La manifestazione che i sindacati confederali hanno organizzato il primo maggio a Rosarno è stata un’altra passerella di politici e sindacalisti. La prima parata di star nazionali è stata il primo marzo. In quell’occasione l’Arci nazionale aveva organizzato nella città calabrese una conferenza sul lavoro e gli immigrati senza coinvolgere né gli abitanti di Rosarno né chi nelle campagne ci lavora, cioè gli immigrati stessi che, tuttavia, erano presenti in sala ma non hanno parlato dal palco. Lo stesso copione lo hanno ripetuto i sindacati.
A dimostrazione che c’è qualcosa di questa realtà che non si capisce né a livello nazionale, né a livello internazionale, i rosarnesi e molti africani non hanno partecipato alla sfilata del primo maggio per le strade della città calabrese, ai discorsi dal palco o al concerto che ha concluso la giornata.
Probabilmente se il concertone nazionale, che annualmente si svolge a piazza San Giovanni a Roma, quest’anno lo si spostava a Rosarno qualcuno forse avrebbe recepito un messaggio diverso. Insomma è stata un’occasione persa o l’ennesima dimostrazione della crisi dei sindacati italiani.
Eppure questo primo maggio doveva essere una data importante. Si sarebbe potuto sottolineare con più forza che i recenti arresti avvenuti a Rosarno e dintorni sono stati compiuti grazie alla collaborazione degli africani, in molti casi sfruttati sul lavoro. Come del resto lo sono anche molti rosarnesi che stanno soffrendo la crisi economica forse più che in altre zone d’Italia.
“Le indagini in questo territorio – dice il procuratore di Palmi, Giuseppe Creazzo, che conduce le inchieste sulle violenze del 7, 8 e 9 gennaio – sono sempre abbastanza difficili perché non è frequente avvalersi di apporti di collaborazione. In questo caso abbiamo avuto un aiuto proprio dalla collaborazione di alcuni degli extracomunitari che erano stati sottoposti a queste condizioni di sfruttamento”.
Un ruolo quindi fondamentale, sottolinea sempre Creazzo, per avviare le indagini che poi sono proseguite con intercettazioni, appostamenti, controlli. I risultati sono importanti. Il 26 aprile scorso le forze dell’ordine hanno emesso 31 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di persone accusate di sfruttamento della manodopera clandestina straniera e di truffe. Venti aziende e 200 terreni sono stati sequestrati per un valore di 10 milioni di euro.
Queste sono inchieste che, se ce ne fosse ancora bisogno, dimostrano quanto forte sia la lotta in atto tra lo stato e la criminalità organizzata. Piero Grasso, il procuratore nazionale antimafia, è stato recentemente a Reggio Calabria dove ha inaugurato una strada intitolata a Gennaro Musella, imprenditore salernitano ucciso con un’autobomba il 3 maggio del 1982. In un incontro, Grasso ha raccontato che in una recente intercettazione alcuni boss lamentavano il fatto che ‘la gente è stanca’, notando che il rispetto aveva ceduto il posto alla paura.
Appena due giorni dopo aver arrestato 30 persone tra Rosarno e Gioia Tauro, le forze dell’ordine procedevano ad altrettante custodie cautelari, 40, nei confronti della cosca Pesce, una delle più potenti della Calabria.
Dietro al palco del concerto del primo maggio a Rosarno, alcuni marocchini, chiedendomi di restare anonimi, mi hanno detto che non vedono l’ora di ritornare nel loro paese visto che ormai quello che guadagnano in Italia equivale a quanto prenderebbero in Marocco.
Un parere condiviso anche da Ouseni Bance, cittadino del Burkina Faso (che vuol dire “il paese degli uomini integri”). Ouseni vive a Rosarno da una decina d’anni ormai. Ha sempre vissuto in centro e non è arrivato con le solite carrette del mare ma con l’aereo.
Lavora in un’azienda agricola di un rosarnese a Caulonia, uno dei cosiddetti “Comuni dell’accoglienza” che grazie agli stranieri ha risolto il problema dello spopolamento. “Qui a Rosarno mi trovo bene – ha detto – anche se c’è qualcuno che sbaglia. D’altronde è così in tutto il mondo.”
Piervincenzo Canale