Il libro di Igiaba Scego è stato scelto per un concorso rivolto agli studenti delle scuole superiori. Data di scadenza è il 9 aprile. Maggiori informazioni qui: Europa e Giovani 2011.
Qui sotto la recensione del libro di Igiaba Scego.
Qui la nostra intervista all’autrice al Festivaletteratura di Mantova 2009.
LA MIA CASA È DOVE SONO
INCROCI VITALI DI IGIABA
Un personalissimo itinerario romano nei luoghi legati ai ricordi familiari.
E la Somalia tormentata negli anni trenta e tuttora Igiaba Scego è una giovane donna afroitaliana, o meglio, come dice lei, “italiana ma anche no, somala ma anche no, un crocevia, uno svincolo, il frutto di caos intrecciati”. Scrive in lingua italiana e in questi anni ha giàpubblicato diversi racconti, molto apprezzati.
Nel 2009 l’abbiamo avuta nostra ospite all’Irse per la presentazione del suo libro “Oltre Babilonia”:storie forti, narrate in contemporanea,tra Argentina, Somalia e Italia; un talento e uno stile salutati con entusiasmoda ciritici molto selettivi come Goffredo Fofi sul Domenicale del Sole 24ore.
Era stato un incontro molto intenso con un lungo dibattito e poi una serata passata insieme, colpiti dalla sua immediata sincerità (“… sono in una fase di sdoppiamento: passo dagli inviti ai Festival letterari ai lavori più precari con i rifugiati….”) e dalla sua cultura a largo raggio non esibita.
Pochi mesi fa la sorpresa di “La mia casa è dove sono” il suo secondo libro uscito per Rizzoli, finalmente sdoganata dalle piccole case editrici, per altro meritorie, che hanno fatto conoscere in Italia tanti nuovi autori immigrati. Non più storie d’altri ma questa volta la sua storia.
Un personalissimo itinerario attraverso Roma, città dove è nata e tuttora vive. I luoghi legati ai ricordi della propria famiglia: dal Teatro Sistina, dove suo padre, ministro degli esteri somalo negli anni sessanta, era andato a sentire Nat King Cole, alla Stazione Termini, la vera casa di molti fuggiti dalla Somalia dopo il colpo di stato di Siade Barre, come i suoi genitori, ritrovatisi d’un colpo poveri: “Per anni mi sono sentita minacciata dal carico di dolore e di speranza che Termini si portava addosso”.
Da Trastevere, dove la Caritas distiribuiva “pasta aiuto Cee” e qualche vestito «Ganzo! A Igia’, dove l’hai comprato?» – chiedevanoironiche le compagne di scuola; allo Stadio Olimpico, dove il tifo per laRoma l’ha salvata dalla disperazione e dalla bulimia in un periodo senza la madre, tornata in Somalia in pienaguerra civile, “desaparecida per due anni nelle ramificazioni di terroredi quella guerra senza senso” unaguerra “incivile”, dimenticata da tutti, che dura tuttora tra traffici d’armie d’altro.
Un libro da leggere senz’altro anche per saperne qualcosa di più di questo paese e degli anni di colonialismo italiano, di cui la scuola ci ha tenuti del tutto all’oscuro, al massimo facendo passare l’idea che sì anche noi siamo stati colonialisti, ma più buoni degli altri.
Ma un libro da leggere soprattutto per vivere il percorsodi Igiaba, simbolico di ogni vero percorso di consapevolezza. Il suo sentirsi finalmente “a casa dove sono”, il suo crescere nel ricercare le proprie origini, l’identità e la cultura della sua gente.
La sua chiara idea di cultura non concetto astratto ma come espressione della capacità di elaborare valori. Il riappropiarsi e il narrarre l proprio passato, come chiave per la costruzione di un futuro originale, a partire da quello personale fino a quello “politico”, nella consapevolezza della propria storia familare, senza paura di mettere a nudo anche ferite non del tutto rimarginate, delusioni e contraddizioni.
Nella Mogadiscio anni trenta Omar Scego, il nonno che Igiaba ha conosciutosolo in foto, era un ragazzo sveglio, che ci ha messo poco ad impare la lingua degli italiani colonizzatori, tanto sveglio da diventare non carne da cannone come tanti poveri ascari ma perfino interprete del gerarca Graziani.
Nella foto il nonno Omar ha il viso meno nero di quello di Igiaba, “…forse frutto di una violenza di colonizzatore o chissà di un amore”, “…quel bianco della sua pelle metteva in crisi la costruzione che mi ero fatta della mia fiera identità africana…”, “Mio nonno era con il fascismo e contro il fascismo.
Era dentro ed era fuori. Era vittima ed era carnefice. Nonno è stato una ferita aperta dove il Terzo mondo si scontra con il primo esanguina. Quella ferita me la porto sulcostato”.
Laura Zuzzi