L’omicidio di Giulio Regeni ha scosso la nostre coscienze e il Paese intero, perché è stata troncata la vita di un giovane italiano esemplare, dottorando a Cambridge e ricercatore alla American University del Cairo, per il modo in cui è stato atrocemente torturato e ucciso e per la lezione di compostezza e di dignità che hanno dato i suoi genitori.
Siamo alla vigilia di importanti incontri che potrebbero essere decisivi per gli sviluppi delle indagini.
Come è noto, Giulio scomparve la sera del 25 gennaio al Cairo e il nostro ambasciatore nei giorni seguenti si attivò immediatamente, avendo colloqui con il vice Ministro degli affari esteri, con la consigliera per la sicurezza nazionale del Presidente e con il Ministro dell’interno. Io stesso, in quei giorni, chiesi al mio omologo, il Ministro degli esteri egiziano, di attivarsi in tutti i modi possibili per scoprire le ragioni di quella scomparsa.
Purtroppo il corpo di Giulio Regeni fu poi ritrovato il 3 febbraio. Io, dopo avere parlato con la madre, la signora Paola, nel frattempo arrivata al Cairo, diedi immediate istruzioni per chiedere formalmente con una nota verbale, da un lato, il rientro della salma in Italia, dall’altro, la partecipazione italiana alle indagini che sarebbero iniziate, e contemporaneamente per convocare immediatamente l’ambasciatore egiziano al fine di esprimere non solo lo sconcerto del Governo ma la nostra determinazione nella ricerca della verità. Lo stesso giorno – il 4 febbraio – il presidente egiziano al-Sisi comunicava al Presidente del Consiglio l’assenso dell’Egitto all’arrivo del team italiano, che in effetti arrivò al Cairo due o tre giorni dopo il ritrovamento del corpo di Giulio Regeni.
La posizione del Governo nei colloqui con le nostre controparti in Parlamento e in ogni sede è stata subito molto chiara. La riassumo utilizzando le parole del Presidente del Consiglio: ci fermeremo solo quando troveremo la verità, quella vera e non quella di comodo. Il fatto che l’Egitto sia un Paese chiave nella regione e il fatto che sia senz’altro un nostro alleato importante nel contrasto al terrorismo non è mai stato considerato un ostacolo, ma semmai deve essere considerato un incentivo a questa determinazione nel ricercare la verità. Allo stesso modo, quando poniamo il tema del rispetto dei diritti umani in Egitto, non lo facciamo certo per minare la stabilità di quel Paese; lo facciamo piuttosto, al contrario, per consolidare quella stabilità.
Dopo una prima fase informativa, la collaborazione tra il nostro team investigativo e le autorità egiziane con il passare delle settimane si è rivelata generica ed insufficiente. Per questo, a fine febbraio, ho anticipato al Ministro degli affari esteri del Cairo una nota verbale in cui il nostro ambasciatore ha poi formulato delle richieste molto precise e circostanziate, circa materiali che fanno parte dell’attività inquirente delle autorità egiziane (cinque tipologie diverse di materiale). Il 2 marzo, in seguito a questa nota verbale, un dossier di 91 pagine è stato consegnato alla nostra ambasciata e da noi immediatamente trasmesso alla Procura della Repubblica di Roma, che nel frattempo aveva aperto un fascicolo di indagine. Non spetta a me entrare nel merito di questi documenti, e comunque non certo nei dettagli, ma la Procura ha chiarito che questo dossier era certamente carente in generale e, in particolare, mancava di almeno due dei cinque capitoli di materiale richiesti dalla nostra nota verbale, quelli relativi al traffico di cella del telefono di Giulio Regeni e quelli relativi agli eventuali video della metropolitana del Cairo, nei pressi della quale potrebbe essere accaduto il sequestro del nostro concittadino.
Ulteriori difficoltà a questa collaborazione sono giunte poi dall’accavallarsi di notizie e versioni più o meno ufficiali o semiufficiali, smentite e verità di comodo, che in questi ultimi due mesi sono circolate con troppa frequenza e quasi sempre al di fuori dei canali investigativi, peraltro istituiti tra Italia ed Egitto e tra le nostre autorità inquirenti: dalla teoria dell’azione criminale volta a minare i rapporti tra i due Paesi (che certamente può essere un contesto, ma non è una risultanza investigativa), alle voci su Giulio Regeni informatore di questa o quella intelligence.
