Un turista di passaggio a Rosarno in questi giorni non sospetterebbe minimamente che solo quattro mesi prima questa stessa città possa essere stata il teatro delle violenze tra africani e italiani. A Rosarno, città di 15 mila abitanti e un Comune commissariato per mafia, si e’ verificata quella che molti hanno chiamato la prima “deportazione” all’interno del ‘Bel Paese’.
Le forze dell’ordine, quel pomeriggio del 8 gennaio 2010, non hanno avuto altra scelta per evitare un bagno di sangue. Le premesse c’erano tutte. La sera tra il 7 e l‘8 gennaio, infatti, gli africani hanno manifestato violentemente (per la prima volta negli ultimi tre anni). All’interno di ognuno dei due gruppi, il diffondersi di false notizie aveva esasperato gli animi.
Disperati alla notizia dell’uccisione di 6 cittadini africani (rivelatasi poi falsa), i neri hanno bloccato la strada che collega Rosarno a Gioia Tauro, hanno distrutto automobili e negozi. La reazione degli italiani è stata la caccia all’uomo.
Solo dei neri.
I rumeni o i cittadini di altri continenti non hanno subito ritorsioni, secondo quanto è stato possibile apprendere. In pochissimo tempo le immagini delle violenze tra bianchi e neri hanno fatto il giro del mondo. “Colpevole” di dare un passaggio a tre africani a manifestazione finita intorno alle ore 13 dell’otto gennaio, la mia auto veniva presa a calci e pugni da un gruppo di italiani già fermati dalle forze dell’ordine. Grazie al loro celere intervento adesso mi trovo qui a scrivere.
Oggi, per uno straniero lavoratore stagionale quasi nulla e’ cambiato. Identiche rimangono le condizioni di lavoro, identico risulta essere il salario. In molti casi sono peggiorate le condizioni abitative. Mentre alcuni “fortunati”, infatti, si ritrovano a condividere un appartamento in 10 persone, pagando un affitto di 500 euro, altri vivono in mezzo alle campagne. Oggi a Rosarno sono presenti circa 300 africani, per lo più provenienti dall’Africa occidentale.
Nonostante il passare del tempo, per molti rosarnesi l’argomento e’ ancora fonte di malumori. Per esempio lo scorso primo marzo, a margine della conferenza dell’Arci a Rosarno, è scoppiata una feroce polemica tra lo scrittore senegalese Pap Khouma, che nel suo discorso aveva parlato di ‘caccia al negro’ per sintetizzare i fatti del 7-8-9 gennaio, e alcuni anziani calabresi che gli facevano notare che la popolazione di Rosarno non è razzista (vedi video di Africanews.it http://www.youtube.com/watch?v=mpI51OSOVAA). Lo scambio di vedute è stato così intenso che sono dovute intervenire le forze dell’ordine.
A distanza di quattro mesi i punti di vista su quei fatti sono due, diametralmente opposti.
Da una parte gli abitanti del posto fanno notare che la loro cortesia è stata ricambiata dagli insulti e dalle proteste violente degli africani. I rosarnesi intervistati sottolineano che hanno sempre accolto gli stranieri, che hanno dato loro coperte, cibo, vestiario e qualsiasi cosa fosse necessaria. All’improvviso hanno visto la propria città devastata, le proprie automobili distrutte e le vetrine dei negozi frantumate.
Dall’altra, i cittadini africani non si spiegano perché si spara loro addosso o, quando va bene, li si prende a scappellotti sulla nuca o in testa mentre camminano lungo la strada principale in cerca di lavoro. Un cittadino nord africano, che ha partecipato alla protesta dell’otto gennaio, ha detto: “Invece di sparare a noi dovrebbero andare a sparare in aria o agli uccelli se proprio devono sparare. Noi siamo qui per lavorare. Se non ci vogliono per lavorare che ce lo dicano e ci diano il biglietto per tornare nei nostri paesi, in Africa.” (http://www.youtube.com/watch?v=UlzqJmGET4s) Un rosarnese, che ha chiesto di restare anonimo, ha detto, riferendosi alle persone che sparavano contro gli immigrati: “ma li sparavano solo con i fucili caricati a pallini”.
La cittadinanza di Rosarno ha sentito subito il bisogno di prendere le distanze dalle violenze più gravi che sono state viste nelle TV di tutto il mondo. Una presa di posizione tardiva che ha lasciato l’opinione pubblica divisa tra colpevolisti e innocentisti. La contrapposizione frontale è tra chi sostiene che “i rosarnesi hanno fatto bene” e chi dice che “gli africani erano stanchi di vivere in quelle condizioni”.
