Lettera aperta d’un africano al presidente americano Barack Obama sulla sua guerra in Libia
di Jean-Paul Pougala (*) www.pougala.org
Signor presidente,
E’ con il cuore ferito dal dolore che le scrivo questa lettera per pregarla di ascoltare il messaggio che la Camera dei Rappresentanti americana le ha inviato ieri, 24/06/2011, rigettando il testo che autorizza l’intervento militare degli Stati Uniti in Libia e di porre fine all’aggressione in corso contro il popolo libico con le scuse più stravaganti come quella di dire che si tratta di proteggerlo.
Tre anni fa lei ha infiammato un intero continente, il continente africano, durante le primarie delle elezioni presidenziali del partito democratico. Quando lei è stato eletto presidente, noi abbiamo creduto di vedere in lei un figlio d’Africa che ce l’aveva fatta e che poteva ormai essere un punto di riferimento per 1 miliardo d’Africani, lei sembrava uno di quegli eroi che noi non abbiamo mai conosciuto, perché i nostri eroi sono diventati legende solo grazie all’emozione suscitata dalla brevità delle loro vite (tutti uccisi dagli europei). Con la sua elezione alla presidenza degli Stati Uniti d’America, abbiamo creduto per un istante di vedere questo semi-dio Nero che l’Africa sta ancora cercando dopo tanti anni vergognosi a contatto con l’Europa. Sì signor Presidente, sapevamo bene che lei è stato votato dagli americani per fare gli interessi del suo paese, ma cosa vuole? Pensare che lei potesse essere anche il nostro Presidente, che lei avesse i nostri geni, che lei fosse anche il nostro fratello Nero è stato un sogno che abbiamo fatto tutti con gli occhi ben aperti. Noi tutti l’abbiamo vista come qualcuno dei nostri, come qualcuno che era capace di capire meglio di tutti gli altri potenti della terra le piaghe e le sofferenze degli Africani. Abbiamo indossato le sue magliette, abbiamo pronunciato il suo ritornello YES WE CAN, ma nelle nostre teste in Africa, gli abbiamo attribuito un altro significato. Era la spiegazione che questo destino, che sembrava affibbiato a una razza maledetta, aveva preso all’improvviso il treno dell’evoluzione. Quello stesso treno dell’evoluzione delle altre razze. CHANGE ! Infatti. Nel più profondo villaggio dell’Africa, noi abbiamo cantato il suo nome, perché lei ci aveva dato la speranza, la speranza di un vero cambiamento. Lei aveva dato alla gioventù africana l’entusiasmo che nessuna campagna di sensibilizzazione avrebbe mai potuto ottenere. Nel momento in cui i suoi avversari politici l’attaccavano sulle sue azioni, noi eravamo finanche incapaci d’immaginare le loro ragioni, classificandole tutte in maniera sbrigativa come razziste. Fino a tal punto eravamo pazzi di lei.
Poi sono cominciate le sue malefatte sull’Africa che abbiamo interpretato con molta tolleranza e indulgenza. Poi le malefatte si sono progressivamente trasformate in errori politici e poi in umiliazione e infine in aggressione pura e semplice. L’ultima, e la più grave, è l’aggressione contro la Libia.
Quando, il 20 gennaio 2009, lei ha giurato sulla bibbia del suo illustre predecessore: Abraham Lincoln, diventando il 44mo presidente degli Stati Uniti d’America, questo gesto molto evocativo ha simboleggiato ai nostri occhi la speranza dell’incontro e della riconciliazione che non c’è mai stata tra europei e africani, tra bianchi e neri. Quel giorno ha significato per il popolo americano e per il popolo africano, legati da un passato doloroso, la speranza d’un inizio di fraternità basata su una relazione di rispetto reciproco, un relazione più giusta ed equa. Almeno questo era quello che pensavamo e speravamo.
