In Burkina Faso una cooperazione ecumenica – riforma.it

Insieme a Adriano Andruetto e Rosina Borgi torniamo sull’attentato del 15 gennaio a Ouadadougou, sul dialogo interreligioso nel Paese e sui progetti di cooperazione che interessano il pinerolese e l’Otto per mille valdese

Ad una settimana dall’attentato che ha colpito, lo scorso 15 gennaio, la capitale del Burkina Faso, Ouadadougou, e che ha visto la morte di 30 persone tra cui la fotoreporter franco-marocchina Leila Alaoui, torniamo a parlare del paese africano per tentare di comprendere qualche frammento in più di una realtà lontana che per alcuni giorni è stata sotto la luce dei riflettori internazionali.

Anche Riforma, lunedì scorso ne ha parlato proponendo le testimonianze del vescovo di Pinerolo Debernardi e del responsabile del settore educativo della zona di Gorom-Gorom, Amadou Cissé.

Il vescovo si trovava in Burkina Faso insieme ad una delegazione di pinerolesi che ha visitato alcuni progetti di cooperazione sostenuti e realizzati da una decina di comuni pinerolesi, l’Ong Lvia, l’Otto per Mille valdese e l’associazione cattolica Don Barra for Africa.

riforma-burkina-faso-cooperazione-ecumenica

Del gruppo facevano parte anche Adriano Andruetto e Rosina Borgi con cui abbiamo provato a ragionare sui fatti della scorsa settimana, sul loro significato per il Burkina Faso e sui progetti di cooperazione attivati nel tempo.

La mente corre subito a quelle ore di incertezza e spaesamento, nel pomeriggio di venerdì 15. «Eravamo nell’albergo con le valige pronte per andare all’aeroporto – racconta Adriano Andruetto – Ci telefona un nostro collaboratore da Gorom-Gorom nel nord del Burkina Faso, per salutarci e dirci che nel pomeriggio c’erano stati due episodi gravi al confine con il Mali: un attacco improvviso che aveva ucciso un civile e un militare e il rapimento di un medico australiano e sua moglie che vivano nella zona da decenni. Poi ci ha anche riferito di aver sentito ad una radio di Ouadadougou, che stava succedendo qualcosa di grave. Gli abbiamo detto di non aver sentito niente. Siamo usciti nella strada e ad alcune centinaia di metri abbiamo visto dei bagliori in lontananza e sentito degli spari. Siamo rientrati subito e nel giro di alcuni minuti ci ha chiamato il responsabile di Lvia, la Ong che ci segue in Burkina, per dirci di stare fermi nell’albergo perché la città era in subbuglio, le strade bloccate, i voli bloccati. Gli addetti dell’albergo hanno abbassato le luci nell’atrio e ci hanno mandati nelle camere per prudenza».

Passati i primi momenti di paura, la situazione si è poi andata tranquillizzando e dopo una notte in aeroporto e qualche incertezza sul volo, nel pomeriggio di sabato la delegazione riesce a prendere l’aereo e tornare in Italia.

Perché il Burkina Faso?

Il giornale burkinabé Le Pays all’indomani dell’attentato si è posto una semplice domanda (in un articolo tradotto in italiano da Internazionale): perché il Burkina Faso e perché ora?

Abbiamo rivolto lo stesso quesito ad Andruetto. «Il Burkina Faso è un paese pacifico, lo conosciamo dal 2001, tutti gli anni ci andiamo. Il dialogo tra cristiani (cattolici e protestanti), musulmani e animisti è insito nelle stesse famiglie: una convivenza pacifica, di tolleranza tra le etnie. Sono riusciti a superare i fatti difficili dell’anno scorso con un comportamento non violento riconosciuto come modello per l’Africa. La scelta del momento è veramente drammatica: è finita la transizione, i tentativi di ritorno al passato con il colpo di stato del settembre 2015 non sono riusciti e le elezioni si sono svolte regolarmente; il 29 dicembre si è insediato il nuovo presidente Roch Marc Christian Kabore, il 2 gennaio ha incaricato il Primo ministro; mercoledì 13 gennaio il governo è nelle sue piene funzioni, il venerdì avviene l’attentato. Non può essere una casualità, è il tentativo di dimostrare l’incapacità del nuovo governo e tentare di mettere in crisi questo processo di sviluppo e democratizzazione».

In molti, dopo l’attentato hanno sottolineato il pluralismo religioso del paese africano. Su Vita, Giorgia Pianelli di Lvia sottolineava

Il Burkina Faso è un Paese simbolo di convivenza pacifica. Ecco perché è stato attaccato. Qui animisti, cristiani e musulmani vivono in armonia. E questo per i terroristi non è accettabile.

