Vice Ministro degli Esteri Mario Giro, secondo l’African economic outlook l’Italia è diventata il terzo investitore in Africa. Che significa, che abbiamo riscoperto il Continente nero?
«Esatto, ed era ora. C’è stato molto lavoro, che ha pagato facendoci scalare velocemente le classifiche. Nel 2014 eravamo 21esimi, nel 2015 undicesimi e nel 2016 eravamo terzi. Abbiamo portato molte nuove aziende in Africa, e si è rafforzata la presenza di grandi player come Eni, che è un nostro campione. Come Enel, che sta facendo benissimo e ha oggi undici cantieri aperti. Di costruttori come Salini e Pizzarotti, aziende dell’agroalimentare come Cremonini che ha undici piattaforme o Ferrero che è presente commercialmente in tutti e 54 i Paesi africani e ha impianti in Camerun e Sudafrica. In Africa pensiamo di poter fare la differenza, soprattutto nel settore delle grandi infrastrutture, della logistica, dell’energia rinnovabile e dell’agrobusiness, che ha un gran potenziale».
Quanto hanno inciso le missioni politiche?
«Non poco, soprattutto se si portano anche le imprese. Ne abbiamo fatte tante, Renzi è stato tre volte, Gentiloni ne ha fatta una da premier e quattro da ministro degli Esteri, il presidente Mattarella ne ha fatta una e poi ci sono state tra le altre le missioni dei ministri Pinotti e Calenda e le mie. Si è lavorato bene su Ice, Sace, Simest. Abbiamo aperto anche tre nuove ambasciate e un nuovo Istituto di cultura. E la cultura è importante perché gli studenti africani in Italia, una volta rientrati nel loro Paese, spesso diventano imprenditori o aiutano le imprese italiane a entrare sui mercati africani».
Quale è il senso della missione militare italiana in Niger?
«Aiutare l’esercito e le forze di polizie nigerine a tenere in piedi lo Stato, respingendo l’offensiva di terroristi e trafficanti di esseri umani. Serve a non avere una seconda Libia o una seconda Somalia».
La cooperazione allo sviluppo è stata accusata di avere un approccio troppo assistenzialista, concentrato sulle emergenze più che sulla crescita.
«Dopo la riforma del 2014 molte cose sono cambiate. Ovviamente si lavora sempre sulle emergenze, che in Africa sono un problema molto grave, ma c’è anche un riorientamento dei soldi della cooperazione verso incubatori per piccole e piccolissime imprese fatte o direttamente dalla cooperazione o in collaborazione con altre Ong per riuscire a creare lavoro e sviluppo sostenibile. Per la prima volta la cooperazione ha fatto un bando non per Ong ma per imprese che volessero creare nuove imprese in Africa. L’Africa ha enormi potenzialità e deve produrre».
È questa la chiave per disinnescare migrazioni fuori controllo?
«Se uno non crea lavoro l’emergenza migranti non si risolve. Bisogna creare le condizioni perché ci sia più lavoro per i loro giovani e per le nostre imprese. Ed è possibile. Abbiamo anche avviato progetti per fare rimpatri assistiti con connessa nascita di una piccola impresa, tipo una panetteria o un’impresa artigiano. L’immigrato che acquisisce una professionalità in Italia può usarla anche nel suo Paese, recuperando dignità e facendo crescere il suo Paese».
Fonte: esteri.it