Ma dopo più du due anni della sua presidenza, il calore suscitato nei nostri cuori in Africa s’è ben presto trasformato in una doccia fredda e il fuoco della speranza che lei aveva saputo accendere in noi è stato ben presto spento dalla marea distruttrice dell’oceano delle vostre bombe contro il popolo africano (120 missili Cruise in una notte su una capitale: Tripoli). Più abbiamo imparato a conoscerla attraverso i suoi atti concreti in Costa d’Avorio e in Libia e più abbiamo paura di lei. La sua politica africana che pecca di arroganza e la tendenza che lei ha di nascondersi dietro i potenti per schiacciare i deboli la farà ricordare nella storia all’opposto della strada seguita dal presidente Abraham Lincoln.
Non ci aspettavamo grandi cose da lei, abituati come siamo a portare la nostra croce senza urlare, senza esprimerci, senza lamentarci, ma speravamo almeno che lei sarebbe stato neutro nel rapporto Oppressori-Oppressi che vige ancora oggi tra l’Europa e l’Africa. Con nostra sorpresa, lei ha scelto da che parte stare, quella dei nostri oppressori. E ha messo in gioco dei mezzi coerenti per frenare il nostro desiderio d’emancipazione, per soffocare il nostro slancio di libertà.
Ma si svegli signor presidente Obama perché è da molto tempo che la gioventù africana è in piedi e ha capito, grazie al mondo globalizzato, quanto il suo sistema è asservito ai suoi genitori ma anche che la nostra miseria, la nostra sofferenza, le nostre umiliazioni non sono irrimediabili, non sono scolpite nel marmo. Poiché, come disse il presidente Abraham Lincoln ad un visitatore alla Casa Bianca: « Potete truffare tutti per un certo tempo; potete finanche truffare alcuni per tutto il tempo; ma non potete truffare tutti per tutto il tempo ». 5 secoli di truffe dei suoi alleati sono messi alla prova dall’avvento di una nuova epoca di fine regno dell’oppressore. Siamo al momento del bilancio, all’epilogo della storia, della Nostra storia comune.
Questa ha inizio il 16 giugno 1452, quando il 208vo papa Nicola V, attraverso la bolla papale intitolata Dum diversa, autorizzava il re del portogallo, Alfonso V, a deportare e ridurre in schiavitù le popolazioni della Guinea (Africa). E’ l’inizio di un lungo periodo buio per l’Africa. La scoperta dell’America nel 1492 avrebbe danneggiato la sorte dei nostri antenati con la moltiplicazione delle loro deportazioni verso il nuovo mondo per quattro lunghi secoli, e questo calvario durerà fino a un uomo: ABRAHAM LINCOLN.
Il primo gennaio 1863, Abraham Lincoln proclamava l’emancipazione degli schiavi durante la guerra più sanguinosa degli Stati Uniti: la guerra di secessione, con 620.000 morti seguiti dal suo assassinio nell’aprile 1865. All’epoca, gli agricoltori schiavisti del Sud erano più ricchi degli industriali del nord. Ma nel 1880, 15 anni dopo Lincoln, il taylorismo (la catena di lavoro) avrebbe cambiato il dato facendo aumentare esponenzialmente i profitti delle fabbriche rendendo da quel momento in poi gli industriali del nord più ricchi degli agricoltori del sud, ex-schiavisti. Il che fornisce delle idee all’Europa sulla privazione della manna che veniva garantita dal lucrativo traffico degli schiavi. L’Europa doveva rispondere a una domanda: come approfittare dei vantaggi degli industriali del nord degli Stati Uniti, mantenendo quelli degli schiavisti del sud? La risposta è presto trovata e si chiamerà la COLONIZZAZIONE DELL’AFRICA.
