Eterno onore al comandante Natale De Grazia e a chi la bussola non l’ha persa
Navig
il cervello
E stravaccati
Con piglio da gradasso
Se la ridono i compari
Goniometro e compasso
Malanovamihanno
A varca
i velenu a mbriacaru
(Che abbiano una cattiva nuova
La barca di velen
l’hanno ubriacata)
E ora lenta avanza
Traballando e gemendo
Sotto le onde come il battello ebbro che
“…immerso nel Poema del Mare
.. lattescente e invaso dalla luce degli astri,
Morde l’acqua turchese, dentro cui, fluttuando,
Scende estatico un morto pensoso e illividito…”
Proseguendo verso quella punta
Di stivale dove
Faggi e lecci a milioni
In sessanta giorni decapitati
Dall’antico progresso tecnologico
Delle Guerre Puniche
Dispiegati contro i Cartaginesi
I nostri tronchi secolari
Lanciati all’arrembaggio
(meglio dei pirati)
Agili, veloci e ’meraviglia!’
Muniti di rostri
Così leggeri i nostri possono balzare
Da una nave all’altra
Prendendo di spalle l’avversario
O cima di progresso
Come i nidi d’aquila
D’Aspromonte
Sulla vetta che sovrasta
U paisi che si sbriciola
Polvere addiventa, memento mori
Cenere la tecnica
Del mastro
E rigogliose
Le ortiche infestano
Il salotto buono del notaio
E il palazzo del barone
Frana sulla baracca del pezzente
Antichi guerrieri affondati
Che la lancia hanno perso
Protetti dallo scudo dell’acqua
A scovarvi è bastato
Uno con la muta di nylon le pinne di plastica
E l’ossigeno in canna…
Sì, noi della terra che sprizza DNA a palate
E ripopola paesi lontani
L’orcio di Lombroso ci guarda
E sghignazza
Ci fissa u ciriveddru
E forse osserva il punto
Preciso
Dove la fune
Che l’unisce al cuore
S’è spezzata
E come questo batta impazzito
Cuore di capretto
Legato per la festa del sacrificio
E dall’altro capo
Senza la bussola cardiaca
I meandri cerebrali
Escogitano orrori
Da depositare in banca.
E avanza la nave del progresso
I carichi di veleni
Verso il cuore di tenebra
Dove un tempo eremiti
Popolavano anfratti
Ora straripanti di barili misteriosi
Custoditi da mitra
E secoli prima i barbari di Alarico
Deviavano il Busento per seppellire
Il loro re e i tesori
Secoli dopo Madonne nere
Trainate da buoi si fermavano
Dove volevano si ergessero chiese
E visionari dall’animo splendente
Immaginavano città del sole
Dove secoli dopo briganti sbarravano il passo
Allo Stato togliendo ai ricchi
Per dare prima a sé e poi ai morti di fame
E leggenda vuole che tra questi picchi
Trovasse rifugio penitente
Tra sovrumani silenzi
Chi l’atomica l’aveva sganciata
Come pure, prima di lui, chi
Forse l’aveva ideata
Non più accorrono
Alla spiaggia
Uomini di mare
A tagliare, per il bene di tutti,
Con forbici
E formule magiche
Il gorgo dei venti
Prima che bufera si scateni
Ora seguendo veri temporali
Ordiscono finti affondamenti
E naufragar ci è amaro in queste acque
Sia lode alla bussola che dentro
La bottiglia vuota
Sui flutti galleggia
Sfuggendo a radar
Satelliti e motovedette
E forse approda in un antico
Borgo spopolato
Nella punta estrema della nostra terra
Non lontano dal capo dove si spartiscono i venti
Un tempo geloso custode dei bronzi
Dove accolte in vecchie case
Sbrindellate
Ora donne
Dai capelli neri e crespi
Sbarcate da lidi lontani
Intrecciando la ginestra
Assieme alle nostre nonne
E alle loro nipoti dalle mani
Color dell’ulivo creano il cesto
Zattera galleggiante che
Dal Faraone
Forse ci salva.
Copyright Pina Piccolo, dicembre 2009