Abou Sidibe è nato in Mali ma vive a Ouagadougou, in Burkina Faso. In quest’intervista dice che non vuole vivere all’estero perché l’Africa gli dà l’ispirazione fondamentale per il suo lavoro.
Presto su africanews.it la versione integrale di quest’intervista.
Interview avec Abou Sidibe di afrikanews
Sono Abou Sidibe. Sono uno scultore. Ho cominciato con una scuola di formazione privata in Costa d’Avorio, ad Abidjan. In seguito ho proseguito con la scuola di belle arti di Abidjan dove ho fatto tre anni di formazione ed alla fine di questi studi ho ottenuto il diploma in arti applicate.
Se dovessi spiegare il mio percorso artistico, dovrei incominciare col dire che si basa sul concetto di recupero perché le mie sculture sono fatte con oggetti riciclati. Ogni continente lavora con ciò che ha. Qui abbiamo molto materiale riciclato, per le strada di Waga (Ouagadougou, capitale del Burkina Faso) si trovano tantissimi materiali di questo genere. Tutto ciò quindi ci colpisce e ci permette di lavorare.
Una parte importante del mio lavoro è basata sulla tecnica per tagliare il legno. Sono sempre stato affascinato dal legno con cui si possono ottenere diverse forme e soddisfare la propria ispirazione. Anche se a volte lavoro col bronzo o con altri materiali come la pietra, il legno è sempre presente nelle mie opere.
Non mi piace questa definizione di “arte africana”. Per un periodo c’è stata l’arte tradizionale africana ma oggi, in tempi moderni, si lavora anche con medium avanzati. Si lavora con internet. Molti fanno le loro performance, le loro installazioni. Tutto ciò non è solo africano. Odio questa definizione di “arte africana” perché fa parte di un cliché. E’ come se io stesso facessi parte di un cliché.
La fonte d’ispirazione è qui. Tutti questi bambini che giocano per strada, tutte queste scatole, questi materiali di risulta che possiamo riciclare, sono loro la nostra ispirazione. Se abbandoniamo tutto ciò, è finita perché l’ispirazione non sarà più concreta. Si avrà uno stile più occidentale, si avrà lo stile di Parigi se uno andrà a vivere là. Si perde quel filo conduttore che è sempre stato il motore dell’ispirazione.
Quando le persone sono estasiate e si emozionano e piangono. E’ lì l’essenziale. Ho fatto un vernissage in Colombia e c’erano delle persone che piangevano perché non avevano mai visto nulla di simile. Quel momento mi ha toccato. Quelle persone non avevano mai visto il Burkina Faso e non avevano alcuna idea di chi io fossi. Se ha suscitato quella reazione vuol dire che la scultura dice molte cose sulla mia storia, il modo in cui è tagliata, attorcigliata e aggrovigliata riassume un po’ il continente in cui vivo. Non ho bisogno di parole per spiegare l’arte. Se ne avessi bisogno allora sarei uno scrittore. Uno scultore non accompagna le sue opere con un discorso. Dei discorsi ce ne freghiamo perché non vogliono dire niente. Un discorso su una scultura non vuol dire niente. Quando guardiamo una scultura la sentiamo o non la sentiamo.