Dopo il decesso di Nelson Mandela, primo presidente del Sudafrica eletto a suffragio universale, nonché Premio Nobel per la Pace nel 1993, ho letto in alcuni articoli e scritti riferimenti alla figura di Stephen Biko, attivista anti-apartheid sudafricano morto nel 1977 a causa delle violenze subite in carcere.
In particolare, gli scritti a cui mi riferisco in questa mia sorta di lettera sono: l’articolo intitolato “Histoire de mélodies Nelson” pubblicato su Libération weekend del 7 e 8 dicembre 2013 e “No Mandela non è il mio eroe” di J. Pougala.
In entrambi gli scritti gli Autori cadono nello stesso errore: cioè scrivono che Biko ha fatto parte dell’ANC, African National Congress, partito sudafricano di cui è stato tra i massimi leader Mandela.
Siccome ho compiuto numerose ricerche relative alla vita di Biko, recandomi anche nella township dove egli fu costretto alla misura della messa al bando, ovvero King William’s Town, e siccome da quelle ricerche è sortito un libro Il movimento della Consapevolezza Nera in Sudafrica. Dalle origini al lascito di Stephen Biko (ed. Erga, 2011), mi sento in dovere di puntualizzare l’errore prima evidenziato presente negli scritti citati.
Stephen Biko non ha mai fatto parte dell’ANC. Egli, come molti sudafricani, nutriva un profondo rispetto sia per Nelson Mandela, sia per Robert Sobukwe del Pan-Africanist Congress. Biko considerava Mandela, Sobukwe e coloro che erano imprigionati nel carcere di Robben Island – tra cui anche Govan Mbeki e Walter Sisulu – i veri leader della lotta contro il regime razzista legalizzato da una ristretta èlite bianca al potere.
Biko è stato invece tra i fondatori del Black Consciousness Movement, e principale ideologo di tale movimento, la cui organizzazione antesignana è stata la South African Students’ Organisation, SASO. Come ho messo in risalto nel mio libro, il Black Consciousness Movement non era un vero e proprio partito, a differenza dell’ANC; e i suoi esponenti, tra cui Biko, non volevano nemmeno che lo diventasse, almeno in una prima fase. Il Black Consciousness Movement, come rivela il nome stesso, era un movimento caratterizzato a livello concettuale e pratico da una “multi-dimensionalità”.
Come evidenzio nel mio saggio: “Per multi-dimensionalità si vuole sottolineare come la black Consciousness fosse un’elaborazione concettuale complessa, composta da più livelli di pensiero e come questi si traducessero, parallelamente, in diversi programmi di azione condotti dal BCM”. Il Black Consciousness Movement è stato innanzitutto un movimento nato per ri-svegliare le coscienze sopite dei neri, per annullare il loro senso d’inferiorità nei confronti dei bianchi, per infondere negli oppressi (neri, ma anche indiani e meticci) un senso di dignità, di umanità, di coraggio, di orgoglio, di speranza al fine di spezzare le catene dello sfruttamento economico e del razzismo da parte di una minoranza bianca.
Stephen Biko è stato certamente una straordinaria figura anti-apartheid, perché ha messo in evidenza come cambiando semplicemente la mente di un uomo si possa cambiare “il sistema”, si possano cambiare atteggiamenti, e si possano così intraprendere azioni volte a una profonda trasformazione sociale e politica di una nazione.
“L’arma più potente nelle mani di un oppressore è la MENTE degli oppressi”, frase celebre di Biko.
Biko morì troppo giovane e troppo presto. Forse, se fosse stato ancora in vita, sarebbe entrato nelle fila dell’ANC come molti altri suoi amici e colleghi del Black Consciousness Movement (si veda per esempio Patrick “terror” Lekota).
La storia però non si fa né con i se, né con i ma…
Piuttosto si fa con la ricerca e l’analisi corretta delle fonti, orali e scritte che siano.
Il 18 agosto 1977, Stephen Biko e l’amico Peter Jones, si imbatterono in un blocco stradale della Security Police, nei dintorni di Grahamstown (provincia orientale del Capo). Furono arrestati sulla base dell’Art. 6 del Terrorism Act, ai sensi del quale una persona poteva essere soggetta a detenzione incommunicado e per un tempo indeterminato. Vennero separati e le loro sorti furono molto diverse. Peter Jones, dopo 533 giorni di detenzione e di torture fisiche e psicologiche, venne rilasciato nel febbraio 1979. Stephen Biko il 12 settembre 1977 morì a causa delle torture subite durante la sua detenzione.
Il 12 settembre 1997, Nelson Mandela, in occasione del ventesimo anniversario della scomparsa di Stephen Biko, volle evidenziare come il BCM, attraverso i suoi messaggi e le sue azioni, abbia rivestito un ruolo non secondario nella lotta contro il regime di apartheid.
Principale contributo di tale movimento – asserì il primo presidente del Sudafrica democratico e multirazziale – fu la cristallizzazione dell’orgoglio nero e di sentimenti di unità fra tutti gli oppressi, con l’intento di contrastare, in primis, la strategia governativa del divide et impera. In tal modo, riuscì a dar forma organizzativa al disagio popolare proprio nel periodo in cui i principali leader politici erano in carcere e partiti come l’ANC e il PAC erano messi al bando.
I gruppi oppressi – grazie ai messaggi lanciati dal Black Consciousness Movement – dopo essere riusciti a eliminare i complessi di inferiorità generati nel corso di una dominazione oppressiva e razzista, divennero maggiormente consapevoli delle proprie capacità e potenzialità di cambiamento sociale. I gruppi oppressi furono così pronti a sacrificarsi per la libertà di un intero popolo, costituendo, inoltre, linfa vitale per la rinascita dell’ANC durante il periodo post-Soweto (cioè dopo la rivolta del 1976).
Ritornando quindi al punto iniziale, Biko non è mai stato un componente dell’ANC. Tuttavia, grazie alle idee e ai progetti che ha realizzato o che ha spinto a creare, è stato uno dei personaggi sudafricani più acuti, sensibili e innovatori in una fase storica davvero cupa per il Sudafrica ( e non solo, cupa per il mondo intero controllato com’era secondo le logiche della guerra fredda).
Credo che la figura di Stephen Biko dovrebbe essere conosciuta e rivalorizzata. Ecco perché consiglio caldamente e umilmente di leggere il suo più importante lascito, ovvero I write what I like (mai tradotto in italiano). Un testo curato dall’amico Aelred Stubbs (1923-2004) prete anglicano, in cui vi è un’intensa prefazione di Desmond Tutu, Premio Nobel per la Pace nel 1984.
di Silvia C. Turrin