Esperienze inedite di agro-forestazione
Il Sahel rinverdisce
In Niger quasi metà della popolazione è minacciata dalla carestia; in Ciad il livello d’allarme è stato superato. Fiammata dei prezzi, siccità, diminuzione degli aiuti internazionali spiegano in parte l’attuale disastro. Tuttavia, nuove tecniche agricole hanno trasformato diversi spazi semidesertici in terre più produttive. Esperienze limitate, ma seguite con attenzione.
di Mark Hertsgaard, giornalista, The Nation, New York.
Una versione di questo articolo è stata pubblicata su The Nation il 19 novembre 2009.
(traduzione dal francese di José F. Padova)
Burkina Faso, nell’Africa occidentale.
Il sole tramonta alla fine di una giornata di calore opprimente. Ma qui, nell’azienda agricola di Yacouba Sawadogo, l’aria è nettamente più fresca.
Con un’accetta sulla spalla, questo coltivatore dalla barba grigia percorre in lungo e in largo i suoi boschi e campi con la disinvoltura di un uomo molto più giovane.
Sawadogo, che non sa né leggere né scrivere, è ciononostante un pioniere in materia di agro-forestazione, un metodo fondato sull’integrazione degli alberi nel sistema di produzione agricola.
Questa tecnica, che in questi ultimi anni ha trasformato il Sahel occidentale, costituisce uno dei più promettenti esempi del modo in cui le popolazioni povere possono fare fronte al cambiamento climatico.
Vestito con un abito di cotone marrone e con uno zucchetto bianco sulla testa, Sawadogo si siede accanto ad acacie e a giuggioli, che fanno ombra su un recinto che racchiude una ventina di faraone. La maggior parte della sua azienda agricola di venti ettari, considerevole secondo i criteri locali, appartiene da generazioni alla sua famiglia, che l’ha abbandonata dopo la terribile siccità del 1972-1984: una diminuzione del 20% della media delle precipitazioni annuali aveva allora annientato la produzione di alimentari nel Sahel, trasformato da vaste estensioni di savana in un deserto, e causato centinaia di migliaia di morti per fame.
«La gente si è trovata in una situazione così catastrofica che ha dovuto cambiare il suo modo di pensare», racconta Sawadogo.
Egli stesso ha rimesso in funzione una tecnica utilizzata da secoli dai contadini locali, lo zaï, che consiste nello scavare «poquet», in altri termini dei buchi poco profondi che concentrino le rare piogge verso le radici delle colture. Allo scopo di captare una maggior quantità d’acqua pluviale ha aumentato la dimensione dei suoi scavi. Ma la sua più grande innovazione fu l’aggiunta di letame durante la stagione secca, una tecnica che gli altri coltivatori consideravano uno spreco.
L’agro-forestazione messa a punto da Sawadogo ha già raggiunto vasti settori del Burkina Faso, come anche dei vicini Niger e Mali, e trasformato centinaia di migliaia di ettari semi-desertici in terre molto produttive.
«Si tratta senza dubbio dello sconvolgimento ecologico positivo la cui vastità è la più ampia nel Sahel e forse nell’insieme di tutta l’Africa», stima Chris Reij, un geografo olandese che ha lavorato trent’anni in quella regione.
In termini tecnici, questo metodo porta il nome di «rigenerazione naturale assistita» (RNA).
Studi scientifici confermano i molteplici vantaggi dell’introduzione di alberi nelle colture di vivaio: proteggono dal vento i giovani germogli e contribuiscono a mantenere l’umidità del suolo, mentre la loro ombra protegge le colture dal calore.
Le loro foglie cadute fungono da pacciamatura, aumentando così la fertilità del terreno e fornendo foraggio per il bestiame. In caso di carestia le persone possono perfino nutrirsi con le foglie di certi alberi.
«Nel passato i contadini dovevano talvolta seminare i loro campi quattro o cinque volte, perché il vento portava via le loro sementi», spiega Reij, che raccomanda la RNA con lo zelo di un missionario. «Gli alberi fanno da schermo e fissano il terreno, occorre seminare una sola volta».
Lo zaï e altre tecniche di raccolta delle acque pluviali hanno anche contribuito a rifornire le falde sotterranee.
