Stupro nell’ex ambasciata somala di Roma
La posizione di Associazione Aiscia e Comunità somala di Roma e Lazio
Roma, 28 febbraio 2011
«Siamo in attesa di sapere, nella giornata di oggi, quando avverrà un incontro tra la Comunità somala e le associazioni che la appoggiano, il Sindaco di Roma Gianni Alemanno ed il Prefetto Pecoraro per stabilire un piano per mettere in atto lo svolgimento delle procedure riguardanti i richiedenti asilo». Sono le parole di Marian Mohamed Hassan, Presidente dell’associazione AISCIA (Associazione italo-somala comunità internazionale e africana ) e Presidente della COMUNITÀ SOMALA DI ROMA E LAZIO.
A seguito dello stupro avvenuto nella notte di venerdì nell’edificio abbandonato dell’ex ambasciata somala di via dei Villini, a Roma, Aiscia ha ottenuto un incontro con il Delegato del sindaco alle Politiche sulla sicurezza Giuseppe Ciardi.
«Quando sono stata avvertita dell’accaduto mi sono recata presso la struttura e l’ho trovata blindata. Successivamente ho appreso che 71 delle 130 persone che alloggiavano nell’edificio da tre anni erano ancora in stato di fermo presso la Questura centrale. Intanto i ragazzi erano al freddo: le forze dell’ordine si erano opposte a farli rientrare nella struttura dell’ambasciata. Alcuni hanno tentato di rientrare con la forza e sono stati picchiati dalle forze dell’ordine. Successivamente abbiamo ottenuto l’autorizzazione a che questi ragazzi passassero la notte all’interno della metro Barberini. Nel frattempo due di loro si sono sentiti male e sono stati accompagnati al Policlinico Umberto I».
Il Sindaco Alemanno «ha condannato questi ragazzi ed ha suggerito di espellerli dal territorio di Roma».
Marian Mohamed Hassan, come rappresentante dell’associazione Aiscia (Associazione italo-somala comunità internazionale e africana ) e della Comunità somala di Roma e Lazio sottolinea che «questi ragazzi sono rifugiati politici. Sono stati tolti da una struttura: il compito del Sindaco è quello di provvedere ad una struttura alternativa, anche se temporanea, e questo non è stato fatto».
L’associazione e la Comunità denunciano questa situazione dal 2007, «ma nessuno ha preso in considerazione questa problematica. Trattandosi di rifugiati politici era dovere assoluto delle istituzioni italiane prendersene cura».
Aiscia concorda con le istituzioni italiane sulla necessità di perseguire chi commette reati, «ma non si può condannare all’unanimità tutta la comunità somala per colpa di qualche delinquente perché la delinquenza può regnare in ogni stato. Non è possibile etichettare etnicamente le persone che non commettono reati. Ora restiamo in attesa che diventino realtà le promesse fatte da Ciardi di attivare il Piano freddo fino al 31 marzo per ospitare questi 130 ragazzi in strutture di prima accoglienza».