E’ per questo che nel 1884, il cancelliere tedesco Bismarck, organizzava per 3 mesi a Berlino la famosa conferenza di Berlino in cui 14 paesi decidevano di rimettere le catene della schiavitù agli africani, delle catene invisibili che si chiameranno: COLONIZZAZIONE. E che signifiava nei piani degli ideatori, quello stesso destino di subordinazione degli africani che era stato combattuto in precedenza da Lincoln. Non c’era più bisogno di deportarli, bisognava tenerli in schiavitù sul posto in Africa per sostenere i bisogni della nascente industria europea, e rilanciare l’economia di tutto il vecchio continente. E’ questo lungo calvario che noi viviamo ancora oggi sotto le forme più sottili e imprevedibili.
Con la sua elezione, noi abbiamo sognato per un istante che il nostro fratello Barack Hussein Obama avrebbe messo fine a quest’oppressione che subisce un intero continente da troppo tempo. Ma la sua decisione di unirsi al requiem che l’Europa suona per noi dal febbraio 1885, cioè dalla fine della conferenza di Berlino, ha suonato per noi la fine della speranza d’Obama. E immediatamente, il CHANGE (CAMBIAMENTO) della sua campagna presidenziale s’è presto trasformato per noi africani in CHAINS (CATENE), in MORE CHAINS (PIU’ CATENE). Le sue nuove catene hanno delle forme tanto imprevedibili quanto la stessa colonizzazione:
In Costa d’Avorio, sono arrivate sotto forma di cassetta video che lei ha inviato per indicare e spiegare a quel popolo chi era il loro presidente, a detrimento di quell’ordine costituzionale che loro stessi si erano dati dopo tante difficoltà.
Le sue catene ci sono arrivate nei box dei militari con la sua forma di democrazia atipica che lei vuole instaurare secondo la quale ormai per partecipare ed essere sicuri di vincere le elezioni presidenziali in Africa ogni partito politico dovrebbe innanzitutto dotarsi d’un esercito, d’un buon esercito preferibilmente finanziato dagli Stati Uniti.
La punizione dei trasgressori. Lei si è reso complice del massacro di 1200 ivoriani a Douékoué, un intero villagio composto da poveri contadini, bambini, bebé e donne il cui solo torto è stato quello di avere creduto nella democrazia e d’avere semplicemente sostenuto il cattivo candidato, quello che a lei sembrava il meno docile.
In Africa si credeva che il cancelliere tedesco Bismarck e i suoi 13 compadri erano riusciti nel più grande hold-up della storia dell’umanità con la loro divisione in stile mafioso di un intero continente, ma lei arriva a dire che ci sarebbe potuto essere di peggio: in Libia, lei si è semplicemente sostituito al popolo libico, e ha deciso al suo posto che è « l’unico e legittimo rappresentante ». Questa volta, il crimine è perfetto. Non c’è più bisogno di farsi prendere con le mani nel sacco mentre ci si divide i pezzi di terra, ormai basta scegliere le terre più ricche e indicare chi le rappresenta e tutti i giochi sono fatti. E’ facile come dire buongiorno e promette facili guadagni. Però lei sembra dimenticare, Signor Presidente, che questa formula ha già mostrato i suoi limiti nella storia. Ovviamente in Sudafrica dove un pugno di razzisti Bianchi erano riconosciuti da voi come gli unici rappresentanti del popolo Sudafricano, il seguito lo conosce; ma anche in Cina dove Taiwan nel 1949 era la vostra Bengasi del 2011. Taiwan è stata scelta da voi come unico rappresentante del popolo cinese, anche lì, la storia vi ha dato torto.
Le vostre nuove catene arrivano in Africa sotto forma di risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Chi avrebbe immaginato che una risoluzione detta di protezione delle popolazioni di Bengasi si sarebbe trasformata in operazione di punizione delle popolazioni di Tripoli per aver commesso l’irreparabile sostenendo l’uomo che ha preso il loro paese nel 1969 quando era il più povero dell’Africa con 60 dollari per abitante all’anno, trasformandolo nel 2011 nel paese più sviluppato del continente, classificato dalle Nazioni Unite 53ma al mondo nell’indice di sviluppo umano, davanti molti degli stessi paesi europei. La Libia è l’unico paese al mondo non comunista in cui tutti i servizi di base sono assolutamente gratuiti: dalla casa alla sanità passando per l’istruzione, con un reddito minimo garantito per preservare la dignità umana di ogni cittadino libico.
