“Tra 15-20 anni l’Africa starà bene”, ha detto un tassista turco.
La corrispondente di Africanews.it, Rhodah Mashavave, racconta i pensieri che ha avuto sul suo paese, lo Zimbabwe, e sul suo continente durante un recente viaggio in Germania.
Descrive ciò di cui avrebbe bisogno l’Africa, secondo lei, per stare finalmente “bene”: fermare le malattie, recuperare le lingue africane, fermare il commercio delle armi, e avere leader politici più responsabili.
Durante il mio soggiorno il Germania ho avuto l’opportunità di incontrare un tassista turco. Mi ha chiesto da dove venissi. “Zimbabwe”, gli ho risposto e lui a sottolineare: “A sì Zimbabwe. Africa, bene. Zimbabwe, ci sono musulmani?” “Non ci sono musulmani, ma Cristiani”, gli ho risposto. Il tassista è stato molto gentile con me, parlando nel suo inglese incerto che, a tratti, lo costringeva a cercare freneticamente le parole giuste. “Africa è ricca. Dagli 15-20 anni e l’Africa starà bene. Te lo dico io”. Era molto ottimista e ogni volta che lo incontravo si assicurava che avessi sentito la sua profezia.
Il conducente aveva sempre molte domande per me. “Zimbabwe… democrazia?”, chiedeva.
Il tassista dava all’Africa un tempo tra i 15 e i 20 anni per “stare bene”. Durante tutta la conversazione aveva sollevato diversi problemi fondamentali come “l’Africa è ricca” e indagava sulla “democrazia”.
Quando una collega mi chiedeva che cosa sperassi per il futuro prossimo dell’Africa, non era solo una domanda banale. Perché? Perché avevo così tante cose per le quali sperare. Troppe: speravo in un’Africa che stesse “bene” (per prendere a prestito l’espressione del tassista) e pacifica. Un posto capace di condividere i benefici delle sue ricchezze. Un continente che farebbe suoi i valori della libertà e della democrazia. E i cui leader politici esisterebbero solo per servire il popolo.
Ma perché questo accada, secondo le stime del tassista, ci vorrebbero dai 15 ai 20 anni!
Una volta stavo mostrando una presentazione dello Zimbabwe ad un gruppo di professionisti di lunga esperienza in Germania e ho avuto un’interessante conversazione con un professore tedesco. Era molto dispiaciuto per me e per i miei connazionali dopo il mio discorso sulla situazione politica, sociale ed economica del mio paese. Aveva detto: “Sai ciò che hai appena descritto rassomiglia a una situazione che abbiamo vissuto qui a causa della seconda guerra mondiale. Abbiamo avuto l’inflazione agli stessi livelli del tuo paese e forse anche più alta, i soldi non servivano a niente, ma le cose oggi vanno diversamente. Hai parlato anche del fatto che i media non sono indipendenti ma sono di proprietà del governo, qui in Germania era lo stesso”. Al tempo di questa conversazione l’inflazione dello Zimbabwe era al 600% e la più alta del mondo per un paese che non era in guerra né usciva da una guerra.
La vita è questa. Che dire dei terribili regimi dell’Unione Sovietica o di quello della Germania del 1930-1945?
Forse in fondo il tassista aveva ragione. L’Africa, e soprattutto lo Zimbabwe, possono risultare come una sorpresa ed essere un modello di successo proprio com’è la Germania oggi. Anche la Russia, un’altra potenza economica, ha vinto la sua battaglia contro l’inflazione. Tuttavia, cos’altro potevano dirmi il professore e il tassista? Non potevano far altro che darmi speranza. Sapevano esattamente che cosa sperassi e che tipo di Africa desiderassi. Volevano aiutarmi a realizzare questo sogno – il sogno di un’Africa prospera.
