Questa l’intervista del quotidiano La Stampa al ministro Frattini sul dittatore libico Gheddafi.
«Gheddafi ci apre le porte in tutta l’Africa» (La Stampa)
Roma 02 Settembre 2010
La Stampa
Antonella Rampino
Ministro, non crede che nessun altro Paese europeo avrebbe permesso a Gheddafi di auspicare l’islamizzazione dell’Europa, di chiedere minacciosamente sovvenzioni, di contestare le navi Nato nel Mediterraneo, di catechizzare giovani hostess?
«I rapporti che l’Italia ha con Gheddafi non li ha nessun altro Paese. Leggendo i giornali inglesi si vede quanto sia il disappunto perché l’Italia ha soppiantato la City londinese in Libia. L’Europa ci chiama a mediare per liberare eritrei dai campi di custodia nel deserto libico come quando ci sono cittadini bloccati a Tripoli. Quanto alle ragazze, io so dalla figlia di un mio amico fraterno, che per un caso era lì, che Gheddafi ha parlato di un Islam che deve essere europeo, non di un’Europa da islamizzare. Sa qual è il problema? In Italia c’è un atteggiamento da colonialismo di ritorno, e invece Gheddafi è un leader arabo, il presidente dell’Unione Africana, un politico capace di mettere un proprio collaboratore a presiedere l’assemblea dell’Onu. E va in giro per l’Africa a dire che l’Italia è l’unico Paese che ha superato il colonialismo. Sa questo quante porte apre in Africa?».
Ma se l’Italia ha tali rapporti con Gheddafi, perché non si è affrontato il tema dei diritti umani, dei migranti, della sede Unhcr?
«Puntando il dito contro la Libia non si ottiene nulla. Noi non lo abbiamo mai fatto, e anche per questo possiamo raggiungere risultati. La politica estera è complessa, la realtà del mondo arabo è complessa. Prenda l’ufficio libico dell’Unhcr: non è vero, come sostiene Laura Boldrini, che è chiuso. E’ aperto, tratta le pratiche pendenti, e non ancora quelle nuove per la semplice ragione che si sta negoziando con i libici un accordo di sede».
Tanto rumore per nulla, lei dice. Eppure ci sono stati problemi anche nel centrodestra, e su un punto identitario, che riguarda cattolicesimo e relativismo culturale.
«Perché anche nel centrodestra c’è gente che non capisce la politica internazionale. Com’è possibile esserci battuti tutti, anche Maurizio Lupi e Mario Mauro, per le radici cristiane dell’Europa e poi arrivare a farsi spaventare da una battuta, certamente folcloristica e provocatoria? Io non mi sono impressionato per niente».
Ma l’Italia è impegnata per i diritti umani in Libia, o no?
«Sto andando a Tripoli, dove c’è la riunione dei Paesi della sponda a Sud e a Nord del Mediterraneo. Ci saranno i premier di Tunisia, Algeria, Marocco, molti vicepremier e ministri degli Esteri europei, e quello è il formato adatto per affrontare il tema. Io chiederò che si discuta di quello che ha detto Gheddafi, e che Mario Deaglio sulla “Stampa” ha ben compreso: l’Africa è una bomba demografica, è impensabile che il Maghreb si metta a fare il gendarme per conto dell’Europa che, agli occhi delle loro pubbliche opinioni, è ricca ed egoista. Ocorrono fondi per lo sviluppo dell’Africa sahariana, e 5 miliardi sono anche pochi».
Perché non ha informato il Capo dello Stato sulla visita di Gheddafi?
«Perché ci sono regole di protocollo, e la visita di Gheddafi non era a noi, era ad altri. Ma è stato comunque un errore mio, da ora in avanti la Farnesina informerà sempre il Capo dello Stato, col quale ho parlato martedì sera, scusandomi».
Obama ha annunciato che la guerra in Iraq è finita, senza vittoria. Cos’è, un modello per l’Afghanistan?
«E’ prematuro dirlo, ma spero che in Afghanistan i risultati siano come in Iraq, positivi per la governance».
Ma se Baghdad è senza governo da sei mesi!
«Anche il Belgio, anche l’Olanda sono da mesi senza governo. L’instabilità irachena è un problema politico, ci sono 14 partiti che rispondono a 7 etnie diverse. Un po’ come l’Italia prima di Berlusconi, Prodi governava con 10 partiti come Al Maliki».
Ma per l’Italia vale la pena di partecipare a guerre senza vittoria?
«Sì, perché ci sono prove di terroristi provenienti da quelle aree negli attentati di Londra del 2005. Bisogna fermare il terrorismo dove nasce».
E’ la teoria dell’esternalizzazione del conflitto di Bush. Collocare lo scontro fuori dal proprio territorio, e farlo convergere in Iraq, e in Afghanistan. Non finirà anche lei come Blair: si dispiacerà per le vittime in un libro di memorie…
«Noi vogliamo fermare il terrorismo dove si produce, ed evitare che arrivi a casa nostra. A me per le vittime dispiace già adesso, ma quante ce ne sarebbero state se non avessimo fermato il terrorismo? Di più, ne sono convinto».
I colloqui israelo-palestinesi sono partiti. Ma le speranze che giungano a buon fine sono poche.
«C’è diffidenza tra le due parti, ma gli israeliani hanno cercato di attenuarla con due incontri tenuti riservati e guidati da Obama, con Abu Mazen e con il re di Giordania. Bisogna dare vera forza ad Abu Mazen, perché i palestinesi non abbiano l’impressione che qualunque accordo egli firmi sia a loro discapito. Il protagonismo americano non ci esclude, siamo costantemente informati, ma in questa fase l’Europa è fuori di scena. Torneremo indispensabili quando si tratterà di verificare la tenuta dell’accordo, fronte sul quale l’America da sola non basta. Ma gli americani ci dicono che con i negoziati, rispetto al settembre 2009, è come se si fossero fatti vent’anni di passi in avanti. C’è ottimismo».
Fonte: Esteri.it
Credo che il Nostro Ministro degli Esteri dovrebbe sperare di affidare lo sviluppo dei nostri rapporti con i paesi africani alle nostre capacità ed alla nostra credibilità piuttosto che all’ impegno, per quanto appropriato ed opportuno, del leader libico Muammar Gheddafi.
Vorrei inoltre fare presente che il leader libico non è attualmente il Presidente dell’Unione Africana, carica ricoperta dal Presidente del Malawi Bingu wa Mutharika .
Liliana Mosca
————————
prof. Liliana Mosca
Docente di Storia e Istituzioni dei Paesi Afro Asiatici
Dipartimento di Scienze dello Stato
Università degli Studi di Napoli Federico II
Via Mezzocannone 4
80134 Napoli Italia
tel + (0039) 081 2534080
fax + (0039) 081 2534061
e-mail mosca@unina.it