Alessandro Arrighetti* & Daniela Bolzani** & Andrea Lasagni***
A fronte di un netto calo del tasso di natalità delle imprese fondate da italiani, il numero di imprese “etniche” è in costante crescita. Oggi gli imprenditori immigrati sono in grado di fornire nuove tipologie di servizi e di estendere la varietà dei prodotti disponibili, anche sui mercati a cui accedono gli autoctoni. Ma non è solo questo: negli anni più recenti l’imprenditoria immigrata ha assunto in Italia un ruolo sempre più rilevante come fattore di consolidamento dei processi di integrazione socio-economica degli stranieri nel nostro paese. Dai risultati ottenuti in un recente studio[1] emerge, infatti, che l’impresa etnica contribuisce a rafforzare la coesione sociale, perché diviene un vero e proprio luogo di scambio e di interazione sociale e non solo economica.
Nuove strutture organizzative per le imprese etniche
Lo sguardo sull’imprenditoria immigrata oggi è cambiato rispetto al passato. Le imprese etniche sono, infatti, più diversificate ed eterogenee di quanto comunemente si pensi. Tradizionalmente, infatti, venivano messe in evidenza le differenze tra imprenditori “nativi” e imprenditori immigrati (diverse motivazioni, differenti risorse disponibili, distanza nelle esperienze e nella cultura, ecc.), e le imprese etniche sono state spesso rappresentate come intrinsecamente “fragili”, per la discriminazione della società ospitante o perché esse operano in mercati protetti basati su stretti rapporti co-etnici.
Ma il fenomeno è più complesso. I nuovi modelli tendono a sottolineare l’eterogeneità delle soluzioni organizzative e produttive adottate dalle imprese etniche, all’immagine semplificata dell’impresa gestita da immigrati che ottiene un supporto essenziale dalle risorse fisiche, conoscitive e finanziarie specifiche della propria comunità di origine, si va sostituendo una visione in cui sono presenti numerosi modelli organizzativi e molteplici strategie di business.
Quali strategie, competenze e comportamenti per le imprese etniche?
Nel complesso, dal nostro lavoro[2] emerge una rappresentazione dell’imprenditorialità immigrata più composita di quanto non appaia negli studi precedenti. Innanzitutto, l’impresa etnica non utilizza in modo esclusivo risorse della comunità di origine, ma appare in grado di accedere alle opportunità fornite dai mercati principali e dalla comunità autoctona (Tabella 1).
Come accade per gli imprenditori italiani, la spinta alla costituzione dell’impresa è collegata al desiderio di autonomia e di indipendenza personale ed è sostenuta dal desiderio di autorealizzazione professionale e di valorizzazione delle proprie competenze e attitudini. Inoltre, le motivazioni che vedono la scelta imprenditoriale come ripiego (rispetto ad un lavoro dipendente) o come reazione alla condizione svantaggiata di immigrato sono presenti, ma non prevalenti. Poi, le scelte imprenditoriali sembrano meno condizionate dai legami con la comunità di origine rispetto a quanto previsto nella letteratura.
In sintesi, una parte delle imprese analizzate appare coerente con i modelli tradizionali che legano fortemente l’impresa etnica al network sociale di appartenenza dell’imprenditore che l’ha fondata, mentre una quota relativamente ampia di imprese etniche, invece, non trova corrispondenze in questo quadro concettuale.
Organizzazione e impresa etnica: l’ipotesi di “ibridismo culturale”
Il nostro lavoro sulle strutture organizzative dell’impresa etnica evidenzia che, all’aumentare della complessità organizzativa e al variare delle strategie adottate, cresce anche l’apertura dell’impresa a soggetti (clienti, fornitori, soci, dipendenti) provenienti da comunità diverse da quelle di origine dell’imprenditore. Si è scelto di utilizzare il concetto di ‘ibridismo culturale’ per descrivere le imprese gestite da soci di diverse nazionalità o in cui lavorano dipendenti provenienti da paesi differenti. Il risultato è che le imprese connotate da ibridismo culturale non sembrano mostrare strategie e comportamenti riconducibili alla fragilità e alla marginalità.
Le imprese con connotazioni “ibride” risultano caratterizzate da un orientamento molto marcato verso i mercati principali e da una offerta di prodotti e servizi non-etnici ad una popolazione di consumatori in prevalenza non co-etnica. Tali imprese, inoltre, dopo la fase di start up, hanno ricevuto un supporto esplicito da amici e conoscenti italiani e da consulenti e professionisti. Inoltre, le imprese “ibride” sono capaci di cogliere i vantaggi delle forme di associazionismo imprenditoriale (Tabella 2).
Si tratta, quindi, di figure esterne alla comunità di origine e derivanti da legami sociali e contatti sviluppati in Italia nel corso del tempo. Infine, le interviste presso le imprese “ibride” hanno permesso di evidenziare una migliore conoscenza della lingua italiana rispetto alle altre imprese gestite da immigrati.
In conclusione, possiamo affermare che l’impresa etnica sta diventando non soltanto una importante entità economica, ma anche un nuovo fulcro di scambio e di integrazione tra individui appartenenti a diverse comunità e depositari di relazioni e conoscenze molteplici e stratificate. In questo senso, l’impresa etnica deve essere considerata un fattore importante per la coesione sociale nel nostro paese.
[1] A. Arrighetti, D. Bolzani e A. Lasagni (2012), “Imprese etniche: competenze, strategie e mercati”, Working Paper del Dipartimento di Economia, Università degli Studi di Parma, disponibile in formato PDF al seguente indirizzo: http://econpapers.repec.org/paper/pardipeco/2012-ep08.htm.
[2] Agli inizi del 2012 sono state realizzate oltre 130 interviste ad imprenditori immigrati attivi nelle province di Parma e Bologna.
* Università di Parma
** Università di Bologna
*** Università di Parma
Fonte: migrantitorino.it