Marco Cesario
La “Giungla”, nata su una vecchia discarica in disuso, verrà evacuata. «Qui l’unico diritto rispettato è il diritto alla repressione»
CALAIS – La strada che porta alla “Giungla” di Calais è una strada fangosa piena di buche e macchie di cespugli bassi che s’arrampica verso il cielo e poi ridiscende in una sorta di no man’s land. Per chi non si fosse mai addentrato su queste stradine melmose battute dal vento, dalla pioggia e dalla salsedine trasportata dalle nuvole verso l’entroterra, sembra che il mare sia prossimo ma in realtà il mare non si vede.
Si vedono solo alte cancellate, fossati, barriere metalliche, camionette dell’esercito e della gendarmeria in divisa antisommossa che circondano una foresta di tende, container, camper e capanne improvvisate, il più grande campo di migranti d’Europa. Oltre 6.000 persone di cui almeno 600 donne e trecento minori secondo le stime fornite dalle ong che lavorano sul campo. La Giungla è anche il campo rifugiati più militarizzato d’Europa. I binari del treno, le autostrade, i camminamenti, i ponti, le stradine, tutti gli accessi sono bloccati e protetti da barriere, reti e cancellate invalicabili simili a quelle che si ergono a Melilla e a Ceuta. La Fortezza Europa è ora dentro l’Europa stessa.
Le autorità avevano addirittura previsto di costruire un profondo lago artificiale nei pressi dell’autostrada per impedire ai migranti di avvicinarsi al terminal dei ferries che vanno verso l’Inghilterra. Per quale motivo un lago artificiale? I più cinici pensano che sia meglio che i migranti anneghino qui dove è facile recuperarli che nella Manica, dove soprattutto durante l’inverno, vuoi per le correnti, vuoi per il mare grosso, le operazioni di soccorso sono sempre difficili. Una cosa è certa pero’. Le bianche scogliere di Dover da qui non si vedono. La Giungla è una prigione di fango e melma senza via d’uscita. Il tempo è inclemente, il gelo tiene migliaia di persone in una terribile morsa, i punti d’acqua sono scarsi, il numero di bagni insufficiente, le condizioni di vita degne di un paese sottosviluppato. L’orizzonte dei migranti è solo un cielo basso e piovoso, greve di nuvole minacciose e gas lacrimogeni che non promettono nulla di buono.
Lo sgombero della parte sud della Giungla
La decisione era nell’aria ed è caduta come un macigno il 25 Febbraio scorso. Valérie Quemener, giudice del tribunale amministrativo di Lilla, che aveva visitato il campo dopo un esposto di dieci associazioni che s’opponevano allo sgombero di questa sezione della Giungla, ha convalidato l’evacuazione dando ragione al governo francese. Dietro, c’è anche una guerra di cifre. Quante persone vivono nella parte sud della Giungla? Per la prefettura solo 800-1000 persone. Per le associazioni molte ma molte di più: almeno 3.450 secondo l’ultimo censimento effettuato il 21 Febbraio scorso. La discrepanza è troppa. Poco importa perché malgrado l’esposto l’evacuazione è partita. Battaglioni di poliziotti in tenuta antisommosa hanno investito i luoghi con l’ausilio di bulldozer e ruspe abbattendo capanne e tende, espellendo di forza gli occupanti e lasciandoli al gelo dell’inverno.
Per François Quennoc, segretario di una delle associazioni storiche qui si occupano di migranti, L’Auberge des Migrants, l’operazione messa in atto dalla polizia è “come una pugnalata alle spalle”. In effetti la prefettura aveva annunciato una proroga per permettere alle ong di gestire al meglio l’accoglienza della nuove famiglie senza tetto. Ed invece tutto è precipitato con il risultato che i rifugiati in pieno inverno dormiranno all’addiaccio in altri campi, oppure lungo il litorale, oppure nel centro città. Dall’altro lato i militanti No Border, circa 150, hanno attaccato in segno di protesta le forze di polizia con lancio di pietre e barre di ferro ed hanno incendiato alcune capanne sgombrate dalla polizia. Per tutta risposta sono partiti gli spruzzi di cannoni ad acqua e lancio di granate stordenti e gas lacrimogeni. La Giungla, già teatro di uno spettacolo desolante, si è trasformata in un campo di battaglia.
L’operazione messa in atto dalla polizia è “come una pugnalata alle spalle”
François Quennoc, associazione L’Auberge des Migrants
Spedizioni punitive, violenze poliziesche, volontari minacciati
La situazione nella Giungla è in realtà già esplosiva da mesi e l’evacuazione forzata è solo l’ultimo atto di una tragedia che è sotto gli occhi di tutti. Gli attentati ed i fatti di Colonia (pur completamente ridimensionati) hanno fatto precipitare le cose. La popolazione locale non vede oramai più di buon occhio i rifugiati. L’accoltellamento di un ragazzo che si è rifiutato di dare una sigaretta il mese scorso ha provocato scontri violenti con la polizia e con i migranti. Dopo quell’incidente, groppuscoli di estrema destra hanno cominciato ad organizzare “ronde serali” attorno alla Giungla. Spesso le ronde si sono concluse con sassaiole e spedizioni punitive.
A farne le spese non solo i rifugiati (il 20 Gennaio scorso tre cittadini siriani sono stati picchiati da un gruppo di 6 persone in pieno centro a Calais) ma anche i volontari che lavorano nel campo. Minacce, furti di materiale, macchine bruciate, come racconta Christian Salomé, fondatore de l’Auberge des Migrants. I comitati cittadini ostili ai rifugiati, dal canto loro, fanno la voce grossa. Il collettivo Calaisiens en colère creato nel Giugno del 2015, è uno di questi.
Fonte: http://www.linkiesta.it/it/article/2016/03/02/linferno-dei-migranti-di-calais-tra-stupri-sgomberi-e-ronde-xenofobe/29453/, migrantitorino.it