Quando i civili hanno conquistato le scorte delle armi più sofisticate di Bengasi, la reazione d’un Lincoln qualsiasi, alleato della Libia, sarebbe stato di mobilitare tutto per recuperare tutte le armi, perché la questione avrebbe riguardato anche la sicurezza degli Stati Uniti d’America. Ma le sue nuove catene contribuiscono anche a rendere instabili i paesi in pace, poiché nel disordine, nel mare agitato, i malfattori possono mangiare di più mentre i piccoli pesci sono scioccati.
Quando, il 15 aprile 2011, lei siglava un appello con Cameron e Sarkozy dal titolo “Gheddafi deve andare via”, mi può dire Signor Presidente chi le da’ il diritto di decidere quale presidente africano deve restare e quale deve andare via? Ho fatto le mie ricerche e ancora non capisco in quale registro democratico s’inserisce la sua iniziativa, se non nel principio del Far-West del più forte che deve far capire al più debole che deve abbandonare la sua terra e tutti i suoi averi connessi e andare a cavarsela altrove. Come si fa a non essere d’accordo interamente col parlamentare del suo partito democratico, Jerrold Nadler, che, dopo la batosta che il Congresso le ha inflitto ieri, venerdì 24/06/2011, rigettando il testo che autorizzava il suo intervento miliare in Libia, ha dichiarato: “Il presidente Obama si comporta come un monarca assoluto e noi dobbiamo porre fine immediatamente a questo se non vogliamo che [lo Stato] diventi un impero invece che una repubblica”.
Con questi pochi elementi, non c’è alcun dubbio che, per noi africani, la differenza tra lei e Lincoln è la stessa che c’è tra il giorno e la notte. Lei ha una strana concezione della democrazia quando si tratta dell’Africa, visto che si comporta da vero monarca decidendo al posto dei popoli che lei guarda con tanta condiscendenza, il che è una riprova del fatto che lei è molto lontano dagli ideali di Lincoln che ha scritto: « Così come non vorrei essere uno schiavo, tanto meno vorrei esserne un proprietario. Questa è la mia concezione della democrazia. Tutto ciò che si differenzia da questo (…), non è in nessun modo la democrazia ». Signor Presidente, nella sua politica africana, lei si comporta come un Mastro, uno che da lezioni quando non è un oppressore, tutto il contrario di A. Lincoln.
Lei sa meglio di chiunque altro che quando l’Unione Europea si mobilita all’unanimità per un africano, vuol dire che ha scoperto di essere la più capace nel mantenere le catene invisibili dello schiavismo che portano i suoi stessi fratelli e le sue stesse sorelle. Tutti i nostri leader che hanno osato denunciare questo assoggettamento sono stati tutti fulminati sulla strada di Damasco: Steve Biko in Sudafrica, Sankara in Burkina [Faso], Moumié in Camerun, N’krumah in Ghana, Lumumba in Congo-Zaire, ecc… gli altri più fortunati hanno passato la loro vita in prigione, è il caso di Mandela in Sudafrica con 27 anni passati dietro le sbarre. Gamal Abdel Nasser in Egitto nel 1934 all’età di 16 anni grazie ai coloni britannici, diventato presidente nel 1953, è stato ribattezzato dal Regno Unito il « Mussolini del Nilo », per avere rimpiazzato il regno con la Repubblica, nazionalizzato una serie di servizi, d’industrie e il Canale di Suez e peggio, ha distrutto i campi di cotone dell’èra coloniale per passare all’industrializzazione del suo paese; per tutti questi peccati, ha subìto una decina di tentati omicidi ordinati da Londra e Parigi. Ma Nasser è stato più fortunato di Gheddafi perché il presidente americano Eisenhower ha avuto il coraggio politico di fermare questi paesi che avevano scatenato, nel 1956, una guerra per, dicevano, “proteggere il popolo egiziano da un dittatore”. Il Presidente Eisenhower ha avuto il coraggio, che lei non ha saputo avere, di fermarli e ha richiesto il loro ritiro immediato dall’Egitto. Anche se l’URSS, per piegarli, aveva sventolato la minaccia nucleare.
