Tunisi 12 Marzo 2011
Il Mattino
Vittorio dell’Uva
«La Tunisia non sarebbe un bel Paese se non disegnasse il futuro e lasciasse scappare i suoi giovani». Il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi è appena uscita dal colloquio con il primo ministro Kaid Sebsi che fu amico di suo padre. Hanno esaminato insieme più temi, incluso quello dell’immigrazione clandestina.
Italia e Tunisia collaboreranno nel pattugliamento delle coste per impedire gli sbarchi a Lampedusa?
«Io sono qui nel quadro di un forte impegno di collaborazione politica. Ho fatto presente le difficoltà dell’Italia di ricevere quasi giornalmente barconi e della necessità di affrontare insieme il problema nella convinzione che anche la Tunisia subisce un danno».
Le risposte che ha ricevuto sono da considerarsi soddisfacenti?
«Si sono impegnati alla massima collaborazione recependo il nostro disagio e dicendosi disponibili a accettare materiali per la loro Guardia costiera. Il rischio di uno smacco c’è anche per loro. Noi sosteniamo il processo politico in atto e vogliamo che si consolidino i concetti di libertà che con la rivoluzione sono stati espressi. Questa può essere una storia di successo dei giovani. Bisogna evitare che fuggano».
Basterà a fermare il fenomeno della immigrazione clandestina?
«Quando dico che siamo pronti a fare la nostra parte parlo di iniziative concrete. Abbiamo stanziato cinque milioni per l’assistenza umanitaria determinatasi alla frontiera con la Libia. Attraverso la Cooperazione offriamo 250 milioni di euro in doni e crediti di aiuti che non sono per niente onerosi. Anzi direi che potrebbero rientrare nei fatti nella categoria delle donazioni. Stiamo anche lavorando ad una bozza per il raddoppio della quota di visti legali di ingresso legati al permesso di lavoro prevedendo corsi di formazione che aiutino a trovare una collocazione».
Le imprese italiane presenti in Tunisia collaboreranno a questo progetto consolidando la loro presenza?
«Su questo terreno possiamo ritenerci rassicurati. L’ambasciatore a Tunisi, Benassi, ha riunito di recente duecento esponenti del nostro sistema imprenditoriale in Tunisia. Ha trovato che anche dopo la rivoluzione tutti gli obiettivi sono stati tutti confermati. Nessuno se ne è andato, né pensa di farlo. Compresi i rappresentanti delle 12 imprese danneggiate durante la rivolta».
Quali altri soggetti potrebbero dare una spinta alla ripartenza della Tunisia?
«L’Europa è chiamata ad investire un Paese attraversato da un movimento epocale. Bisogna assolutamente creare sviluppo. Anche le regioni italiane dovrebbero farlo impiegando i fondi strutturali dell’Ue che a questo scopo sono stati stanziati. L’Italia è ossessionata dalla prospettiva di un’emigrazione di massa legata alla guerra civile in Libia anche se la maggioranza dei profughi che hanno superato il confine a Ras Ajdir e ha dichiarato che non ha alcuna intenzione di raggiungere l’Europa».
Non trova infondate troppe paure?
«Noi non sappiamo e non possiamo sapere che cosa succede in un Paese in guerra. Migliaia di rifugiati sono arrivati alle frontiere tunisine e abbiamo l’Italia ha collaborato a trasferirli come nel caso del Bagladesh nei loro Paesi d’origine. Ma un’esplosione migratoria non si può ancora escludere».
Fonte: esteri.it