Condividendone in pieno il contenuto, riprendiamo questo articolo di Gianni Ballarini per Nigrizia.
Chissà se lo stratega della tensione comunicativa sarà pronto, pure stavolta, a rispondere agli interrogativi, semplici, che Nigrizia sta per porgli.
Matteo Salvini è volato il 5 e 6 novembre in Ghana per una missione lampo. Ignorata dai più, la missione aveva lo scopo, secondo l’esponente della Lega, della firma di un «accordo col governo per controllare l’immigrazione e garantire un futuro di studio e lavoro a quei ragazzi, ma nel loro paese». L’annuncio in un tweet. Ad Accra il ministro pro tempore ha incontrato il suo omologo ghaneano Ambrose Dery e il presidente del paese Nana Akufo-Addo, il quale ha smentito gli entusiastici commenti di Salvini sull’esito del viaggio. Il principale quotidiano locale, Ghanaians times, ha titolato il giorno dopo l’incontro: “Il presidente furioso per il trattamento inumano dei migranti africani”. E nelle pagine interne sono riportate le sue frasi dure contro Salvini: «Non ci si dovrebbe nascondere dietro il pretesto di combattere le migrazioni irregolari per commettere abusi sui migranti irregolari».
Ma il viaggio di Salvini si è rivelato stravagante per un altro aspetto. Si è infatti recato nel paese africano che meno esporta migranti e che risulta tra i più stabili dell’Africa. È la seconda economia della Comunità economica degli stati dell’Africa Occidentale (Cedeao). Dal 2010 è considerato un paese a medio reddito.
I ghaneani in Italia, come ci ricorda Marco Scarpati in un suo post su Facebook, «sono, complessivamente, poco meno di 49mila. E la loro presenza è sostanzialmente stabile, se è vero che nel 2010 erano 47mila. Rappresentano lo 0,97% sul totale dei migranti. Compiono pochi crimini e sono ottimi lavoratori, in gran parte impegnati soprattutto nelle fabbriche del nord Italia. Pochissimi gli irregolari».
Domanda: per quale ragione il “ruspante” ministro ha scelto per la sua propaganda, attraverso la fanfara dei social, il paese sbagliato? Nessuno gliel’ha fatto notare? È stato un caso? Oppure, un paese africano vale l’altro per il suo pulpito propagandistico?
Ma è un altro l’interrogativo che più ci preme sottoporre a Salvini: il suo viaggio ha previsto una tappa a Cape Coast o a Elmina? Certamente avrà almeno sentito parlare di questi due luoghi della memoria che si affacciano sull’oceano, a un centinaio di km da Accra. Cape Coast è stato il più importante centro per la tratta degli schiavi di tutta l’Africa occidentale. Un luogo simbolo, tutelato dall’Unesco. Nella sua fortezza i prigionieri, a milioni, vi venivano esposti ed i compratori sceglievano all’asta i pezzi migliori: solo le donne e gli uomini più sani e forti.
Sono decine in Africa le “porte del non ritorno”. Il Ghana è forse il paese che ne possiede la più alta concentrazione. Tutto il Golfo di Guinea, ovvero la costa compresa tra il delta del Niger e il Ghana, venne ribattezzato Costa degli Schiavi, e la catena di forti e castelli che si estende lungo il suo litorale costituisce uno straordinario documento storico.
A 15 km da Cape Coast, poi, si trova la cittadina portuale di Elmina. Nelle sue prigioni sotterranee venivano ammassati fino a 300 prigionieri, mani e piedi in catene, immersi nei loro escrementi, trattenuti per mesi prima di essere imbarcati come schiavi. Chi moriva di malattie, fame e sete veniva gettato in mare. A chi tentava la fuga venivano mozzate le orecchie per essere poi rinchiuso nella cella della morte.
Immagini che sembrano rubate ai lager libici di oggi, dove sono ammassati i corpi di centinaia di migliaia di migranti. Corpi, non persone.
Il primo viaggio di Barak Obama in Africa, il 10-11 luglio 2009, fu proprio a Cape Coast, omaggio alla sua storia e a luoghi dove si sono rattrappiti i valori occidentali.
Salvini, lei che si mostra un politico così ossessivamente appassionato al tema dei migranti e di persone in fuga, ha sentito la necessità di visitare, nel suo blitz ghaneano, quelle stanze in cui le speranze morivano ancor prima di nascere?
Gianni Ballarini per Nigrizia
Salvini è quello che dice “aiutiamoli a casa loro”; però mette la tassa dell’1,50% sulle rimesse all’estero anche ignorando che anche i nostri attuali emigrati inviano importanti rimesse in Italia