Il presidente Lincoln ha pagato un pesante tributo per abolire la schiavitù negli Stati Uniti. Ha pagato con la sua vita per renderci la nostra libertà, ma i suoi nemici non sono morti, sono ancora là, più forti che mai, con le stesse odiose idee di sempre: l’assoggettamento degli africani con tutti i loro discendenti, esattamente come recitava la bolla papale. Abraham Lincoln, al contrario di lei, aveva un ideale e anche se non era della nostra stessa razza, ha saputo mettersi al nostro posto per capire le nostre sofferenze e le nostre vergogne, ha saputo andare al di là delle considerazioni partigiane per fare trionfare la giustizia e la morale, ha saputo mettersi al fianco dei deboli solo per essere dal lato della dignità umana. Ha generato la guerra più sanguinosa sul suolo degli Stati Uniti, per fare trionfare una certa idea di umanità. Signor Presidente Obama, con le sue bombe sul popolo africano e con la sua scelta di assecondare i forti, i potenti contro i deboli, possiamo dire lo stesso di lei? Quali sono i suoi veri ideali? Rimango confuso quando cerco di capire il suo senso di umanità.
Vede signor Presidente Obama, nella storia moderna, noi altri africani siamo un popolo di perdenti. Da 500 anni, non abbiamo vinto la benché minima battaglia contro l’Europa. Anche perché non abbiamo mai scatenato la benché minima ostilità contro il popolo europeo. Noi li abbiamo sempre subìti. I nostri antenati non hanno potuto fare niente per contrastarli durante tutti i secoli di deportazioni e oggi, siamo impotenti davanti alla loro follia devastatrice.
Noi siamo coscienti della nostra debolezza e di quella dei nostri antenati. Sì, siamo una razza che ha perso, abbiamo perso tutte le battaglie contro l’Occidente e forse lei mi dirà che noi siamo dei perdenti per sempre. Tuttavia signor Presidente, al di là della coppa e della medaglia del vincitore, il perdente ha una cosa che gli altri non sanno, e non vedono e che alla fine lo rende più forte: è la sofferenza della sconfitta, è il disonore e la vergogna della sconfitta. Questi due elementi ci hanno dato nel corso dei secoli un tesoro, una potenza che il vincitore non conosce e questo si chiama umiltà, abnegazione. Nella nostra modestia, l’africano può essere più felice dell’europeo o dell’americano che rivendica l’universo, se, e solo se, voi vi asterrete dal distruggerci con le vostre bombe. La nostra forza più grande è questa semplicità che ci ha dato il coraggio di resistere alle intemperie della storia. Il fatto di non pretendere niente, il fatto di non volere il mondo, tutto per noi e subito, ci lascia la serenità di progredire dolcemente, lentamente, ma sulla buona strada verso il nostro paradiso della normalità umana cioè senza assoggettamento. E non saranno le vostre bombe che ce l’impediranno.
