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Non passa giorno che i mass media non trasmettano notizie del ritrovamento di decine o centinaia di cadaveri appartenenti a immigrati/profughi annegati mentre tentavano di arrivare a Lampedusa con barconi di fortuna in fuga dai paesi dittatoriali.
Molti di essi provengono dall’Eritrea, il paese che è stato definito “il lager-prigione a cielo aperto” sotto la dominazione di quello che ha il dubbio onore di essere stato nominato il dittatore più feroce di tutta l’Africa, Iseyas Afewerki, al potere da ormai quasi vent’anni.
Tra le varie ingiustizie e gli abusi che affliggono il paese e che sono stati denunciati dalle organizzazioni per i diritti umani spiccano il sawa, cioè la leva militare obbligatoria a tempo indeterminato, la persecuzione dei dissidenti e dei giornalisti, con la negazione totale della libertà di stampa, come pure la persecuzione delle minoranze religiose.
A livello di politica estera, bisogna anche ricordare le sanzioni dell’ONU che “hanno deciso di imporre un embargo sulle armi contro l’Eritrea, accusata di sostenere i miliziani islamisti in Somalia”
A fuggire dall’Eritrea sono soprattutto i giovani, in cerca di una prospettiva di vita dignitosa e migliore.
Nella maggioranza dei casi, queste fughe vengono intercettate dalle forze del regime e i giovani vengono rinchiusi, appunto, nei gulag a cielo aperto dove subiscono tutte le forme di tortura immaginabili
In altri casi, quando per fuggire si affidano ai trafficanti possono cadere vittime di ricatti e sequestri com’è capitato agli 80 eritrei sequestrati dai predoni nel deserto del Sinai, tenuti ancora a tutt’oggi in catene fino a quando non avranno pagato un riscatto di 8000 dollari ciascuno
I corpi che spesso riempiono quello che è diventato il cimitero del Mediterraneo appartengono ai “fortunati” che evasi dai campi, attraversando tutto il deserto del Sudan, erano riusciti con grandi stenti ad arrivare fino in Libia (una drammatica testimonianza di questi viaggi viene fornita nel documentario “Come un uomo sulla terra”).
Qui li aspettava un’altra grossa prova, cioè riuscire a sfuggire agli aguzzini di Gheddafi per poi imbarcarsi fino a Lampedusa.
Con lo scoppio del conflitto in Libia, prima la rivolta e adesso i bombardamenti delle potenze occidentali, i giovani eritrei si sono trovati ad affrontare ulteriori difficoltà, cioè:
1. sfuggire ai bombardamenti;
2. nascondersi per non essere scambiati per i mercenari di Gheddafi a causa della pelle nera;
3. non essere catturati dai rivoltosi libici, a conoscenza del fatto che Iseyas ha mandato tra 200-300 truppe eritree a sostegno dell’amico Gheddafi.
Quindi ancora maggiore si può considerare la sfortuna di questi giovani che erano finalmente riusciti ad imbarcarsi per poi annegare nelle acque del Mediterraneo.
E ancora più vergognosa risulta la responsabilità e la complicità dei paesi occidentali, in primis l’Italia. Come per i trattati di favore con il dittatore Gheddafi, l’Italia ha firmato diversi trattati con Iseyas Afewerki ottenendo condizioni favorevoli basate sullo sfruttamento dei giovani rinchiusi nei lager.
Ci possiamo considerare pienamente complici delle sventure dei giovani Eritrei su tutto l’arco delle loro vicissitudini, prima attraverso l’appoggio al dittatore eritreo, poi a Gheddafi e alle sue politiche di gendarme del Mediterraneo che garantisce il non arrivo via mare dei rifugiati.
Siamo poi responsabili della pratica dei respingimenti operati dalle motovedette italiane per i “fortunati” che siano riusciti ad arrivare nel Canale di Sicilia, per non parlare poi della detenzione nei Cie per quelli intercettati su suolo italiano.
Se vogliamo trarre qualche insegnamento da tutta la vicenda della Libia siamo ancora in tempo a lanciare un appello al nostro governo perché rescinda i trattati con Iseyas Afewerki, interrompendo il primo anello della catena di sventure che si abbattono sui giovani eritrei.
Siamo chiamati ad agire anche su tutti gli altri anelli, cioè a rivendicare il diritto d’asilo per i profughi, visto che l’Italia risulta essere il paese in Europa che concede asilo al minor numero di richiedenti, come pure batterci per l’abrogazione della Bossi-Fini e del pacchetto sicurezza che istituisce il reato di clandestinità, la pratica dei respingimenti e i Cie.
Considerato il legame storico che unisce l’Italia alla sua ex colonia eritrea, è fondamentale che chi ha a cuore i diritti umani comprenda l’importanza di agire tempestivamente a livello politico facendo pressioni sul nostro governo perché si muova per favorire mutamenti reali in Eritrea, volti a ripristinare i fondamentali diritti democratici quali libere elezioni, multipartitismo, suffragio universale, etc.
Il momento di agire è indubbiamente adesso per evitare altri morti nel Mediterraneo, prima che si scatenino ancora maggiori spargimenti di sangue contro il popolo eritreo, che a differenza delle popolazioni del Maghreb e del Medio Oriente è stretto in una morsa talmente brutale che rende impossibile le eventuali rivolte, verificatesi invece altrove in questi ultimi mesi.
Senza ombra di dubbio l’Italia sarà costretta a fare i conti in maniera pesante – in termini economici, di immagine nel mondo, di coscienza, di conflittualità – se non si affronta all’origine il quadro sopra descritto.
Diversamente l’emorragia di questi dannati della terra continuerà a perseguitare le nostre coscienze.
Vi invitiamo quindi a firmare questo appello che verrà depositato presso il Ministro dell’Interno Roberto Maroni e il Ministro degli Esteri Franco Frattini.
Comitato per la solidarietà con i popoli del nord Africa in rivolta, per informazioni contattare Hamid Barole Abdu: 339.5919387, Pina Piccolo: 338.6268250, Patricia Quezada: 339.1923429
sono stati è la petizione? Ho guardato per esso alla petizione pubblica (http://www.petizionepubblica.it) e non riusciva a trovarlo