Era il 1685 quando John Locke scrisse la “Lettera sulla tolleranza”, una mirabile requisitoria che inaugura un’epoca sovvertitrice.
Illegittima è l’intolleranza civile; illecita, assurda e anticristiana è quella religiosa. Il pensiero lockiano è univoco: l’intolleranza in quanto tale è condannabile perché inutile e controproducente.
Proviamo adesso a compiere un balzo in avanti di quasi tre secoli.
Nell’Italia del secondo dopoguerra si pose il problema se dichiarare fuori legge i partiti anti-sistema, in altri termini se l’ordinamento dovesse tollerarli o meno. A Montecitorio si levò l’autorevole voce di Luigi Einaudi il quale ricordò che “gli uomini amanti della tolleranza civile hanno il dovere di combattere fino all’ultimo, ma combattendo non possono rinunciare ad essere se stessi. Se i cittadini preferiscono i liberticidi a noi, segno è che essi non apprezzano il bene supremo, tale essendo la loro volontà la loro sorte assegnata. Noi destinati a morire formuliamo l’augurio che non occorra in avvenire troppo sangue per riconquistare la perduta libertà. Finché avremo fiato seguiteremo ad ammonire i concittadini sulla sorte che li attende ove essi pongano ascolto alle parole lusingatrici della circe liberticida, ma se gli uomini vorranno seguirle e tramutarsi in bestia, tale sia di loro”.
Tralasciando le cupe riflessioni circa la formale nonché sostanziale diversità tra il dire dei Padri costituenti e quello della maggioranza dei nostri attuali rappresentanti in Parlamento, ciò che mi preme evidenziare è l’accettazione del suicidio (dei tolleranti) così ben espresso nell’affermazione “noi destinati a morire”.
In altri termini, tollerare gli intolleranti potrebbe significare dare agli intolleranti la possibilità di far valere sui tolleranti la loro intolleranza. Ergo, il suicidio.
Sul versante opposto, l’intolleranza nei confronti degli intolleranti potrebbe sottendere ad una non piena virtù (o ad un vero e proprio vizio: l’ipocrisia) poiché questa si esalta, cioè è veramente tale, solo al contatto con chi è altro rispetto a noi.
Facciamo ancora uno sforzo e arriviamo ai nostri giorni.
Alcuni giorni fa, si è tenuta a Ginevra la conferenza dell’Onu contro il razzismo, la “Durban 2”, che ha riproposto in termini affatto nuovi il nostro iniziale interrogativo. I governi sono apparsi nettamente divisi. I termini della questione sono i seguenti. Nel 2001 a Durban, città del Sud Africa, si tenne la prima conferenza Onu sul razzismo. La cosiddetta “Durban 1”, alla quale non prese parte l’amministrazione Bush, si svolse in un’atmosfera anti-israeliana e anti-americana e chiuse i lavori con la stesura di alcuni documenti in cui si condannava chiaramente Israele per l’occupazione dei territori palestinesi e si indicava nel sionismo di Israele il bastione del razzismo equiparando, quindi, razzismo e sionismo. Alla “Durban 1” ha fatto seguito un duro negoziato tra gli Stati dell’Organizzazione della Conferenza Islamica e gli Usa, l’Ue ed altri Paesi che spingevano per una modifica di quei documenti.
In effetti alcune modifiche, ancorché parziali, sono state apportate. Ma l’attacco frontale e pubblico ad Israele è rimasto.
Questa la causa dell’assenza alla “Durban 2” di molti leaders mondiali. Un boicottaggio più gravoso per alcuni, meno per altri. Non sarà stato facile per il presidente statunitense Barack Obama: “Io sono un presidente degli Usa che crede nel multilateralismo e nelle Nazioni Unite, ma non posso accettare un linguaggio controproducente come quello proposto. Ho detto al segretario Ban Ki Moon che siamo felici di aiutare l’Onu, ma questa non è l’opportunità giusta”.
Quanto ufficialmente dichiarato può apparire coerente con la sua politica, un’amalgama di carisma, affermazioni tranchant e azioni concrete più ambigue. Di certo, tuttavia, delude quanti hanno osato credere che proprio lui, il primo presidente nero, avrebbe dovuto e saputo far convogliare, avocandosene di fatto la paternità, le voci di coloro che si oppongono alle cruenti dichiarazioni del presidente iraniano Mohamoud Ahmadinejad, che ha potuto agevolmente occupare il palcoscenico della “Durban 2”.
In quest’occasione Obama non ha potuto mostrare le sue migliori doti da equilibrista, stretto com’era tra le pressioni politiche delle lobbies ebraiche, e dalla presenza ingombrante del suo capo di gabinetto Rahm Emanuel (solo per citarne alcune) da una parte e la necessità etica ancorché etnica di presenziare ad un appuntamento di tale importanza.
Olanda, Germania e Italia (oltre all’Australia e, naturalmente, ad Israele) hanno seguito gli Stati Uniti, dividendo di fatto l’Unione Europea, e non solo quella, in due tronconi.
Eppure nel tempo intercorso dalla fine della “Durban 1”, si sarebbe potuta pianificare una strategia comune da adottare in occasione di quello che è stato chiamato, con ironica chiaroveggenza, “Durban 2 – Uniti contro il razzismo”.
Tollerare quindi gli intolleranti? Non credo che si possa fornire una risposta assoluta a questo interrogativo.
Quale che sia la posizione accolta, senza una forte coerenza ed integrità si rischia di disattendere al monito nietzschiano che potrebbe essere così riproposto: “chi lotta contro gli intolleranti deve fare attenzione a non diventare un intollerante lui stesso”.
Mario Speranza