Come Lincoln, siamo in procinto di inaugurare gli Stati Uniti d’Africa dal Capo in Sudafrica al Cairo in Egitto e siamo coscienti del fatto che ciò pone un problema all’occidente che sa che ciò ci renderà ancora meno naïfs, quindi capaci di fermare lo sfruttamento del continente che è durato troppo a lungo. Hanno le stesse motivazioni che ieri avevano i nemici di Abraham Lincoln: vogliono dei vantaggi non dovuti, approfittare del sudore del nostro lavoro gratuito, avvantaggiarsi delle nostre miniere d’uranio, di diamanti, d’oro, di petrolio, ecc. Ma ciò che lei non comprende alleandosi con i forti che ci opprimono, è che il vento ha cambiato direzione e che il loro battello sta già per infrangersi sugli scogli della miopia politica e intellettuale. Poiché l’Africa è già in piedi, con o senza di voi, con o senza la vostra aggressione. Noi abbiamo previsto la prima emissione della moneta africana nel 2016. Il suo forfait contro la Libia potrebbe ritardare questa sconfitta, ma non l’annullerà, poiché il nostro cammino verso il progresso umano è irreversibile, la vostra guerra farà perdurare l’agonia economica dell’Europa ma non garantirà la sua sopravvivenza, la situazione finanziaria greca è lì a ricordarcelo poiché la loro discesa all’inferno è altrettanto irreversibile. La corda per scalare le montagne dell’ingiustizia del vostro sistema, erette in Leggi universali, che avete appena legato in Costa d’Avorio e in Libia, rischia di far precipitare il vostro sistema nell’abisso della desolazione a causa delle vostre scelte tanto bellicose quanto azzardate e odiose.
Lei è riuscito ad umiliarci in Costa d’Avorio. Lei sta cercando di assoggettarci in Libia, ma non avrete le nostre lacrime, perché si sono cristalizzate a causa di troppi secoli di sadismo europeo. Non otterrete la nostra disperazione, perché siamo rimasti per troppo tempo coricati per terra sempre agli ordini dei potenti, invece non possiamo più cadere, non possiamo far altro che rialzarci.
Durante la sua visita ad Accra in Ghana l’11 luglio 2009 lei ha dichiarato nel suo discorso che: « così come è importante sottrarsi al controllo di un’altra nazione, è ancora più importante forgiare la propria nazione ». Prendendo in ostaggio il presidente democraticamente eletto dal popolo ivoriano, lei non aiuta quel paese a forgiare la sua nazione. Al contrario, lei contribuisce a impedire che possa sottrarsi al controllo di un’altra nazione. Il suo segretario di stato, Hillary Clinton, durante il suo viaggio a Lusaka, in Zambia l’11 giugno 2011 ha rincarato le sue proposte mettendoci in guardia contro il rischio di una colonizzazione cinese con queste parole: « E’ facile, e l’abbiamo visto durante l’epoca coloniale, venire, prelevare le risorse naturali, pagare i dirigenti e andarsene ». Per queste righe, la ringrazio sinceramente dei suoi consigli come africano, ma in particolare sulla Cina vorrei farle qualche osservazione:
Al contrario dell’Occidente che si è imposto all’Africa senza chiedere il suo parere, la Cina è stata invitata. Questa è una bella differenza rispetto alle relazioni che sono esistite tra l’Occidente e l’Africa e che continuano a esistere ai giorni nostri. Sentire l’Occidente che si preoccupa di una qualsiasi colonizzazione dell’Africa da parte della Cina è una novità nella diplomazia internazionale. Questa preoccupazione improvvisa è la prova, Signor Presidente, che viviamo in due mondi contrapposti: Storicamente, Culturalmente, socialmente, Economicamente, Politicamente e Psicologicamente. Il rapporto che è sempre esistito tra noi da secoli è stato quello del « Dominante – Dominato ». La colonizzazione è il fatto di venire sulle nostre terre appropriarsi delle migliori e obbligarci a lavorarle, e quando non possiamo produrre una certa quantità di banane, di cacao, di caffè o di cotone, il colono sceglie uno di noi a caso e gli amputa un braccio, una gamba per dare l’esempio a tutti del ritmo che si aspetta da noi. La colonizzazione è il fatto di rubare e di distruggere i nostri destini decidendo al nostro posto. Per noi la colonizzazione, è l’atmosfera di guerra permanente per degli interessi che non ci riguardano, tutti localizzati in Occidente. Per noi la colonizzazione è un sistema perverso che ci condanna da secoli. Utilizzare queste parole come ha fatto il suo segretario di stato, risveglia in noi dei ricordi così tristi che ci spingono a rifiutare interamente la presenza dell’Occidente in Africa. L’Occidente in Africa è l’amore forzato, lo stupro. La Cina in Africa è un amore tra adulti consenzienti. E come in ogni relazione amorosa, ci sono alti e bassi, c’è sempre uno che cerca di prendere il sopravvento sull’altro, ma è sempre più accettabile dello stupro.