Certamente questo non ha contribuito all’efficienza della nostra collaborazione.
A metà marzo, la visita del procuratore della Repubblica Pignatone e del sostituto Colaiocco al Cairo ha rimesso questa collaborazione nei binari giusti. In quegli stessi giorni, il Presidente al-Sisi ha dichiarato, in interviste alla stampa italiana, di voler portare avanti fino in fondo l’attività di ricerca della verità. Tuttavia dieci giorni dopo, il 24 marzo, il nostro team investigativo è stato convocato a tarda sera al Cairo per un briefing delle autorità investigative egiziane relativo all’uccisione di un gruppo di cinque criminali dediti a rapinare o a sequestrare cittadini stranieri spacciandosi per poliziotti. Nel briefing è stato detto ai nostri investigatori che nell’abitazione del capo di questo gruppo di criminali era stata trovata una borsa contenente, tra altro, il passaporto e i tesserini universitari di Giulio Regeni.
Questo è apparso come un ulteriore e ancor più grave tentativo di accreditare una verità di comodo e la reazione italiana è stata ferma e immediata. Sia il Governo che la Procura della Repubblica di Roma, con i rispettivi canali, hanno subito chiarito che non avremmo accettato questa come la conclusione dell’indagine. La famiglia ha reagito pubblicamente e con forza. Nei giorni successivi diversi esponenti del Governo egiziano, smentendo, di fatto, la teoria che faceva risalire a quel gruppo di criminali l’omicidio di Giulio Regeni, hanno chiarito che le indagini sono ancora in corso e di questo noi prendiamo atto, fino al punto – e lo voglio segnalare – che due giorni fa il principale quotidiano egiziano, Al Ahram, in un editoriale del suo direttore, si è spinto a chiedere pubblicamente allo Stato di individuare e di punire i responsabili. Questa è la situazione ad oggi.
A questo punto credo sia legittimo e, anzi, doveroso chiedersi se la fermezza della reazione del Governo, della magistratura, della famiglia e dell’Italia intera potranno riaprire un canale di piena collaborazione; il canale, peraltro, assicurato dallo stesso presidente al-Sisi. Lo capiremo a partire dall’incontro tra gli inquirenti, che è previsto per giovedì e venerdì di questa settimana e a cui parteciperanno cinque tra magistrati e investigatori egiziani.
Cosa vuoi dire ristabilire un canale di piena collaborazione? Vuoi dire, innanzitutto, acquisire la documentazione mancante, quella che sappiamo esistere e che abbiamo formalmente richiesto; vuol dire non accreditare verità distorte o di comodo; vuoi dire accertare chi fossero i responsabili della probabile messa sotto osservazione di Giulio Regeni nel periodo precedente alla sua scomparsa; vuol dire accettare l’idea che l’attività investigativa possa vedere un ruolo più attivo degli investigatori italiani, ovviamente sotto la responsabilità degli inquirenti egiziani, come previsto dalla legge.
Sarà anzitutto la procura della Repubblica a valutare se questo cambio di marcia si delinea. Lo capiremo e lo valuteremo insieme nei prossimi giorni, senza inseguire oggi questa o quella voce, questa o quella anticipazione giornalistica.
Tuttavia, una cosa voglio dire già oggi affinché non vi siano dubbi di sorta: se questo cambio di marcia non ci sarà, il Governo è pronto a reagire adottando misure immediate e proporzionali e il Parlamento ne sarà tempestivamente informato.
Ho sentito richiamare – più o meno correttamente, ma spesso – in questi giorni, intorno a questa vicenda terribile, la ragione di Stato. Fatemi, allora, dire, ancora una volta, che cosa ci impone in un caso come questo la ragione di Stato. Ci impone di difendere, fino in fondo e nei confronti di chiunque, la memoria di Giulio Regeni, nel cui barbaro assassinio la madre ha visto palesarsi, come ha detto, «tutto il male del mondo». È dunque per ragione di Stato che pretendiamo la verità; è per ragione di Stato che non accetteremo verità fabbricate ad arte; è per ragione di Stato che non ci rassegneremo all’oblio di questa vicenda; ed è soprattutto per ragione di Stato che non consentiremo che venga calpestata la dignità del nostro Paese.
Fonte: esteri.it