Riceviamo e pubblichiamo questo comunicato di diverse organizzazioni impegnate nella piana di Gioia Tauro per i diritti delle persone che li lavorano e sopravvivono.
AFRICA-ITALIA: ROSARNO SAN FERDINANDO PIANA…
LA DEMOCRAZIA NON HA COLORE, LA GIUSTIZIA NON CONOSCE FRONTIERE
Che questa sia ora, adesso e… chi sa per quanto tempo ancora, una parte disastrata e volutamente “dimenticata” dell’Italia, ce lo siamo detto tutti: lavoratori stranieri, autoctoni, giornalisti, turisti, semplici passanti “stuzzicati” dalla curiosità… Tutti quanti hanno volto lo sguardo verso la tragica ribalta della tendopoli di San Ferdinando allestita per “ospitare” i lavoratori stranieri, giunti per la stagione della raccolta. Situata nella seconda zona industriale della piana, giorno dopo giorno questa struttura ha assunto le sembianze di un unico grande ghetto.
Dopo mesi in cui i rimpalli istituzionali, gli allarmismi mediatici, l’indifferenza dello Stato con la sua incuria ed inerzia programmate, la deriva d’un modello d’accoglienza nato già fatiscente, sono diventati disagi reali per 320 persone, diventate poi in brevissimo tempo 1.200, 1.300… dopo diversi mesi, due, tre, quattro, senza contare quelli precedenti in cui tutto si poteva e si doveva prevedere… ecco che alla metà di febbraio, con la stagione delle clementine finita e quella delle arance morente, con le presenze ridotte a meno della metà e il lavoro che quasi del tutto manca, arriva la Madre di tutte le soluzioni: aprire una nuova tendopoli per eliminare il “campo della vergogna”. Tutti i residenti della vecchia tendopoli hanno 2 giorni di tempo per trasferirsi nel nuovo campo e da oggi in poi dovranno pagare 30 euro al mese per dimorarvi. Prendere o lasciare. Ci stai o te ne vai. Queste le comunicazioni, per chi degli africani ha avuto in sorte di riceverle, al 9 – 02 – 2013. Persone che nei mesi precedenti hanno lavorato a salari che vanno dai 20 ai 30 euro al giorno, a cadenza saltuaria per non più di tre-quattro giorni la settimana, inviando a casa, come facevano anche i nostri quand’erano in America o in Germania, tutta la parte di guadagno che resta dalla sopravvivenza quotidiana. Nel momento in cui non c’è più niente da mandare e la sussistenza diventa un difficile esercizio di quotidiana economia, si chiede a tutti di sborsare per l’accoglienza una somma pressocché pari al costo di un affitto in casa con altre persone. Anche a chi è entrato nel vecchio campo sapendo di pagare solo 5 euro al mese e di punto in bianco scopre che le regole sono cambiate.
E perché poi? Le tende le ha mandate il Ministero, la logistica- allacci, elettricità…viene sostenuta con i fondi della Caritas e della Provincia…dunque cosa resta? La manutenzione e la gestione, che fino a giugno, periodo previsto per lo smantellamento, possono ammontare a non più di 20.000 euro, facendo un calcolo per eccesso. Ben meno dell’indennità mensile di due consiglieri regionali della Calabria (regione povera, si sa, ma con le indennità e stipendi ai consiglieri regionali tra i più alti in Italia). Per una strana cocciutaggine istituzionale, si preferisce dunque creare tensione tra i braccianti della tendopoli e metterli in una condizione esasperante anziché provvedere semplicemente agli spiccioli necessari per i mesi a venire. Questa la soluzione, dopo tutti gli sprechi dovuti a un modello d’accoglienza che cronicizza l’emergenza e riproduce il disagio tra gli ospiti e nel territorio. E ancora: possibile che da mesi si urli, più che parlare, a proposito della tendopoli, si convochino tavoli e si prendano iniziative senza mai pensare di dover chiedere a chi ci vive cosa pensa delle scelte che vengono prese sulla sua vita? È strano che ci sia tensione quando le cose si fanno così? No. Perché allora agitare lo spettro di disordini e rivolte tutte le volte che si parla degli africani, quando poi in realtà, anche a fronte di condizioni oggettive che i disordini li possono suscitare, chi davvero ha frequentato il campo in questi mesi ha notato come la situazione sia sempre stata tutto sommato calma? Perché si deve sempre pensare che queste persone, questi lavoratori, debbano accettare in ogni caso come un’elargizione un’accoglienza che non funziona e va tutto a vantaggio di un sistema che anche tramite questa può contare sul deprezzamento della manodopera? Se quest’anno si è lavorato, come pare, anche a 18 euro al giorno, una tale compressione è anche possibile in virtù del fatto che chi l’accetta non debba pagare per dormire. Azzardiamo l’affermazione che tutti, tutti, se gli si chiedesse cosa preferiscono tra i campi gratis col lavoro a 18 euro al giorno e le case in affitto con salari legali, sceglierebbero la seconda. E che, se fossero messi in queste condizioni, non solo si eviterebbero gli sprechi di denaro pubblico ma il pagamento degli affitti sarebbe un flusso economico distribuito sul territorio. Non ci sarebbero ghetti, non ci sarebbe degrado, non ci sarebbero le tensioni etniche … e magari i ragazzi che devono andare a scuola la mattina da un paese all’altro potrebbero prendere l’autobus con gli africani che si recano nei luoghi d’impiego. In questo caso sì, nessuno si chiederebbe se siamo in Italia qui, se siamo Italia noi. Penserebbe semplicemente che questo è normale nella parte d’Europa che s’affaccia al sud del Mediterraneo.