Per piacere, Signor presidente, non ci insegni l’odio nei confronti dei cinesi, soprattutto in questo periodo molto teso a livello internazionale. L’Africa ha bisogno d’investimenti, di grossi investimenti, lei non si offenderà se diversifichiamo i nostri partner in funzione dei nostri interessi almeno per una volta. Concedeteci, Signor presidente, il diritto di scegliere i nostri amici. Il muro di Berlino è caduto dal 1989 e non vogliamo vivere nel contesto d’una guerra fredda permanente dove c’è sempre bisogno di un nemico. Signor presidente, cosa aspetta per dismettere questa scatola vecchia della Nato? Con la forza si può distruggere tutto come in Iraq, ma è difficile trovare la Soluzione. La NATO è un’organizzazione anacronistica in questo 21mo secolo.
La Cina è oggi il solo paese che possiede una vera riserva monetaria. A livello di debiti pubblici, i cinesi aiutano gli USA per 1.440 miliardi di dollari comprando i vostri buoni del tesoro e l’Africa con solo 90 miliardi. Se c’è qualcuno che è colonizzato, siete proprio voi, non noi. Questa differenza si spiega col fatto che per molto tempo, gli africani hanno scelto il cattivo partner. Hanno fondato il loro sviluppo sull’aiuto europeo e americano perché credevano che ne avevate i mezzi. Prima di rendersi conto che voi di giorno vi dichiarate “paesi ricchi” capaci d’aiutare l’universo e la notte chiedete l’aiuto alla Cina per pagare i vostri funzionari, per finanziare le vostre guerre. Ancora oggi, lei stesso si comporta come se avesse il benché minimo dollaro per aiutare chicchessia in Africa. Non è vero. Secondo le informazioni fornite dalla FED il 13/6/2011, sul debito privato americano, ai debiti pubblici di 14.000 miliardi di dollari, bisogna aggiungere 14.000 miliardi di dollari di debiti dei nuclei familiari americani, ma anche gli 11.000 miliardi di dollari di debito delle imprese non finanziarie e i 14.000 miliardi di dollari di debiti degli istituti finanziari del suo paese. Il totale di 53 tirlioni di dollari di debiti americani fanno venire il freddo alla schiena, perché è l’autopsia d’un paese che va dritto contro un muro e neanche la Cina vi potrà salvare e il peggio è che non sembra che ve ne rendiate conto, a tal punto che scatenate le guerre con molta leggerezza. Siamo in un sistema detto di « sviluppo a somma zero » cioè quando l’economia del suo paese andava bene, gli altri dovevano morire di fame. Adesso che ci siamo svegliati e che le nostre economie vanno bene, le vostre non possono far altro che affondare. E non saranno le sue guerre a cambiare le cose.
Piuttosto discutiamo del tema che ci viene offerto dalla Cina: lo sviluppo dell’Africa sarà una conseguenza della democratizzazione della società, come ha sempre predicato l’occidente, o è lo sviluppo che deve precedere la democratizzazione della società come ci viene suggerito dalla Cina con un certo successo che ammiriamo? Il vostro sistema non funziona più a casa vostra o quanto meno non funziona a casa nostra, dopo i magri risultati di 50 anni di pseudo-indipendenza, perché la vostra idea di democrazia africana è quella di un’Africa in cui il voto sarebbe valido solo se vi piace e nel momento in cui non vi piace, sappiamo già il seguito, le vostre bombe arrivano per rettificare il voto popolare, com’è noto in Costa d’Avorio. 500 anni della vostra democrazia in Africa ci bastano. Abbiamo voglia di provare qualcos’altro. Dopo solo 10 anni di relazioni con un paese che voi descrivete come dittatoriale, la Cina, l’Africa non è mai stata così bene.
