Per ottenere qualcosa in Europa serve fermezza ma anche tanta calma. Evitando il vittimismo
Al direttore – Si dicono tante cose sulle migrazioni, molte impossibili, confuse, velleitarie. Partiamo da ciò che è certo: ogni decisione non può che essere comune, con gli africani prima che tra europei.
Rimpatriare senza il loro assenso è impossibile.
Perché un accordo funzioni, qual è la connessione di interessi tra noi e loro? La sopravvivenza degli stati e, dopo, lo sviluppo. Dobbiamo capire che, se per noi le migrazioni sono un tema di società (accoglienza, integrazione, tenuta del tessuto pubblico, lavoro ecc…), per loro si tratta di una questione di vita o morte degli stati stessi.
Trafficanti/mafie/jihadisti -ormai globalizzati- trapassano le loro frontiere, corrompono, creano un mercato parallelo, mettono a rischio le deboli istituzioni.
In poche parole distruggono la statualità di paesi già fragili.
Affrontandola da questo lato la questione cambia aspetto e si può ottenere un patto comune. E’ quello che l’Italia ha compreso e affermato in Europa: Migration Compact, cioè sostegno alla resilienza degli stati e investimenti privati, non solo aiuti. Non vogliamo altre “Libie”, una ci basta.
Sarebbe un disastro se altri stati saheliani fallissero.
Dopo molte resistenze, l’Ue ha accettato la nostra linea: le frontiere dell’Europa si sono spostate più a sud. I tedeschi l’hanno condivisa per primi, ribattezzandola Piano Marshall, ma idea e impostazione sono nostre.
Tale politica resterà come piattaforma per qualsiasi governo venga dopo: è in quelle aree che si trattengono i flussi e occorre che gli africani siano d’accordo: hanno le loro giustificate posizioni e i loro interessi, come noi.
Gli strumenti a disposizione
Che si fa intanto per chi è già in Libia e sta partendo? Innanzitutto mantenere la calma: vittimismi e ricatti in Europa si trasformano presto in boomerang. Ma non dobbiamo nemmeno essere ingenui e smetterla con l’autolesionismo, come quando la destra dice che non identifichiamo abbastanza perché lo dice la Ue.
L’identificazione è al 100 per cento da tempo: la Ue critica i nostri hotspot perché vuole che tratteniamo le persone lì dentro per anni. Come dire: lasciare il “lavoro sporco all’Italia”. Per questo ci mandano altri 500 poliziotti Ue: per controllare noi, più che i migranti. Per non diventare un “deposito di esseri umani”, possiamo fare molte cose, invece di ripetere ossessivamente “rimpatri” che – come detto sopra – necessitano di accordi.
Possiamo utilizzare la direttiva Ue 55 del 2001 (ripescata dagli uffici legislativi di Sant’Egidio), pensata per i flussi di massa ai tempi delle guerre dei Balcani, che concede la deroga a Dublino III e “promuove l’equilibrio degli sforzi tra gli stati membri”.
Possiamo favorire la concessione della protezione umanitaria (due anni) da parte delle commissioni, che permette di lavorare legalmente ovunque in Europa. Possiamo concedere la protezione temporanea prevista dalla Bossi-Fini (art. 20) che accorda il permesso di soggiorno di sei mesi, rinnovabile un anno, con il quale ci si può muovere in area Schengen.
Se in questi lassi di tempo il migrante trova un lavoro, sarà regolarizzato dove si trova.
Sono tutti modi legali per “avvisare” i partner, nel pieno rispetto delle regole comuni. Si parla anche di “numero chiuso”. Se lo vogliamo dobbiamo aprire all’immigrazione economica legale, com’era una volta. Puoi imporre il numero chiuso solo se hai un numero legale, frutto di accordo.
Oggi il decreto-flussi vale soltanto per gli stagionali: non va bene.
Infine una riflessione sul mercato del lavoro: le nostre mafie italiche controllano larga parte della somministrazione del lavoro nero, molto del quale è per migranti irregolari ma anche italiani.
E’ uno scandalo che il nostro paese non controlli il proprio mercato del lavoro.
E’ la cattiva abitudine di pensare che il sommerso sia un peccato veniale: invece è la porta d’entrata per i trafficanti di schiavi che si connettono alle mafie.
Lotta senza quartiere a “mafia-caporale” è parte integrante della messa in sicurezza dell’Italia di fronte ai flussi.
Fonte: esteri.it