La contrapposizione è anche tra due modi opposti di fare giornalismo. Chi si occupa solo della cronaca dell’ultima ora, non può che trovare giustificazioni alle reazioni dei rosarnesi: si sono visti “all’improvviso” la città devastata e si sono difesi da soli essendo stati “abbandonati da tutti”. Chi, invece, tra gli operatori dei media, contestualizza i fatti di gennaio 2010 in rapporto alla cronaca degli ultimi anni, non può non notare che le proteste degli africani sono avvenute a partire dal 2007. Ogni anno le proteste degli stranieri sono avvenute in risposta a fatti delittuosi avvenuti sul finire della stagione della raccolta degli agrumi. In breve, fino a quando serviva un po’ di manodopera tutto andava bene. Quando incominciava a non servire più, ecco che si verificavano le “ragazzate”, come sono state chiamate da qualche abitante della zona.
Nel dicembre 2008, per esempio, a seguito del ferimento a colpi di arma da fuoco di due cittadini della Costa d’Avorio, tutti gli africani, indipendentemente dalla loro nazionalità, hanno fatto la fila per denunciare l’accaduto alle forze dell’ordine. Si tratta di qualcosa di straordinario per la città di Rosarno e della provincia di Reggio Calabria.
“Prima li abbiamo accolti e ora ci dicono ‘Italiani vaffanculo’, ‘italiani razzisti’. Pero’ non sanno che quando non avevamo lavoro noi non siamo scesi in piazza. Quando hanno ammazzato qualcuno di noi, non abbiamo denunciato”, ha detto una signora che assisteva al rientro degli africani dopo la manifestazione di fronte al Comune di Rosarno, la mattina dell’otto gennaio.
Dopo tre giorni di violenze, lunedì 10 gennaio 2010 era stata organizzata una marcia per dire che Rosarno non è razzista. L’immagine di pochi africani in testa al corteo insieme alla ragazza con l’occhio nero a causa delle proteste degli africani, ha fatto il giro del mondo.
Subito dopo le violenze, le analisi hanno occupato le prime pagine dei giornali e immancabilmente è riaffiorata l’ipotesi, avvalorata da alcuni magistrati che stanno tuttora indagando, che le ‘ndrine (le famiglie della ‘Ndrangheta) di Rosarno avrebbero appoggiato la caccia all’uomo messa in atto da alcuni rosarnesi, probabilmente membri di gruppi di estrema destra.
Secondo un giornalista che vive e lavora nella Piana di Gioia Tauro, Lucio Rodino’, non si tratta di razzismo ma di una reazione dovuta ad una mentalità ‘ndranghetista.
“Bisogna capire che ciò che ha acceso gli animi anche delle persone più miti e’ stata la diffusione della notizia falsa che una donna incinta aveva perso il bambino a causa delle violenze degli africani. Per qualsiasi ‘ndranghetista fare un torto a una donna, per di più incinta, è un crimine gravissimo e ingiustificabile. Le donne non si toccano, neanche durante le guerre di ‘ndrangheta”, dice Rodino’ di InquietoTV.
La magistratura poteva fare di più?
“Sicuramente si poteva fare di più però, a parte la condanna al soggetto (Andrea Fortugno) confermata in Appello per aver sparato a due cittadini africani nel dicembre 2008, condanna raggiunta grazie alla loro denuncia [degli africani], la procura di Palmi ha istruito negli anni scorsi tutta una serie di procedimenti sia per sfruttamento sia per illecito impiego di lavoratori extracomunitari oltre ad avere sequestrato un’azienda agricola e tratto in arresto un caporale di nazionalità tunisina”, ha detto il procuratore di Palmi, Giuseppe Creazzo, che sta conducendo le indagini sugli scontri di Rosarno (vedi video http://www.youtube.com/watch?v=oRX62RDOUQs).
A tutt’oggi non ci sono sviluppi per quanto riguarda le indagini sugli italiani coinvolti nelle violenze razziali che hanno aperto il 2010. Nei prossimi mesi, tuttavia, si dovrebbero celebrare i processi. Tre gli italiani individuati dalle forze dell’ordine in merito ai fatti di gennaio: due di questi dovranno rispondere di tentato omicidio, uno di resistenza aggravata a pubblico ufficiale. “Le udienze si svolgeranno tra aprile e maggio”, ha aggiunto Creazzo.
Sindacati e ispettorato del lavoro. Dove sono?
