Nel 1956, il sociologo statunitense C. Wright Mills ha descritto la democrazia negli Stati Uniti d’America come “la democrazia delle élite”.
Secondo Mills, gli Stati Uniti d’America non sono una democrazia perché, in definitiva, è il denaro che parla nelle elezioni, e non il popolo. Il risultato di ogni elezione è l’espressione della voce del denaro e non la voce del popolo. Dopo Bush-padre e Bush-figlio, per le primarie del Partito Repubblicano del 2012 si parla già del Bush-junior.
Per di più, se il potere politico si basa sulla burocrazia, Max Weber (1864 – 1920) [N.d.tr.: è stato un economista, sociologo, filosofo e storico tedesco. È considerato uno dei padri fondatori dello studio moderno della sociologia e della pubblica amministrazione.] mette in risalto che negli Stati Uniti sono 43 milioni di funzionari e militari a comandare effettivamente il paese, ma costoro non sono stati votati da nessuno e non rispondono direttamente al popolo delle loro
attività.
Dunque, viene votata una sola persona (un ricco!), ma il vero potere in buona sostanza è gestito dalla sola casta di ricchi, che puramente e semplicemente è il risultato di nomine, non di votazioni, come per gli ambasciatori, i generali di armata, ecc….
Quante persone nei paesi autoproclamatisi “democratici” sanno che in Perù la costituzione proibisce un secondo mandato consecutivo al presidente della repubblica uscente?
Quante persone sanno che in Guatemala, non solamente il presidente uscente non può più presentarsi come candidato a questa carica, ma in aggiunta nessun membro della sua famiglia, a qualsiasi grado di parentela appartenga, non può più concorrere a questa elezione?
Quante persone sanno che il Rwanda è il paese in tutto il mondo che integra politicamente al meglio le donne, con il 49% di parlamentari donne?
Quante persone sanno che nella classifica della CIA 2007 [N.d.tr.: La CIA World Factbook contiene informazioni e statistiche sulla geografia, popolazione, economia, esercito, governo, ecc. per tutti i paesi del mondo.], sui 10 paesi meglio governati al mondo, 4 sono africani?
Con la palma d’oro assegnata alla Guinea equatoriale, il cui debito pubblico è rappresentato solo dall’1,14% del suo PIL.
Rousseau sostiene che la guerra civile, le rivolte, le ribellioni sono gli ingredienti di una democrazia nascente. Perché la democrazia non è un fine, ma un processo permanente per riaffermare i diritti naturali degli uomini [un insieme di norme di comportamento dedotte dalla “natura”; si parla di darwinismo sociale], dato che in tutti i paesi del mondo (senza alcuna eccezione) un pugno di uomini e di donne, confiscando il potere al popolo, l’orienta a tutto vantaggio dei propri affari.
Si possono trovare qui e là forme di casta che usurpano la parola “democrazia”, che dovrebbe essere l’ideale a cui tendere e per cui lottare, e non un’etichetta da appiccicarsi o un ritornello da millantare, per cui si è in grado di gridare più forte degli altri.
Se un paese è tranquillo, come la Francia o gli Stati Uniti, vale a dire dove non si verificano rivolte, per Rousseau questo ci permette molto semplicemente di affermare che il sistema dittatoriale è sufficientemente repressivo per impedire qualsiasi tentativo di ribellione.
Se i Libici si rivoltano, per Rousseau questo è un avvenimento positivo. Pretendere che i popoli accettino stoicamente il sistema che li opprime in tutti i paesi del mondo senza reagire, questa sì che è cosa molto cattiva.
A Rousseau la conclusione: “Malo periculosam libertatem quam quietum servitium – traduzione: Se ci fosse un popolo di dèi, il loro governo sarebbe democratico. Un governo così perfetto non si addice agli umani.”
Affermare da parte della Coalizione che si ammazzano i Libici per il loro bene, per portare loro la democrazia, diventa un baluginio per allocchi.
di Jean-Paul Pougala, scrittore camerunese, direttore dell’Istituto di Studi Geostrategici e professore di sociologia all’Università della Diplomazia di Ginevra, Svizzera.
Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova.
Foto: Abode of Chaos, شبكة برق | B.R.Q, StartAgain, Al Jazeera English, Euan Slorach, v i p e z