LA BELLEZZA DELLE COSE FRAGILI, recensione

La perdita è un concetto che non esiste se non lo si traduce in parole.

Se ad un neonato, destinato a non sopravvivere, non si attribuisce un nome quel bambino è come se non fosse mai esistito. Non avendolo battezzato non lo si dovrà poi piangere. In tal modo chiunque non potrà dire di aver perso qualcosa che non esiste a parole.

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Questo è il filo conduttore con cui Taiye Selasi costruisce Ghana must go tradotto in italiano La bellezza delle cose fragili.
Tra rimandi continentali e flashback emotivi si dipana la storia di una famiglia a cavallo tra Africa e U.S.A.

Incomprensioni generazionali, pudori sentimentali, dolori non rimarginati condiscono questa saga scritta in modo inconsueto e profondo.

Ed è proprio l’acuta analisi dell’interiorità dei personaggi a rendere il libro non adatto a chiunque, non lo consiglierei ad un novizio alla lettura. Chi invece ha una buona consuetudine ai libri troverà piacevole leggere una storia non nuova ma resa indimenticabile dall’abilità della scrittrice.

Demetrio Canale

 

 

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