“Gli immigrati si rivolgono a noi con tutti i limiti che la legge ci impone soprattutto questa legge che ha introdotto il reato di clandestinità di fatto limita l’azione per la difesa dei diritti dei lavoratori”, ha detto Antonio Calogero segretario della FLAI CGIL (FEDERAZIONE ITALIANA LAVORATORI AGRO INDUSTRIA) di Gioia Tauro. Alla riunione della CGIL nazionale a Rosarno, lo scorso febbraio, c’era un solo cittadino africano che vive stabilmente a Rosarno ormai da tanti anni. “Non credo che cambierà niente. Vengono dette tante cose. Sono stati fatti dei programmi ma poi nella pratica non cambia mai niente”, ha detto Oussein, cittadino della Costa d’Avorio, a margine dell’incontro della CGIL a Gioia Tauro lo scorso febbraio. Oussein è uno di quegli africani che vive da anni a Rosarno. Esattamente da otto anni.
I lavoratori stagionali che lavorano nei campi sono la forza lavoro che fa girare un sistema di sfruttamento che ha danneggiato le casse dell’Unione Europea fino a non molti anni fa. Solo ultimamente la magistratura e tutte le istituzioni coinvolte, a partire dall’ispettorato del lavoro hanno controllato e denunciato. Il sistema si reggeva sui contributi all’agricoltura dell’UE. “
“La cosa funzionava così”, è scritto in una mail inviata da Don Pino Demasi, vicario generale della Diocesi di Oppido-Palmi e referente di Libera per la Piana di Gioia Tauro, prima di Pasqua. “Le cooperative dei piccoli proprietari raccoglievano le arance per poi smerciarle verso i grandi mercati ortofrutticoli e le industrie alimentari del Nord. Queste stesse associazioni, dirette da un personale proveniente equamente dal ceto politico di centrosinistra e di centrodestra, gestivano i contributi europei. Poiché questi ultimi erano proporzionali alle quantità di agrumi conferiti dai contadini alle cooperative, Rosarno produceva una sterminata quantità di arance, molte sugli alberi, ma molte di più sulla carta. Se il contadino portava un certo ammontare di agrumi, l’associazione, nella fattura, ne dichiarava tre, cinque, perfino dieci volte tanto. I proprietari degli agrumeti incassavano così dei contributi finanziari gonfiati, che, in misura assai modesta, stornavano ai contadini per assicurarsi, a buon mercato, la complicità collettiva; per quella dei disoccupati rosarnesi ci pensava l’Inps con i suoi elenchi falsi e senza fine, di braccianti agricoli per i quali non veniva versato quanto dovuto alla previdenza.
Poi, nel 2008, la decisione di Bruxelles: allarmati dalla scoperta delle truffe, i burocrati della comunità europea hanno bruscamente deciso di mutare il criterio d’erogazione dei contributi, legandolo agli ettari e non più alla produzione. Questo ha comportato che laddove, prima, il proprietario di un giardino riceveva ottomila euro ad ettaro, ora riesce ad ottenerne poco più di millequattrocento. E così a Rosarno, quest’anno, gran parte delle arance sono restate sugli alberi, il loro prezzo di vendita non copre neppure il costo di produzione”.
“I controlli li abbiamo fatti. Abbiamo controllato più di 1000 lavoratori”, dice Mimmo Verduci, direttore dell’ispettorato del lavoro della provincia di Reggio Calabria. “Dopo i fatti di Rosarno abbiamo intervistato una cinquantina di aziende, oltre 300 lavoratori e per buona parte di questi è stato scoperto che lavoravano a nero”, ha aggiunto lo stesso. 37 ispettori del lavoro controllano un territorio vasto e aspro come quello della provincia di Reggio Calabria. Per di più su questi 37 ispettori, solo 7 sono quelli che si occupano dell’agricoltura. “Abbiamo in programma di continuare la nostra azione insieme alle forze dell’ordine in modo strutturale. Finora il loro aiuto è stato solo sporadico”, ha aggiunto Verduci.
Non solo ‘Ndrangheta e truffe: la solidarieta’ rosarnese
Per quanto contraddittoria questa realtà possa sembrare, a Rosarno il volto della solidarietà non manca. E’ l’altra faccia della medaglia: da una parte ‘ndrangheta e mentalità malavitosa, sopraffazione e arroganza, dall’altra bontà d’animo, apertura di spirito, tolleranza, solidarietà.