Di certo, noi ci sentiamo di affermare che Italia lo sono loro, i braccianti stagionali, dal momento in cui il loro sudore porta nei supermercati di tutto il mondo i prodotti agroalimentari che fanno celebre il nostro made in Italy. E a chi come la Coldiretti o altre organizzazioni di categoria si consuma le corde vocali per difendere le produzioni locali domandiamo come mai nessuna attenzione venga riservata a questa situazione. Come mai chi a suo tempo ha lanciato l’appello per “non lasciare sola Rosarno” non muove foglia ora per reperire una somma tutto sommato irrisoria? Eppure è chiaro che di queste organizzazioni fanno parte anche grosse aziende che di questa manodopera hanno necessità e delle condizioni in cui versa portano, economicamente, la responsabilità.
Rosarno, San Ferdinando, la piana intera sono lasciate sole più che mai con questo problema che invece riguarda tutta la filiera agroalimentare nazionale e per 20.000 euro si preferisce acuire la crisi della tendopoli anziché risolvere il problema immediato e andare avanti nella ricerca di soluzioni più eque e razionali. Si preferisce soffiare sul fuoco dell’incomprensione, della paura, della xenofobia anziché creare le condizioni per la pacifica convivenza e l’integrazione. Ma per qualcuno, è chiaro, l’integrazione è un male. Perché chi vuole le clementine a 20 cent deve volere anche le masse di africani in giro per i campi del meridione in condizioni indicibili. Deve volere che stiano male ovunque, così restano giusto il tempo per farsi sfruttare e se ne vanno non appena il lavoro finisce o diminuisce. E devono essere invisibili e precari, sempre potenzialmente “clandestini”, perché accettino qualunque condizione e considerino una benedizione un contratto anche quando è solo paravento per un lavoro sostanzialmente nero. Questo, secondo noi, il senso di questi trenta euro che lo stato chiede ai braccianti immigrati: se il lavoro ce l’hai a sufficienza resti, sennò torna in giro a cercarlo dove ti pare fino a che non ci servi di nuovo.
È strano che si arrabbino, è strano che protestino, come fanno di questi tempi tutti i cittadini, come fanno da noi i paesani se gli chiudono gli ospedali o i lavoratori delle ferrovie se chiudono il servizio? A noi non sembra strano affatto e strana, anzi scandalosa, ci sembra la richiesta di 30 euro al mese a bracciante come soluzione che le istituzioni hanno deciso per un problema che si rimpallano da mesi e mesi. E salutiamo con favore e sosteniamo il processo democratico che ha portato gli africani residenti nel campo a riunirsi in assemblea, esprimere delle richieste e inoltrarle alle istituzioni responsabili per il tramite di delegati. Ci sembra anzi una lezione di democrazia che i cittadini della piana dovrebbero apprendere in fretta, in un periodo in cui i diritti di tutti vengono sempre più ridotti.
Approviamo dunque l’esito di questa iniziativa: l’ottenimento di accedere al nuovo campo senza dover pagare niente. In attesa che si definiscano meglio gli attori e i termini della gestione, pensiamo che questi dovranno misurarsi costantemente con questo organo di rappresentanza degli ospiti, nel segno della partecipazione e della responsabilità ch’è sempre il principale antidoto a ogni tipo di degrado.
Dichiariamo che saremo lì, insieme, noi associazioni di questo territorio che vedono nel dialogo e nell’interazione con i lavoratori stagionali una risorsa fondamentale per la vita democratica di questa terra. Continueremo con le attività che già facevamo, scuola d’italiano, animazione culturale, sostegno materiale… assecondando l’autonoma organizzazione degli abitanti della tendopoli e cercando insieme a loro le migliori soluzioni a problemi che ci riguardano tutte e tutti.
Africalabria, donne e uomini senza frontiere, per la fraternità
Rete nazionale Campagne in Lotta
FLAI – CGIL comprensorio Gioia Tauro
Kollettivo Onda Rossa – Cinquefrondi
San Ferdinando in Movimento
C.S.O.A. Angelina Cartella – Reggio Calabria
Chiesa Battista – Reggio Calabria
SOS Rosarno
Laboratorio Trama e Ordito – Nicotera