di Letizia Pascale
Crescono le tensioni tra gli stati: Atene richiama l’ambasciatore a Vienna, l’Ungheria annuncia un referendum sulle relocation, il Belgio ripristina i controlli alle frontiere con la Francia. Secondo Bruxelles il rischio di una crisi umanitaria su larga scala lungo la rotta dei Balcani è molto reale e vicina.
BRUXELLES – Rimangono appena dieci giorni per salvare il sistema europeo dal collasso. Non fa più giri di parole la Commissione europea sugli effetti devastanti che la crisi dei rifugiati rischia di avere sulla tenuta dell’intera Unione. E d’altra parte le fratture tra i diversi paesi membri sono sempre più profonde e difficili da nascondere. Ultima in ordine di tempo, quella tra Austria e Grecia, che ieri, con una mossa di rara durezza, ha richiamato in patria l’ambasciatore a Vienna. A scatenare le ire di Atene, la riunione che Vienna ha organizzato con i Paesi lungo la rotta dei Balcani per capire come ridurre i flussi di migranti in arrivo. Un incontro da cui la Grecia, nonostante le proteste, è stata esclusa: è un “grave problema per la democrazia”, ha tuonato una nota del ministero degli Esteri greco, avvertendo che “iniziative unilaterali per risolvere la crisi dei rifugiati, insieme con le violazioni del diritto internazionale e l’acquis europeo da parte degli Stati membri dell’Ue, sono pratiche che possono minare le fondamenta e il processo di integrazione europea”. Ufficialmente l’ambasciatore greco è stato richiamato dall’Austria solo per “consultazioni tese a salvaguardare le relazioni amichevoli” tra i due Stati. Ma per ora di amichevole c’è ben poco.
La Grecia infatti è stata di fatto abbandonata dai Paesi vicini che, nel corso della riunione svoltasi a Vienna, hanno concordato di fare blocco per non lasciare proseguire i profughi verso il nord.
“Il flusso di migrazione lungo il percorso dei Balcani occidentali deve essere sostanzialmente ridotto”, hanno dichiarato congiuntamente Austria, Slovenia, Croazia, Bulgaria, Albania, Bosnia, Kosovo, Macedonia, Montenegro e Serbia. Per questo i Paesi hanno deciso, da adesso in poi, di consentire il passaggio solo alle persone “in chiara necessità di protezione”.
Il che significa soltanto siriani e iracheni, ma esclude di fatto i cittadini afgani, tra i più numerosi in arrivo sulle coste greche. Un problema non da poco per Atene, visto che una decisione simile già messa in atto in questi giorni da parte della Macedonia ha già bloccato al confine settentrionale della Grecia circa 12mila persone, secondo i dati di Medici senza Frontiere.
Ad aumentare la tensione, come se già non ce ne fosse abbastanza, è arrivata anche la decisione dell’Ungheria, che ha deciso di ribellarsi al sistema dei ricollocamenti concordato a livello europeo per alleggerire Italia e Grecia di una parte di rifugiati.
“Introdurre quote per il ricollocamento di migranti senza il sostegno della gente equivale a un abuso di potere”, ha dichiarato il premier Viktor Orban, annunciando la decisione di indire un referendum popolare per chiedere ai cittadini un parere sulla questione.
Peccato che il sistema sia già stato approvato a maggioranza qualificata (con voto contrario dell’Ungheria) dagli Stati membri e la decisione sia quindi vincolante. Intanto anche il Belgio ha notificato alla Commissione europea la reintroduzione dei controlli alle frontiere con la Francia per paura delle ripercussioni che potrebbe avere, in termini di arrivo di migranti, l’annunciata chiusura della Giungla di Calais. I paesi che hanno sospeso Schengen salgono così a quota sette.
Troppo perché la Commissione europea non si facesse sentire. “Nei prossimi dieci giorni servono chiari segnali sul terreno o il sistema rischia di collassare del tutto”, avverte il commissario europeo all’Immigrazione, Dimitris Avramopoulos dopo l’ennesima riunione dei ministri dell’Interno Ue sulla questione.
“Tutti abbiamo la responsabilità di applicare soluzioni condivise, non c’è tempo per azioni non coordinate”, chiede. Le cose infatti si fanno sempre più difficili, soprattutto lungo la rotta dei Balcani: “La situazione è molto critica e la possibilità di una crisi umanitaria su larga scala c’è ed è molto reale e molto vicina”, ammette Avramopoulos.
L’esecutivo comunitario ha già chiesto a tutti gli Stati interessati di preparare piani di emergenza per fare fronte ad una eventuale crisi umanitaria, accrescendo prima di tutto le capacità di accoglienza dei rifugiati. “I piani di emergenza devono essere pronti nei prossimi giorni – insiste il commissario – ma non possono rimpiazzare le regole europee”.
Anche per il ministro dell’interno italiano, Angelino Alfano ci troviamo di fronte a “un problema di regole”. Nel corso della riunione “è emerso con grande evidenza – riporta Alfano – il dissenso della Commissione ma anche degli altri paesi circa le soluzioni nazionali, individuali, solitarie” messe in atto da alcuni Stati “che si possono rivelare una grande illusione controproducente, mentre la strada giusta è la strada di lavorare insieme perché solo così si può salvare l’Europa di fronte a questo bivio decisivo”.
fonte: www.redattoresociale.it, migrantitorino.it