Riceviamo dalla casa editrice EMI e pubblichiamo.
Ciao a tutti, vi invito a leggere la presentazione de Gli Angeli non Pesano di Paolo Maracani:
“Questo matrimonio non s’ha da fare” dicevano i bravi di Don Rodrigo al povero Don Abbondio all’inizio dei Promessi Sposi. Qualcuno potrebbe parafrasare dicendo che questo libro non sa da pubblicare, per almeno due ragioni. Primo, perché i missionari “di professione”, che in Africa, in Asia o in America Latina ci passano una vita di duro sacrifi – cio, storcono il naso davanti a quelli che chiamano i volontari “mordi e fuggi”. Secondo, perché l’autore manifesta troppo apertamente simpatie per la sinistra e addirittura riconosce i meriti – pur fra colossali errori e crimini – di quella che fu la sinistra storica (il socialcomunismo): “orrendo orror di un’orridezza orrenda!” si straccia le vesti qualcuno.
Ma non volendo rappresentare né l’arroganza di Don Rodrigo né la pavidità di Don Abbondio, io sostengo che s’ha da pubblicare e per altrettante ragioni.
L’Autore non è un volontario “mordi e fuggi”, anche se la frequenza dei suoi spostamenti può darne l’impressione. È un uomo che ha amato l’Africa e ha dato l’anima per essa. Lo vedo piuttosto “esule” in Italia, dove pure ha una casa e una famiglia alla quale sempre ritorna.
Ma questa società consumista e indifferente, politicamente corrotta ed eticamente degradata, gli è troppo estranea. L’Africa dei poveri, dei diseredati, degli ultimi, delle “vittime del sistema” è diventata la sua vera patria.
È vero che saltella dal Centroafrica all’Angola, dalla Repubblica del Congo al Madagascar, dal Burundi addirittura all’Albania (l’unica digressione non africana), ma non fa il turista, neanche l’esploratore culturale. Fa il servo. Si mette a disposizione: costruisce, trasporta, ripara, insegna a fare. È disposto a tutto, pur di dare una mano a qualcuno.
I missionari e le missionarie lo amano, ma forse talvolta. lo temono, perché conserva un briciolo dell’effi cientismo nordico (del Nord Italia, dico) e vorrebbe fare tutto in fretta per limitare questa e quella sofferenza, per eliminare questo o quell’assurdo di certe condizioni di vita in terra africana.
La sua dote più bella è però l’umiltà. Non si atteggia a maestro, ascolta, alla fi ne obbedisce. Per i missionari – uomini e donne, preti e laici – suoi compagni di vita per brevi ma intense stagioni, ha un’ammirazione crescente; e si ha l’impressione che la sua fede cristiana abbia le basi nella loro testimonianza. Per merito loro “trangugia” perfino il Vaticano.
Si fa umile ascoltatore anche davanti alle popolazioni locali, alle loro culture, ai loro ritmi e stili di vita. Non sempre riesce a capirli, spesso lo fanno arrabbiare. Ma attribuisce la colpa a se stesso, troppo rigido nelle sue idee e nelle sue abitudini nordiche.
Una delle sue frasi più belle sintetizza il suo apprendimento: “In molti casi sono i piccoli interventi mirati, che non richiedono grandi somme ma continuità nel tempo, ascolto e tenacia, a portare beneficio a queste popolazioni, senza provocare traumi” (p. 199).
Le sue simpatie per la sinistra? Vedrei anche qui una ragione per pubblicare il libro. Di fronte al conformismo di chi, dopo il 1989, non fa che oltraggiare i vinti, egli ci ricorda quando diceva Chesterton: “Il comunismo non è che un’idea cristiana impazzita”: l’idea della giustizia, della solidarietà, dell’amore per i poveri; impazzita poi, certo, nell’incitamento alla violenza, nella negazione della libertà e di Dio.
Ma non è molto migliore – forse solo più ipocrita – il sistema che ne ha riportato vittoria.
Fa dunque bene l’EMI a pubblicare questi scritti e faranno bene a leggerli i giovani che vogliono esplorare il senso del loro vivere in un mondo che ha tanti spazi di impegno e di speranza.
Faremo bene a leggerlo noi adulti che viviamo nel Nord come in un castello e non ci accorgiamo di quanta miseria si viva e si muoia fuori dalle mura, se non quando alcuni disperati vengono a disturbare il nostro divertimento, a dare prurito alle nostre coscienze.
Farebbero bene a leggerlo anche quanti sono coinvolti nelle Ong o nel volontariato internazionale, perché un documento di vita spesso è più utile di un saggio sociologico.
Il libro – lettere, pezzi di diario, testimonianze, reazioni, sfoghi – si legge volentieri, ma occorre quel minimo di passione per l’umanità, quel minimo di interesse per gli altri che sono oggi merce rara nell’ampio mercato dell’individualismo e del virtuale.
FRANCESCO GRASSELLI