In un testo pubblicato su Facebook, l’onorevole Jean Leonard Touadi fa oggi due domande al dittatore della Libia, Gheddafi.
La prima riguarda il ruolo che Gheddafi si è ritagliato in Africa. Un ruolo di “gendarme dell’Occidente – sono le parole di Touadi – per respingere gli immigrati”.
La seconda è una domanda più personale. Riguarda la tragedia dell’aereo, che viaggiava tra Brazzavile a Parigi, scoppiato nel deserto nel 1989 provocando la morte di 170 persone di cui più di 50 congolesi. “Tutte le indagini hanno puntato gli occhi verso Tripoli e i servizi segreti di Gheddafi”, scrive Touadi.
Conosco Muammar el Gheddafi da quando avevo dieci anni.
Quando il vento della libertà conquistata dopo la notte coloniale soffiava ancora, Gheddafi appariva e si presentava come la nuova incarnazione del nasserismo sul continente.
Nasser era l’ex leader egiziano, esponente di spicco del movimento dei non-allineati e protagonista di un braccio di ferro epico con l’Occidente all’indomani della nazionalizzazione del Canale di Suez. Dopo aver rovesciato Re Idriss, il colonello instaurò la rivoluzione della “jamahyria” coinvolgendo direttamente i comitati del popolo nelle città e nei luoghi più sperduti del territorio libico.
Nazionalismo, panarabismo, terzomondismo militante e più tardi sostegno a tutti i movimenti rivoluzionari e terroristici del Medioriente, dell’Africa, dell’America persino dell’Irlanda del Nord.
Con il passare degli anni, la rivoluzione del “beduino del deserto” con il folclore della sua vita in tenda, le sue statuarie guardie del corpo, la sua fluviale retorica anti-imperialista, le sue ambizioni di ptenza nucleare nel cuore dell’Africa settentrionale diventano un problema per la geopolitica occidentale e per il mondo arabo stesso.
Un pericolo che si concretizza con il coinvolgimento libico negli attentati di Lockerbie e nel suo coinvolgimento – seguendo alcune ricostruzioni – nell’attentato all’aereo civile italiano sui cieli di Ustica senza dimenticare il lancio di missili sulle isole siciliane situate a poche migliaia dalle coste libiche.
Ghedaffi subisce per tutto questo l’ostracismo della comunità internazionale fino a subire uno dei più cruenti bombardamenti aerei dell’aviazione americana ordinato da Ronald Reagan.
La Libia figurava nella “black list” dei paesi canaglia stilata dagli USA.
Ma è il versante africano che richiama i miei ricordi di adolescente. Quando il Colonnello non esita a dichiarare guerra al vicino Ciad per la contesa della Banda di Aouzou, un fazzoletto di terra al confine tra Libia e Ciad ricco di uranio (”yellow cake” utile per l’energia atomica).
Tra la Libia e il Ciad si frappone la Francia che aveva proprio nella parte settentrionale della sua ex-colonia consistente truppe sin dalla fine della colonizzazione.
Le ostilità tra Libia e Francia (con in mezzo il povero Ciad) durano decenni, con la Libia impegnata a destabilizzare gli alleati della Francia ovunque nel continente finanziando colpi di stato e guerriglie.
Oggi. Gheddafi è “cleaned” (ripulito) dopo gli accordi del 2003 che chiudono i contenziosi internazionali e i risarcimenti alle vittime degli attentati aerei, nonché la rinuncia alle sue ambizioni nucleari.
Da quel momento in poi la parola d’ordine sulle due sponde del mediterraneo è “Business” e “realpolitik con lo sforzo reciproco di dimenticare il passato. Con abilità il colonnello ha utilizzato la memoria coloniale per ricattare l’Italia fino alla stipula dell’Accordo con Berlusconi.
Da persona di origine africana solo due domande al colonello:
- Come è possibile che il Presidente in carica dell’Unione Africana abbia assunto per se l’unico ed esclusivo ruolo di gendarme dell’Occidente per respingere gli immigrati. Come mai nel paese dell’uomo che si è proclamato di recente “re dell’Africa”, la condizione degli immigrati africani sia la peggiore riscontrata nei movimenti migratori intra-africana all’interno di un paese che non solo non ha firmato le convenzioni internazionali di difesa dei diritti umani, ma dove gli immgrati subiscono condizioni di detenzione e di trattamento (documentate in loco da varie e indipendenti organismi) inaccettabili sotto il profilo dei diritti umani. Chiedo che il prossimo vertice dell’Unione africana possa mettere al primo punto dell’ordine del giorno proprio la questione dell’immigrazione tra Europa e Africa e possa mettere fine al gigantesco cimitero a cielo aperto che è diventato il mar mediterraneo;
- La seconda domanda è più personale, più intima e riguarda il dolore che ho provato quando un aereo che viaggiava tra Brazzaville (la mia città di nascita) e Parigi con scalo a Ndjamena è esploso in pieno deserto facendo 170 morti tra cui più di cinquanta congolesi. Parenti, amici della mia famiglia, ex colleghi di liceo che si sono trovati tragicamente al posto sbagliato nel momento sbagliato. Tutte le indagini hanno puntato allora come oggi gli occhi verso Tripoli e i servizi segreti di Gheddafi. Questi morti aspettano ancora un perché. Una tragedia che nessun risarcimento e nessuna realpolitik può cancellare.
La storia va avanti. Gli uomini e i destini delle nazioni si modificano. Ma dobbiamo avere memoria del passato e del presente. Perché la vita delle persone e i destini dei popoli non si pesano con la bilancia degli accordi siglati sotto le tende più o meno folcloristiche allestite nel deserto o a Villa Pamphili a Roma.
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Qui l’articolo di Giampiero Martinotti su LaRepubblica del 20 settembre 1989
La presentazione del libro di Pierre Péan su Le Monde Diplomatique
Qui la pagina Wikipedia in francese sugli incidenti dei DC10