«Negli anni ’80 il livello delle falde freatiche si abbassava di circa un metro all’anno», indica Reij. «Dopo che si sono adottate la RNA e le tecniche di raccolta delle acque, e malgrado la crescita demografica, il livello delle falde è aumentato di cinque metri». In certe zone si è misurato un aumento fino a sette metri. E alcuni studi sul campo dimostrano simili effetti di riapprovvigionamento idrico in Niger.
Nel corso del tempo Sawadogo è stato preso da una vera e propria passione per gli alberi.
La sua azienda agricola rassomiglia ora più a una foresta che a campi coltivati. «All’inizio mettevo insieme gli alberi e le colture», racconta. «Ma sono giunto a preferire gli alberi, perché offrono altri vantaggi».
Possono essere sfruttati, i loro rami tagliati e venduti ogni anno, senza contare che i loro benefici effetti sul terreno facilitano la crescita di nuovi alberi: «Più alberi avete, più crescono i vostri redditi».
Aumentando il suo patrimonio forestale, Sawadogo ha potuto vendere legna da ardere, per costruzione e altri servizi.
Gli alberi entrano anche nella farmacopea tradizionale, vantaggio non da poco in una regione nella quale le cure mediche moderne sono sporadiche e dispendiose.
Questi contadini, occorre precisarlo, non piantano gli alberi, come il Premio Nobel e attivista Wangari Maathai e il suo movimento Cintura verde hanno incitato la popolazione a fare in Kenya: per essi sarebbe un affare troppo oneroso e arrischiato. Essi non fanno altro che gestire e proteggere gli alberi che crescono spontaneamente. Studi riguardanti il Sahel occidentale rivelano che l’80% degli alberi piantati muoiono entro un anno o due. In contrasto, gli alberi che crescono spontaneamente sono specie endemiche, quindi più resistenti. E, beninteso, non costano nulla.
Anche in Mali dappertutto in mezzo alle coltivazioni crescono alberi. Nel poverissimo villaggio di Sokoura le case sono fatte di rami coperti di mota; non vi è né acqua né elettricità; i bambini portano vestiti sporchi e stracciati e molti hanno il ventre gonfio a causa della denutrizione. Eppure, ascoltando gli abitanti, la vita migliora, in gran parte grazie agli alberi.
Oumar Guindo possiede sei ettari, sui quali coltiva miglio e sorgo.
Dieci anni fa ha cominciato ad applicare i suggerimenti diSahel Eco, un’organizzazione mista inglese e del Mali che promuove l’agro-forestazione. La sua terra è oggi cosparsa di alberi, ogni cinque metri circa, e le risorse idriche sono aumentate.
Di ritorno al villaggio egli mostra i granai rettangolari che, come le case, sono fatti di intelaiature di legno ricoperte di fango.
Tutti contengono sostanziose provviste di miglio: la sicurezza alimentare è garantita fino al prossimo raccolto e anche dopo. «Prima d’ora», dice un contadino, «la maggior parte delle famiglie disponeva ognuna di un solo granaio. Adesso ne hanno tre o quattro, mentre i loro terreni coltivabili non si sono ampliati. Abbiamo una maggior quantità di bestiame». Per giungere a un simile risultato anche i governi, da parte loro, hanno fatto scelte importanti.
Salif Guindo (senza rapporti di parentela con Oumar), un agricoltore del villaggio di Endé in Mali, racconta come gli abitanti abbiano riesumato un’antica associazione di contadini, chiamata Barahogon, che per generazioni aveva spinto a gestire gli alberi, finché fu lasciata cadere quando divenne illegale tagliare il legname.
Il governo coloniale francese aveva dichiarato in un primo tempo che tutti gli alberi erano proprietà dello Stato, cui era così possibile vendere i diritti di taglio ai boscaioli. Condizioni di questo tipo continuarono anche dopo l’indipendenza. I contadini sorpresi a sfrondare o a tagliare alberi venivano puniti. Di conseguenza essi strappavano i germogli per evitare ulteriori seccature. Il perdurare per diverse generazioni di queste pratiche spogliò il terreno e lo disseccò sempre più.
All’inizio degli anni ’90 il governo del Mali, forse impressionato dal fatto che contadini incolleriti per i cattivi trattamenti subiti avevano ucciso guardie forestali, emanò una legge che dava agli agricoltori la proprietà degli alberi che si trovavano sui loro terreni.
