Roma, 18/ 2/2013. Il Tribunale militare di Rabat ha pronunciato ieri una durissima sentenza nei confronti di 25 attivisti sahrawi, di cui 23 detenuti da due anni a seguito dei fatti di Gdeim Izik. In questa località non lontana da El Aiun, la capitale del Sahara Occidentale occupato militarmente dal Marocco, 20.000 sahrawi si erano radunati pacificamente nell’Accampamento della dignità, dall’ottobre al novembre 2010, nella prima manifestazione di protesta della cosiddetta « primavera araba ». L’accampamento è poi stato raso al suolo con un attacco militare.
I 24 imputati sahrawi erano stati accusati di aver ucciso dei poliziotti e dei gendarmi. Il processo, più volte rinviato, si è aperto il 1° febbraio e ha messo in evidenza le intimidazioni da parte del potere marocchino nei confronti dei famigliari dei prigionieri politici sahrawi, l’indisponibilità dei giudici militari a riconsiderare la propria competenza, a raccogliere le denunce di torture e maltrattamenti subiti dai detenuti, e l’inconsistenza delle prove : « confessioni » prefabbricate (ad es. quella di Naama Asfari, l’intellettuale più noto, laureato e perfettamente in grado di scrivere, firmata con un impronta digitale !), incongruenze nei dati di fatto, « armi del delitto » (coltelli) nuove di fabbrica, mancanza di autopsia sulle vittime presunte o di prove del DNA, video in cui nessuno degli imputati è riconoscibile.
La « giustizia » militare marocchina ha così eseguito il compito assegnatole : demonizzare una protesta giusta e doverosa, che poi si sposterà anche nel Marocco stesso col Movimento del 20 febbraio (2011) dopo essere passata per la Tunisia, l’Egitto e la Libia, e decapitare la protesta.
Sono stati pronunciati infatti ben 9 ergastoli (tra cui Hassana Aleya aggiunto all’ultimo momento, precedentemente arrestato e liberato senza accuse), 4 condanne a trent’anni (tra cui Naama Asfari), 7 a venticinque anni e 3 a vent’anni; due imputati hanno scontato la condanna con la carcerazione preventiva. La maggior parte degli imputati faceva parte del Comitato di dialogo con le autorità marocchine prima che l’accampamento fosse smantellato.
Si tratta di un fatto politico gravissimo, un’intimidazione a tutta la resistenza pacifica sahrawi ma anche a tutta l’opposizione marocchina, con un messaggio chiaro : « questo è il prezzo da pagare per chi si oppone alla monarchia ».
Quella del regime marocchino è tuttavia un’illusione.
I sahrawi vivono sotto occupazione dal 1975 e non hanno mai smesso di resistere, pur pagando prezzi elevatissimi : migliaia di morti, oltre 1500 scomparse, torture e repressione quotidiane. Non sarà certo questa sentenza a fermare la protesta.
E’ invece questa condanna a fare luce una volta di più sulle presunte riforme di una monarchia che di costituzionale porta solo il nome.
Fonte: comunicato stampa ANSPS onlus