Da 7 mesi, la Cina è in procinto di sbarazzarsi dei vostri buoni del tesoro che considera ormai alla stregua di prodotti finanziari tossici perché è convinta che non avrà la totalità dei suoi investimenti in futuro, e questo equivale a 9,2 miliardi di dollari al mese. Queste cifre sono fornite dal suo dipartimento delle finanze. Ovviamente, signor Presidente, quando si tratta di voi e dell’occidente, si parla di business, una volta lasciato l’emisfero Nord per recarsi nell’emisfero sud, si grida al lupo, attenzione che arriva il cattivo cinese che vi mangerà in un colpo solo. NO! Signor Presidente, gli africani hanno aperto gli occhi e cominciano a guardarsi intorno, sicuramente non per intero, altrimenti lei non avrebbe mai incassato i tre voti africani che l’hanno autorizzata ad aggredire uno di loro, ma una cosa è certa, hanno semi aperto gli occhi e cominciano a distinguere le forme, oggi possono descrivere la differenza tra un cinese e un occidentale. Non è un caso, l’Africa per lei è sempre stata una terra di dominio, di conquista e di sottomissione. Non abbiamo mai visto di peggio.
In tutti i discorsi nelle capitali occidentali, non si perde occasione di ricordare agli africani esplicitamente o implicitamente di mostrare diffidenza nei confronti dei cinesi. E’ diventata quasi un’ossessione per voi; sentire oggi queste cose da parte degli occidentali è sospetto per una semplice ragione: i nostri antenati vi hanno dato fiducia e si sono ritrovati deportati. I nostri nonni vi hanno dato fiducia e si sono ritrovati sotto la lama della colonizzazione. I nostri genitori vi hanno dato fiducia e voi ci avete portato la fame. Recentemente, 3 paesi africani, la Nigeria, il Gabon e il Sudafrica vi hanno nuovamente dato fiducia per votare con voi la risoluzione 1973, con cui avreste protetto Bengasi e voi siete andati a bombardare Tripoli. E oggi lei ci indica un nemico? Nel suo discorso di Accra, lei si domandava se bisognava imputare ai bianchi la situazione dello Zimbabwe. Così facendo, lei sembra ignorare il fatto che, nel 1980, l’anno d’indipendenza, lo Zimbabwe aveva chiesto per la sua riforma agraria il vostro sostegno per riparare l’ingiustizia coloniale che fa sì che i Bianchi, che sono il 2% della popolazione, siano proprietari del 90% delle terre coltivabili. Accordo, controfirmato dalla gran Bretagna, che prevedeva che quest’ultima si sarebbe occupata dell’indenizzo dei contadini Bianchi che erano tutti suoi emigrati. 20 anni dopo, niente. Peggio, le vittime delle vostre promesse non mantenute diventano ben presto i diavoli del momento. E si riparte con le vostre cantilene: embargo, visti, sequestro dei conti bancari ecc. E per cambiare, come sempre, avete intonato il ritornello del lupo cattivo Mugabe e come un uomo solo, tutto l’occidente, ha cantato facendo credere che la sua longevità al potere fosse più importante dell’ingiustizia che avevate creato. In Costa d’Avorio, il Presidente Gbagbo la ha ascoltata e ha preso le distanze dai cinesi rivedendo dei contratti dapprima vinti dalle imprese cinesi, ridandoli alle compagnie francesi senza alcuna richiesta d’offerta. Il seguito lo conosce.
Continua … questa la seconda parte: Quanto vale la parola di un alto dirigente americano oggi? NIENTE. Proprio niente.
Traduzione di Piervincenzo Canale