Il mese scorso ho visitato lo Swaziland per la prima volta per girare un film sulle giovani donne che vivono con l’HIV. E’ capitato che mi trovassi lì durante l’annuale festa della Reed Dance che consiste in una processione di migliaia di donne non sposate che camminano verso la capitale ballando a petto nudo davanti al re Mswati III, sperando di essere scelta come prossima sposa.
Sebbene fosse interessante assistere a quest’importante festival culturale dello Swaziland, ero tuttavia molto disturbata dai toni misogini della manifestazione. Le donne che ballano per gli uomini. L’uomo che guarda, l’uomo che giudica, l’uomo che prende. Per non parlare del fatto che Mswati non sposa la sua fidanzata fino a quando quest’ultima non dimostra “la sua femminilità”, cioè fino a quando non rimane incinta.
C’è una lista piena di lamentele nei confronti del re Mswati – dal suo debole per le scarpe da tennis Reebok abbinate al costume tradizionale fino al suo controverso matrimonio con la diciassettenne Phindile Nkambule nel 2005 – ma nessuna di queste è più forte della critica sulla posizione del suo governo sull’HIV.
In risposta all’escalation di casi di HIV che ha riguardato il paese dell’Africa meridionale, Mswati ha bandito il sesso per i minori di 18 anni nel 2001. Sebbene abbia revocato quella decisione politica poco prima del suo matrimonio con Phindile, le sue politiche continuano a ignorare il fatto che l’epidemia colpisce molto più le donne in Africa meridionale. Gli ultimi dati dell’UNAIDS e dell’OMS (Organizzaizone mondiale della sanità) dicono che il 22,6% delle giovani donne dello Swaziland tra i 15 e i 24 anni vivono con l’HIV, mentre lo stesso dato per gli uomini nella stessa fascia di età ammonta al 5,8%.
Delle decisioni sono state prese nella giusta direzione per aumentare l’accesso al trattamento e ridurre la tramissione da madre a figlia/o. Tuttavia, data la sproporzione di genere dell’epidemia di HIV in Swaziland, non potevo non essere turbata dall’ultima campagna nazionale di prevenzione tutta incentrata sulla circoncisione.
Non nego che la circoncisione sia una parte importante dei programmi di prevenzione dell’HIV. In fin dei conti i dati sono eloquenti – riduzione del 60% del rischio nei casi di trasmisione eterosessuale tra i maschi circoncisi in tre test casuali. Durante la conferenza sull’AIDS a Vienna all’inizio di quest’anno, i Bills (Clinton e Gates) hanno salutato la circoncisione maschile come una delle soluzioni più economiche per la prevenzione dell’HIV. Gates ha definito la circoncisione ‘cheap, effective, easy to apply’ (economica, efficiente e si pratica facilmente) e ha aggiunto che sarebbe più dispendioso NON farla.
Ma le donne entrano in quest’equazione economica? Mentre i donatori più importanti e i personaggi pubblici si accalcano per sostenere la circoncisione, sembra che nessuno parli delle non volute conseguenze della circoncisione di massa in una società fortemente dominata dal genere maschile come quella dello Swaziland. I metodi di prevenzione diventano cure onnicomprensive. E le donne vengono lasciate nel dimenticatoio.
Ufficialmente, la circoncisione nello Swaziland viene promossa come un modo affinché i maschi diventino più responsabili nei confronti della loro salute sessuale e di quella dei loro partner/s. Non ufficialmente, viene promossa in una miriade di modi per attrarre i maschi dello Swaziland. In alcune comunità viene vista come un metodo di prevenzione dell’HIV e come un modo per ottenere maggiore soddisfazione sessuale. Sebbene quest’ultimo modo sia discutibile, una legenda orribile sta nascendo attorno al primo metodo: la circoncisione sarebbe un metodo errato per prevenire la trasmissione dell’HIV.
Tuttavia, se i maschi credono che facendosi circoncidere si proteggono dall’HIV, questo lascia le loro donne in una situazione molto precaria. Se si convincessero di questo falso senso di sicurezza, sappiamo tutti su chi ricadrebbe la colpa se un circonciso scoprisse di essere positivo all’HIV. Per non parlare poi dell’impatto che la circoncisione ha sulla capacità delle donne di convincere il maschio a usare il preservativo visto che i circoncisi credono di essere invincibili.
Gli incentivi economici per i lavoratori precari poi mi hanno fatto sorgere un altro dilemma morale e professionale. I servizi sanitari riguardanti la sessualità e la riproduzione non sono gratuiti in Swaziland; le donne non hanno accesso ai contraccettivi o ai servizi pre-nascita senza pagare (anche se solo una cifra nominale). Gli uomini che arrivano nei centri per la circoncisione, d’altra parte, non pagano un centesimo. Inoltre l’unica giustificazione per i lavoratori precari per ricevere un bonus è la circoncisione. Perché questi servizi, che sono ugualmente importanti per la promozione della salute sessuale delle persone e del loro benessere, sono gratuiti per gli uomini e a pagamento per le donne? Che messaggio manda tutto ciò sul valore delle donne e della loro salute?
In fondo la circoncisione non dovrebbe essere un intervento isolato; dovrebbe affiancarsi a programmi che diano la priorità alla salute delle donne e che facciano da contrappeso agli specifici rischi dell’epidemia in Swaziland. Inutile dire che c’è ancora molto da fare per contrastare il machismo e promuovere i diritti delle donne in modo da affrontare il problema dell’HIV più esaustivamente – più facile a dirsi che a farsi nel regno di Mswati!
Kat Watson è una professionista della salute riproduttiva e vive a Londra. Le sue ricerche riguardano la sessualità in età adolescenziale e la salute riproduttiva, questioni di genere, i diritti della sessualità e le capacità evolutive dei bambini. Kat è un avvocato praticante e nel suo tempo libero ama bere le bianche, passeggiare per le campagne inglesi e viaggiare in Europa.
Fonte: genderacrossborders.com
Foto: International Women’s Health Coalition