Giuseppe Pugliese, uno dei pochi che per umanità ha deciso di seguire e aiutare in ogni modo possibile i migranti che ogni inverno arrivano nella sua Rosarno, ha fondato l’unico gruppo di volontari che li assiste: l’Osservatorio migranti. Commentando la gestione delle’emergenza dovuta agli scontri tra africani e italiani a Rosarno lo scorso gennaio, ha detto: “Il governo ha voluto fare giustizia ma è solo un’operazione di facciata perché a loro [ai migranti] non è stata offerta nessuna alternativa”. Tuttora infatti sono costretti a scappare attraversando tutta la penisola. Al nord non trovano più lavoro come un tempo. Così scappano a sud che è impreparato a qualsiasi tipo di accoglienza e che è imbrigliato negli stessi problemi che si perpetuano da 150 anni.
A Rosarno gli africani trovano un aiuto in “Mamma Africa”, come l’hanno ribattezzata. Al secolo Norina Ventre, Mamma Africa è una signora sull’ottantina che insieme a diverse persone di Rosarno e della Piana aiutano i migranti con cibo, coperte, vestiti e tutto il necessario. Ogni domenica, nel suo ‘giardino’, cioè nel suo terreno perché a Rosarno tutti i terreni agricoli si chiamano giardini, organizza una grande tavolata e offre un pasto caldo ai migranti. “Quand’è possibile c’è anche il dolce” dice. “Sono stata molto amareggiata quando [nell’inverno del 2009] un ragazzo si è suicidato. Mi hanno detto che è andato in un bosco e non è più tornato. L’hanno trovato appeso a un albero. Questo ci ha fatto convincere che è importante farli sorridere. Oltre a dargli un pasto hanno bisogno di un sorriso. In fondo sono dei ragazzi”, dice Mamma Africa.
La nuova Italia si vede anche nell’associazione Omnia, un gruppo di stranieri che svolge la funzione di interfaccia tra le comunità di migranti e le istituzioni. In pratica aiuta le persone in difficoltà con i documenti, offre un’assistenza legale nonostante tutte le difficoltà logistiche e la mancanza di fondi e soprattutto fissa gli appuntamenti con i medici per le visite ambulatoriali.
“Il 6 gennaio di ogni anno – dice Giuseppe Lavorato, ex sindaco di Rosarno – si festeggiava la giornata della fratellanza universale. La piazza Valariot, intitolata a un valoroso combattente per i diritti dei braccianti ammazzato dalla ‘Ndrangheta, le suore preparavano le zeppole. C’erano oltre 100 nazionalità e tutti ballavano e mangiavano nella piazza principale di Rosarno”.
Tutto questo non succedeva nel XIX secolo ma meno di 10 anni fa. “Quello che ho visto io da sindaco è stata l’unione dei braccianti e dei migranti. Lottavano insieme per gli stessi diritti. Entrambi si ribellavano all’arroganza della ‘Ndrangheta”, conclude Lavorato.
Secondo molti abitanti di Rosarno e della Piana, la sua opinione è rimasta ancorata a quegli anni, tra il 1990 e il 2000. Oggi, dicono in molti, i figli di quei braccianti solidali, oggi non sono più solidali con i migranti. Al contrario vedono negli stranieri solo maggiore concorrenza nella spartizione dei posti di lavoro.
Ovviamente la denuncia e la protesta dei cittadini africani che hanno dimostrato più volte un senso dello Stato superiore a quello degli abitanti del posto, denunciando un sopruso alle forze dell’ordine e permettendo così l’arresto del colpevole in pochi mesi, ha evidenziato la mancanza di governo del territorio da parte delle istituzioni.
Le responsabilità sono diffuse a tutti i livelli: sono mancati i controlli sanitari, sono mancati i controlli sul lavoro non solo degli stranieri ma anche degli italiani, è mancata in breve la politica che dovrebbe risolvere i problemi sociali ed economici.
Al contrario non sono mancati gli slogan. Non sono mancati i commenti che puntano il dito contro gli immigrati quando piove troppo. Soprattutto è mancata un minimo di buona volontà, soprattutto politica, per risolvere i problemi in modo che chiunque, indipendentemente dal passaporto, possa vivere in pace e prosperità. Ad oggi, aprile 2010, è troppo presto per dire compiutamente cos’è cambiato dai fatti di gennaio.
Con l’avanzare dell’inverno si ripresenterà, come ogni anno, la necessità di avere più forza lavoro presente nelle campagne. Solo allora potremo dire se le cose sono davvero cambiate.
di Piervincenzo Canale