«A sfida globale, risposta globale». È questo il senso più profondo, strategico, del «Migration Compact» che l’Italia ha prospettato all’Europa. Una «risposta globale» su cui s’incentra l’intervista a Mario Giro, Vice ministro degli Esteri con delega alla Cooperazione internazionale.
Perché, per l’Italia, quella del Mediterraneo è la “partita della vita” e perché dovrebbe esserlo anche per l’Europa?
«Per diversi motivi: la nostra frontiera si è spinta più a Sud e il Mediterraneo si è ristretto. Abbiamo visto che le conseguenze della “Primavere arabe”, diventate “Inverni”, hanno avuto un impatto anche su di noi. In secondo luogo, la globalizzazione ha voluto dire anche maggiori comunicazioni e maggiore circolazione: le migrazioni di oggi non sono più quelle di ieri. In terzo luogo, l’intreccio economico si è fatto più denso: pensiamo, ad esempio, al settore dell’energia. Infine, le comunità della sponda Sud che vivono in Europa, sono ormai numerose e rappresentano un soggetto».
Ma della portata di questa sfida c’è sufficiente consapevolezza in Europa?
«Parzialmente. Molti dell’Europa centro-orientale sono legittimamente interessati a ciò che avviene più ad Est: la ex Csi, la Russia, l’Ucraina, etc… Anche quella è una frontiera delicata per l’Europa. Noi, come altri Paesi mediterranei, siamo più coinvolti con ciò che accade in Africa. L’Unione Europea farà un passo in avanti quando tutti i suoi Stati membri vivranno con il medesimo interesse e la medesima passione entrambe le frontiere».
Qual è la valenza strategica del “Migration Compact” presentato dall’Italia ai partner dell’Unione?
«La valenza strategica è la costruzione di una politica comune delle migrazioni e dell’integrazione. Come si sa, fino ad ora non esiste una politica comunitaria su tali tematiche. Mettendo assieme tutti gli strumenti esistenti e creandone di nuovi, nel quadro di un forte partenariato con il Continente africano, il governo italiano mira a fare in modo che il tema delle migrazioni divenga responsabilità comune euroafricana. A sfida globale, risposta globale, essendo consapevoli, peraltro, la cooperazione non è un lusso bensì una condizione della nostra sicurezza».
Risposta globale dovrebbe significare anche un insieme di risposte concrete, anche se parziali. Una risposta concreta, da più parti evocata, è quella della creazione di corridoi umanitari legali. Qual è in proposito la posizione dell’Italia?
«Certamente i corridoi umanitari sono una risposta importante. Il governo italiano li ha resi operativi, su proposta della Tavola Valdese, delle Chiese Evangeliche e della Comunità di Sant’Egidio, legandoli, è bene sottolinearlo, a norme vigenti. Il criterio è la vulnerabilità; donne, bambini, minoranze, etc…E questo si può già fare. Il visto di entrata per motivo umanitari già esisteva ma i governi europei non l’applicavano se non in rari casi. L’Italia intende usare tutti gli strumenti: in questo modo giungono da noi in sicurezza persone già valutate e ciò garantisce anche noi. Con il “Migration Compact”, si fa un altro passo: nuovi strumenti e nuove norme comuni per un fenomeno che cambia e che diviene strutturale. In parole povere: basta andare in ordine sparso, assumiamoci insieme le nostre responsabilità».
Ed un forte richiamo all’Europa perché si assuma le proprie responsabilità, è stato lanciato da Papa Francesco durante la sua visita a Lesbo.
«Quelle del Papa sono parole profetiche che vogliono smuovere il cuore dell’Europa. Papa Francesco chiede a ogni europeo: chi raccoglierà le lacrime di tutta quella povera gente? Ogni europeo e ogni governo europeo deve trovare la sua risposta. Per non tradirsi, ricordando che l’Europa è la patria dei diritti acquisiti con grandi sofferenze e anche che l’Europa ha dato molti milioni di emigranti al mondo, svedesi, tedeschi, irlandesi, italiani, spagnoli, greci…, i cui discendenti oggi noi ritroviamo in tutto il mondo, in particolare nelle Americhe».
Sempre Papa Francesco ha affermato rivolgendosi ai rifugiati: “Perdonateci siete un dono, non un peso”.
«Con le sue parole rivolte ai rifugiati, il Papa cerca di curare una ferita, di colmare fratture antiche nel Mediterraneo. Rivolgendosi ai rifugiati, Francesco evoca l’unità della famiglia umana e il senso del comune destino di cui tutti noi dovremmo ricordarci».
Più ponti e meno muri, dunque?
« Sì. E questo vuole essere l’impegno dell’Italia».
Fonte: esteri.it