Secondo i dati forniti dall’Ocse gli investimenti cinesi all’estero e in particolare in Africa sono cresciuti notevolmente.
In una notizia dell’agenzia di stampa Apcom è scritto che “la Cina è passata da un volume di investimenti all’estero pari a zero a 17,6 miliardi di dollari nel 2006. E di tutti gli investimenti diretti all’estero (IDE), il 95% è destinato ai paesi in via di sviluppo.
Nel 2006 il flusso di investimenti verso l’Africa ha raggiunto 520 milioni di dollari, lo stock di investimenti 2,5 miliardi di dollari, segnando una crescita di sette volte rispetto al volume del 2003. Gli IDE sono diversificati in 48 paesi del continente africano, ma il 54,6% del totale raggiunge cinque stati ricchi di risorse naturali: Algeria, Nigeria, Sudafrica, Sudan e Zambia. E per alcuni paesi la Cina è diventata l’investitore numero uno: per il Niger rappresenta il 27,5% di tutti gli investimenti in entrata dall’estero, per il Madagascar il 10,8% e per la Guinea l’8%”.
“I motivi che spingono le imprese cinesi a investire in Africa – scrive l’Apcom riprendendo i dati dell’Ocse– sono la ricerca di risorse e di mercati di sbocco per le proprie merci. Mentre l’esplorazione di risorse è affidata a poche grandi imprese statali che godono dell’appoggio del governo di Pechino, gli investimenti diretti in operazioni commerciali e di mercato sono gestite per la maggior parte da medie e piccole imprese, spinte a investire oltre i confini nazionali dalla politica “go global” annunciata da Pechino nel decimo piano quinquennale (2001-2005)”.
Le riserve di petrolio cinesi provengono da fornitori africani come l’Angola, il Sudan, Repubblica democratica del Congo, Guinea Equatoriale e Nigeria.
Font: Apcom