Faccio parte di una generazione che ha già perso. Come aveva detto il tassista, dovrò lavorare per i prossimi 15-20 anni per far sì che l’Africa si metta “bene” e forse la generazione successiva alla mia ne vedrà i frutti. Il professore tedesco sottolineava un aspetto: “Faccio parte di una generazione che ha visto la guerra e dopo la guerra ha ricostruito il paese. Non è stato un periodo facile. È stato pieno di dolore e di sofferenza, ma abbiamo lavorato sodo. Sono fiero del tenore di vita che abbiamo oggi. Verrà un tempo per lo Zimbabwe e per l’intera Africa che sarà costretta a lavorare sugli errori e le sconfitte del passato. Questo è solo un periodo passeggero. Vedo l’Africa come un continente che sta cambiando profondamente. Tutto questo richiederà del tempo ma forse arriverà il giorno che sarà una realtà”.
Nonostante il fatto che l’Africa sia stata devastata da disastri come siccità, carestie, malaria e Aids, i problemi principali rimangono quelli legati al governo e all’avidità di potere. Questo ha causato guerre civili e la disintegrazione delle autorità di governo. L’ordine sociale è stato distrutto causando gli abusi dei signori della guerra e dei dittatori contro i civili.
Negli ultimi anni l’Africa ha vissuto conflitti politici in Sudan, Angola, Burundi, Repubblica Democratica del Congo, Costa d’Avorio, Mozambico, Somalia, Etiopia, Eritrea e Rwanda. In molti di questi paesi i governi militari, le forze di sicurezza e i gruppi armati appoggiati dai governi, continuano a commettere crimini impunemente violando i diritti umani. I sostenitori delle forze politiche all’opposizione vengono intimiditi e subiscono violenze insieme alle persone sospettate di essere contrapposti al governo in virtù della loro religione, della loro etnìa o nazionalità. Durante questi conflitti, i signori della guerra e i politici corrotti fanno affari sulle risorse naturali di questi paesi africani, dal legname al petrolio, ai diamanti in modo da poter continuare le guerre comprando le armi.
Questo è il motivo per cui spero in un’Africa liberata dalle armi e dalle guerre. L’enorme fornitura di armi pesanti e leggere, di munizioni e di esplosivi in alcuni stati africani sin dalla fine della guerra fredda ha facilitato l’escalation delle tensioni tra i gruppi in disaccordo tra loro.
Il problema con i conflitti è che creano rifugiati. Nel 2006, per esempio, i sei più importanti gruppi di rifugiati appartenenti all’UNHCR, la commissione per i rifugiati dell’Onu, comprendeva persone di quattro nazionalità africane: sudanesi (686.000), somali (460.000), i rifugiati dalla Repubblica Democratica del Congo e dal Burundi (circa 400.000 ognuno). Gli altri due gruppi erano quello degli afgani (2.100.000) e degli iracheni (1.500.000). Inoltre, nel 2004, c’erano oltre 13 milioni di persone disperse all’interno dei confini (IDPs, Internally displaced persons) in 19 stati. Oltre il 50 per cento delle persone IDP vivono in Africa. Solo in Sudan sono oltre 6 milioni le persone credute disperse.
L’Africa che voglio non deve abusare dei propri bambini. Si stima che i bimbi lavoratori in tutta l’Africa siano 80 milioni, un numero che potrebbe aumentare a 100 milioni entro il 2015. La maggior parte di questi bambini sono costretti a lavorare come schiavi, prostitute, impiegati nel commercio delle droghe e in altre attività criminali e in occupazioni che sono dannose per la loro salute e la loro sicurezza.
Poi ci sono anche altre stime in base alle quali circa 120.000 bambini, alcuni di questi hanno addirittura 7 anni, sono arruolati per combattere le guerre africane. Per la maggior parte sono maschi, ma ci sono anche bambine che sono costrette a combattere. Si stima che siano tra i 10 mila e i 30 mila i minori di 18 anni che hanno partecipato alla guerra civile in Sierra Leone durata 11 anni. Il conflitto è stato caratterizzato da abusi, da stupri e dalla riduzione in schiavitù sessuale, dove le ragazze e le donne erano costrette a “sposarsi”.
Voglio un’Africa libera dagli attacchi xenofobi. Mi rattristano gli attacchi in Sudafrica contro gli immigrati. Che mondo stiamo costruendo per le generazioni future? Dov’è il nostro ubuntu? Dov’è la nostra umanità?
