Nonostante la rivolta e pochi interventi d’emergenza, le condizioni di vita dei braccianti nei campi di agrumi e olive sono rimaste le stesse. All’origine della “guerriglia” non la rivendicazione, ma l’esasperazione: la tesi di Francesca Onorato
BOLOGNA – Dal 2010 ad oggi le condizioni di vita e lavoro dei braccianti stranieri impegnati nei campi di agrumi e olive della Piana di Rosarno (Reggio Calabria) non sono cambiate. Nonostante la rivolta del gennaio 2010, e pochi interventi d’emergenza, “tutto è rimasto come prima”. Perchè? Cosa succede a Rosarno? A porsi queste domande è Francesca Onorato, 25enne, di Cetraro in provincia di Cosenza. Francesca si è laureata il 22 luglio in Scienze Politiche all’Università di Bologna, con una tesi magistrale su: “Tre anni dopo nulla è cambiato: Rosarno dopo la rivolta dei braccianti”, relatore il professor Maurizio Bergamaschi. Così, per due settimane nel 2013, ha vissuto nella Piana di Rosarno,confrontandosi con l’associazionismo locale, il Comune, gli operatori del distretto agricolo, gli immigrati regolari e quelli “invisibili”.
“Ho voluto approfondire questa realtà perché ricordo bene l’eco mediatico che la rivolta dei lavoratori dei campi assunse nel 2010 dopo il ferimento di un bracciante con un fucile ad aria compressa da parte di due rosarnesi – spiega Francesca -. Per un certo periodo si sentivano quotidianamente notizie di quei due giorni di scontri tra migranti e gente del luogo, si sentivano notizie su quanto le istituzioni stessero facendo per riportare l’ordine e migliorare la situazione. E poi piano piano l’attenzione si è attenuata, fino a scomparire. Come i riflettori se ne sono andati, la realtà è tornata quella di prima, se non peggiore perché la domanda di lavoro è aumentata. Volevo capire come mai abbiamo assistito a tanto rumore a livello nazionale e poi ci siamo ritrovati punto e a capo…”.
Il lavoro di Francesca si è sviluppata in 3 passaggi: prima sono state studiate le caratteristiche della popolazione immigrata a Rosarno e quelle dell’agricoltura, individuata come attivita` economica principale della zona, strettamente legata al caporalato per la propria sopravvivenza; in un secondo momento sono state analizzate le difficoltà vissute dagli immigrati che lavorano come braccianti, le strategie di adattamento a tale contesto ed i principali avvenimenti che hanno caratterizzato la rivolta degli immigrati del 2010; il terzo punto si è concentrato poi sugli interventi principali messi in atto dal terzo settore e dalle istituzioni prima, durante e dopo la rivolta.
Cosa ne è emerso? Le condizioni di lavoro dei braccianti – racconta Francesca nella tesi – sono soggette al caporalato: migliaia di persone straniere vanno quotidianamente sulla statale 118 e vengono selezionate a giornata dai caporali e portate a lavorare nei campi. Qui lavorano finché c’è luce e sotto qualsiasi condizione atmosferica, mangiando, se sono fortunate, con un panino o con quello che raccolgono, il tutto per guadagnare circa 35 euro al giorno, di cui 10 sono del caporale. Il giorno dopo di nuovo in fila sperando di essere selezionate ancora. Anche le condizioni di vita sono pessime e precarie, specie per coloro che non vivono nel Centro di accoglienza. Per molti la vita è caratterizzata dal sovraffollamento nella tendopoli allestita anni fa dalla Protezione Civile, spesso mancano i servizi essenziali come acqua calda, gas, elettricità e molte volte, per chi vive nei casolari sparsi per i campi, mancano addirittura i tetti. Se per alcune persone questo tipo di vita è una necessità, per altre è una scelta – racconta ancora Francesca: l’obiettivo è quello di ridurre al minimo le spese cercando di massimizzare il guadagno per il periodo in cui si resta a Rosarno.
L’ipotesi – sostenuta nella tesi di Francesca – della causa che portò alla rivolta dei braccianti non vede la “guerriglia” come rivendicazione dei propri diritti, ma piuttosto come un’azione mossa dall’esasperazione, dal desiderio di denuncia e dalla frustrazione accumulata per le condizioni di vita legate ad un sistema produttivo inasprito dalla globalizzazione e dalla crisi economica. (Sarah Murru)
Fonte: migrantitorino.it, www.redattoresociale.it