riconosciuto da tanti come un paese stabile, democratico e che portava stabilità. Svolgeva anche la funzione di mediatore nell’area, cosa che era chiaramente una facciata perché non penso che possa essere definito democratico un paese in cui un partito vince le elezioni con l’80%. Altrimenti dovremmo dire che era democratico anche Mussolini.
Secondo, bisogna specificare come era democratico. Le persone avevano paura di parlare di Blaise Compaoré. E chiunque lo facesse, come per esempio i leader di Balai Citoyen, veniva osteggiato. Balai Citoyen (tradotto letteralmente “Scopa cittadina”) è un movimento civico, nato da pochi anni, che è stato in grado di costruire e di montare, insieme ad altri movimenti, l’opposizione al regime. I suoi leader sono stati per anni minacciati, osteggiati e si è impedito loro di esprimersi anche attraverso la musica, il loro canale di comunicazione preferito. Non avevano spazi per i concerti, non potevano pubblicare dischi, sono cresciuti in maniera un po’ sotterranea e diventati famosi così. Oggi sono riconosciuti come quello che sono ma il regime ha sempre cercato di contenere la loro popolarità.
In sintesi non è forse questa la differenza tra una dittatura e una democrazia?
Nel nuovo millennio non possiamo più pensare che la dittatura si esprima come si è espressa nel novecento attraverso un regime diretto e apertamente non democratico. Si usano gli strumenti della democrazia per imporre un regime. Il fatto che si voti non significa che ci sia democrazia. La democrazia è espressa dalla mancanza di monopoli/oligopoli economici e soprattutto dalla libertà di espressione. Quando dico questo penso ovviamente anche a noi, all’Italia, che è agli ultimi posti nelle classifiche mondiali sulla libertà di stampa.
Dove, su internet, è possibile vedere il tuo documentario?
Al momento è disponibile una versione on demand sul sito della ICTV-Solferino.
Il 13 dicembre poi faremo una proiezione a Roma, al Teatro Palladium.
Poi c’è una pagina dedicata al film su facebook: https://www.facebook.com/documentaryBAREFOOTREVOLUTION/
Al festival Ottobre Africano abbiamo fatto una proiezione il 4 ottobre scorso insieme ai protagonisti Smockey e Sams’k LeJah in una serata dedicata a Sankara.
Grazie e buon lavoro