Voglio un’Africa tanto pacifica quanto l’Europa. Un modello come quello dell’Europa è ciò che spero e questo risultato può essere raggiunto solo attraverso una forte cooperazione regionale che permetta l’apertura delle frontiere, la libertà di movimento, quindi l’interazione tra tutti i popoli africani. Questo ridurrebbe i conflitti tra le etnìe del continente e le scissioni all’interno dei gruppi. Sebbene nel 2001 gli stati dell’Africa abbiano deciso di fondare l’Unione Africana come successore dell’Organizzazione per l’Unità Africana, io sogno di un’integrazione che vada al di là di quest’istituzione. Forse una specie di Stati Uniti d’Africa come richiesto dal presidente della Libia Gheddafi. Il progetto degli Stati Uniti d’Africa è un sogno caldeggiato per lungo tempo da Kwame Nkrumah, il primo presidente del Ghana dopo l’indipendenza dalla Gran Bretagna.
Tuttavia mi sono sempre chiesta che cosa ne sarà dell’Africa nei prossimi 15-20 anni se non si troverà una cura al virus HIV/AIDS che sta rovinando intere famiglie. È una mia speranza che sia trovato un vaccino in grado di salvare milioni di vite che sono già a rischio. Nel 2006 su 38,5 milioni di persone che vivono con l’HIV in tutto il mondo, più di due terzi – 24,5 milioni – si trovano in Africa sub-sahariana. Come è stato provato, HIV e AIDS hanno un’influenza notevole sulla povertà perché riguarda milioni di donne e uomini adulti. Il lavoro di queste persone guida le economie e i servizi dei paesi africani e sono queste stesse persone che si occupano dei giovani e degli anziani.
Oltre a trovare un vaccino per l’HIV/AIDS, molto deve essere fatto per migliorare la salute in Africa per prevenire malattie mortali come la malaria e la tubercolosi. Le malattie spingono sempre più famiglie nella povertà e la povertà rende le persone vulnerabili alle infezioni.
L’altra cosa che spero veramente per l’Africa è che rispetti le proprie lingue e che le renda ufficiali in tutti gli stati. L’uso dell’inglese o del francese nella maggior parte degli stati che sono stati colonizzati è stato un pomo della discordia per lungo tempo. Un paese senza una lingua perde la sua identità, la sua cultura scompare facilmente. La lingua è usata nelle arti, nella comunicazione, nella musica, nei teatri e nei film.
Fino a quando l’Africa non recupererà le proprie lingue, non lavorerà con le proprie lingue e non le parlerà, sarà difficile competere con grandi economie come la Cina, la Germania e il Giappone dove l’uso delle lingue locali gioca un ruolo chiave nella comunicazione quotidiana.
L’Africa deve iniziare a scrivere la sua storia nelle proprie lingue. Deve scrivere i propri libri scolastici.
Non è mai troppo tardi – 20 anni sono sufficienti!
Mi rattrista vedere molti capi di stato africani che, quando si rivolgono a platee internazionali parlano in inglese o francese vantandosene, mentre altri leader di altri continenti parlano tranquillamente nella propria lingua. La mentalità coloniale permane ancora in molti di questi presidenti anche dopo anni dalla liberazione dal giogo del colonialismo. Questi presidenti africani devono cambiare e aprire nuove strade – devono iniziare il grande recupero delle loro lingue.
Un’altra mia speranza è che i presidenti africani rispettino il principio in base al quale se sono stati votati vuol dire che sono impiegati come servitori civili. Sono impiegati dalla gente e la gente ha il diritto di rimpiazzarli. Devono sapere e riconoscere che è un lavoro come qualsiasi altro!
Un collega africano ha detto una volta: “Ciò che manca all’Africa è il computer. Senza un computer non è possibile tenere in ordine i dati, quindi non è facile controllare le responsabilità, è molto difficile tenere un inventario. Il politico in Africa non vuole l’informatica perché non vuole essere responsabile”.
Rhodah Mashavave
Foto by (in ordine di apparizione): Leonid Mamchenkov, African Union, Babasteve