Qui l’intervento di don Antonio dell’Olio pubblicato sul quotidiano “Liberazione” il 21 agosto 2009.
“Somali uccisi in Libia. Lavoro sporco in appalto” – don Tonio Dell’Olio
Chiunque abbia ascoltato almeno per una volta la testimonianza di un immigrato africano sa bene che definire un’odissea il viaggio che li porta dal Sudan, dalla Nigeria, dal Ciad, dal Senegal o dalla Somalia in Italia attraverso la Libia, e’ un eufemismo fin troppo riduttivo. Si tratta di storie violente e degradanti, imbastite di presenze criminali transnazionali che si avvalgono di una fitta rete di coperture, di corruzione e di connivenze di polizie locali e di organismi internazionali.
Chi sa non parla, chi deve vigilare volta la testa da un’altra parte, chi ha firmato trattati e convenzioni internazionali li reputa carta straccia. Questo succede nelle acque del Mediterraneo ma anche al confine con la Spagna e nella striscia di terra che separa il Messico dagli Stati Uniti.
Quando in Italia e’ entrato in vigore il pacchetto sicurezza e, prima ancora, quando e’ iniziata la politica dei respingimenti indiscriminati, qualcuno ha fatto sentire la propria voce perche’ non si teneva conto dell’eventuale diritto d’asilo di altrettanti eventuali rifugiati politici, di perseguitati per reati di opinione, di vittime della violazione dei diritti umani, di gente che scappava da morte sicura e da guerre sanguinose.
Sono in molti a chiedersi che differenza c’e’ tra chi scappa dalla guerra e chi, altrettanto disperato, scappa dalla fame, ma e’ vero che sul piano del diritto internazionale l’Italia e’ tra i Paesi che hanno firmato le convenzioni che garantiscono l’accoglienza dei richiedenti asilo.
Purtroppo non e’ questa la prassi della Libia che continua a macchiarsi essa stessa di orribili violazioni e che riserva un trattamento degradante agli immigrati che attraversano il suo territorio.
Non basta stringere amicizia con un capo di Stato per riabilitarne la figura, ne’ serve a molto trasformarlo in un dirimpettaio simpaticamente goliardico come ha tentato buona parte dell’informazione nel corso della visita di Gheddafi in Italia, ne’ stringere con lui accordi importanti sul piano economico: Gheddafi resta un dittatore che ha sempre mostrato disprezzo verso il diritto internazionale, ha represso i dissidenti politici e attuato politiche unilaterali nel consesso internazionale fino a subire gravi condanne in termini di embargo.
Ma pare che di questi temi sia vietato parlare sulla stampa che conta.
Non un solo accenno, non una critica, non un’eccezione sollevata da chi dice di avere a cuore la sorte di esseri umani in tutto simili a noi se non per quella roulette della sorte che ha partorito alcuni in un dispensario del Ghana o in un sobborgo di Khartoum e altri in una clinica padana.
Avviene cosi’ che del massacro di venti cittadini somali uccisi in Libia nel corso di un tentativo di fuga verso la liberta’ si interessino solo poche testate e qualche sito internet. Vite di serie B contano poco sul piatto della bilancia mentre ci si prepara a festeggiare il primo anniversario degli scandalosi accordi italo-libici e il quarantennale del colpo di Stato del dittatore della Libia.
Attendiamo tutti un’interpellanza parlamentare, una nota di protesta della Conferenza episcopale italiana, un’inchiesta della magistratura per verificare che tra i morti non ci siano persone respinte dalla Guardia costiera italiana, un coro di dissenso di associazioni, una denuncia delle organizzazioni internazionali per i diritti umani. Perche’ avere fame non puo’ trasformarsi in una colpa ne’ nascere in Somalia puo’ divenire una condanna.
Il paradosso di questo tratto di secolo della politica nostrana consiste nell’essere riusciti a operare un passaggio dalla lotta alla poverta’ alla guerra ai poveri. Perche’ qui non si tratta piu’ soltanto di impedire l’arrivo sulle nostre coste di clandestini, ma di rifiutarsi di soccorrere chi chiede aiuto, chi chiede pane, dignita’, rifugio.
I somali uccisi a Benghazi non fanno notizia, non interpellano ne’ la coscienza ne’ la politica. In quest’Europa fortezza che continua a credersi al centro dell’universo le politiche del governo Berlusconi costituiscono un
avamposto encomiabile che ha avuto l’astuzia di affidare in subappalto alla Libia la gestione della grana dei clandestini. Nessun nuovo approdo a Lampedusa, riferivano fino a ieri le cronache estive.
Venti somali uccisi in Libia, denuncia la coscienza del mondo. Ed e’ una bilancia perfetta ma ci si illude di far tacere la fame, l’ignoranza, la guerra ovvero la folla sterminata degli affamati, le vittime dell’ingiustizia, i perseguitati. E’ il dolore del mondo che preme sulla pelle del globo e non puo’ essere fermato ne’ dalla politica, ne’ dalla violenza che stiamo esercitando sulle loro povere vite.