Guardando alle molte testimonianze proposte da Riforma nell’ultimo anno, si possono capire i contorni di questa convivenza [1234]. Di questo è convinto anche Andruetto: «abbiamo imparato anche tante cose: abbiamo riscoperto l’importanza della democrazia dal basso e delle partecipazione popolare; abbiamo visto esperienze straordinarie di dialogo di vita tra cristiani e musulmani. Bisognerebbe raccontare episodi come quello di un giovane musulmano che ha deciso di diventare cristiano e ne parla con il padre. Lui lo ascolta e gli dice “permettimi di pregare questa notte Allah. Il giorno dopo gli organizza la festa del battesimo».

Anche Il Post, nei giorni scorsi ha sottolineato, con alcuni dati l’esempio di convivenza religiosa nel paese.

Nel 2014 un rapporto del dipartimento di Stato americano sulla libertà religiosa in Burkina Faso segnalava soltanto un paio di casi in cui si erano verificati attriti tra due comunità di fede diverse. Uno degli incidenti riguardava un capo villaggio musulmano che aveva cercato di cacciare un pastore protestante che aveva convertito due delle sue mogli.

Sempre su Vita sono invece disponibili i dati sulla composizione religiosa del Burkina Faso: 61,6% musulmani, 23,2% cattolici, 7,3% animisti, 6,7% protestanti.

Dal pinerolese una cooperazione ecumenica

La delegazione pinerolese in Burkina Faso ha visitato i numerosi progetti sostenuti nella regione di Gorom-Gorom, nel nord del Paese. Tra questi una scuola primaria nel comune di Timboulel, dedicata al pastore Tullio Vinay e costruita grazie ai fondi dell’Otto per Mille valdese. Ci mostrano una foto che ritrae il vescovo di Pinerolo Debernardi, in una classe affollata di bambini, tenere in mano l’immagine di Vinay.

«Il vescovo è venuto con noi – racconta Rosina Borgi – ha preso la foto di Vinay e si è fatto fotografare perché ha detto “rappresento anche il pastore valdese che non ha potuto esserci”. Era una relazione bellissima e questo è il tesoro del Burkina Faso, dove c’è un’unione fraterna dei credenti. Un dialogo di vita che anche in questo caso, grazie anche all’Otto per mille valdese, è diventato un esempio concreto».

La scuola di Timboulel, inaugurata lo scorso anno, ha cominciato da poco la sua attività. «Siamo ritornati – dice Rosina Borgi – dopo l’inaugurazione avvenuta con una grande festa e la presenza di tutte le personalità del villaggio e dell’imam. Quest’anno ci siamo recati per vedere i bambini in azione durante le ore scolastiche e salutare l’insegnante. Abbiamo portato anche una prima corrispondenza di una scuola primaria di Pinerolo, la Cesare Battisti. Gli alunni e gli insegnanti ci hanno consegnato fotografie, la storia di Pinerolo e piccoli regali che abbiamo portato agli alunni e alla maestra della scuola di Timboulel».

La visita, continua Rosina «è stato un momento molto bello perché abbiamo potuto vedere la struttura nuova e piena di bambini. Una scuola, in quel villaggio rappresenta la forza, il mondo, la vita. La scuola e l’acqua sono le basi per dare loro una possibilità».

Per continuare a sostenere il progetto, raggiungendo anche le famiglie più povere, sono stati attivati anche alcuni sostegni scolastici a distanza. «Le famiglie più povere – prosegue Rosina – cominciano a mandare i bambini a scuola, ma hanno bisogno di sostegno. Con questo strumento si può dare la possibilità, soprattutto alle bambine, di venire a scuola. È una scommessa che abbiamo lanciato perché tutti frequentino la scuola a Timboulel. L’unione femminile della Chiesa valdese di Pinerolo ha già fornito cinque sostegni scolastici»

Il viaggio della delegazione pinerolese ha incrociato anche un ulteriore villaggio del Burkina Faso, sempre nella regione di Gorom-Gorom, dove è stato posto il primo passo per la costruzione di un’altra scuola. «Il finanziamento dell’Otto per Mille di quest’anno – spiega Andruetto – è destinato alla costruzione della scuola del villaggio di Gountouré e abbiamo posto la prima pietra durante il nostro soggiorno. All’inaugurazione c’erano tra gli altri il Prefetto e il pastore protestante di Gorom-Gorom».

Un cammino che, nonostante tutto, prosegue i suoi passi.

Fonte: riforma.it

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.