Gli interessati ebbero conoscenza della legge soltanto quando Sahel Eco organizzò una campagna d’informazione. Da allora la RNA si è rapidamente ampliata.
In Niger, spiega Toni Rinaudo, agronomo e missionario australiano, essa ha preso veramente l’avvio soltanto quando le autorità ebbero sospeso le disposizioni che vietavano l’abbattimento di alberi: gli agricoltori, per far crescere gli alberi, devono avere il diritto di tagliarli…
«Villaggi del millennio» a prezzi altissimi
Lo stesso schema prevale nell’insieme del Sahel occidentale: la RNA si è propagata essenzialmente per contagio, da coltivatore a coltivatore e di villaggio in villaggio, a mano a mano che le persone vedevano i risultati con i loro occhi.
Grazie all’agro-forestazione è ormai possibile distinguere, su foto da satellite analizzate dall’Istituto geologico Americano(US Geological Survey), la frontiera fra Niger e Nigeria.
Sul lato del Niger si scopre un’abbondante copertura arborea, sulla parte nigeriana, dove i grandi progetti di impianto d’alberi sono falliti in modo spettacolare, il suolo è quasi a nudo.
Quando hanno visto quelle immagini, nel 2008, i promotori della RNA, come Reij e Rinaudo, hanno subito un colpo: non immaginavano che tanti contadini avessero fatto crescere un tale numero di alberi.
Mettendo insieme le realtà evidenti sulle immagini da satellite e il risultato di indagini eseguite sul territorio, Reij stima che, nel solo Niger, gli agricoltori hanno fatto crescere duecento milioni di alberi e recuperato circa 3.125 kmq di terreni degradati.
Gli ultimi dati tendono a indicare che le regioni dove, nel sud del Paese, si pratica l’agro-forestazione sono quelle che meglio resistono all’attuale siccità.
Reij sottolinea il fatto che gli alberi forniscono anche uno strumento economico per farvi fronte: nel 2005, durante un precedente periodo senza piogge, il legname tagliato e venduto aveva permesso ai contadini di procurarsi denaro con cui acquistare cereali.
La RNA, che si basa su conoscenze gratuite, non implica alcuna dipendenza da un aiuto esterno. Per questo motivo, spiega Reij, è molto diversa dal modello di sviluppo dei «villaggi del millennio» promossi da Jeffrey Sachs, l’influente direttore dell’Istituto della Terra preso l’Università Columbia.
Questo progetto fornisce ai villaggi ciò che viene considerato come il pacchetto di servizi integrati necessari allo sviluppo: sementi e concimi moderni, trivellazioni per l’acqua pulita, cliniche.
«Questa visione di una soluzione alla fame in Africa è seducente. Il problema è che non funziona. Il progetto dei villaggi del millennio richiede un importante investimento in ogni villaggio, come pure un aiuto esterno durante diversi anni, cosa che non potrebbe rappresentare una soluzione durevole. È difficile credere che il mondo esterno fornirà i miliardi di dollari necessari per creare dozzine di villaggi del millennio in Africa».
L’aiuto straniero in effetti si è prosciugato dopo la crisi finanziaria del 2008.
I soggetti esterni tuttavia hanno un ruolo da svolgere: possono finanziare, a costi molto bassi, la diffusione dell’informazione che all’origine ha permesso alla RNA di espandersi con una tale efficacia nel Sahel occidentale.
I contadini, pur essendo stati i primi ad applicarsi per far valere i vantaggi [della RNA) presso i loro pari, tuttavia hanno ricevuto un aiuto essenziale da parte di un pugno di militanti e di ONG, come Rinaudo e Reij, o Sahel Eco. Questi sperano di diffondere la RNA in altri Paesi africani grazie alle «iniziative miranti a rinverdire l’Africa», assicura Reij, che comunica l’idea al presidente etiopico. Ma altre misure rimangono ugualmente indispensabili per lottare contro il riscaldamento climatico, che fa del Sahel un luogo tanto inospitale. Perché ogni forma di adattamento ha i suoi limiti: se non si riduce la quantità di gas a effetto serra emessi nell’atmosfera l’aumento della temperatura finirà per avere ragione delle trovate più ingegnose.