Qui sotto l’articolo del ministro degli esteri italiano, Franco Frattini, pubblicato su L’Osservatore Romano il 10 luglio 2009 dal titolo «Pubblico e privato contro la povertà».
Nel preparare l’appuntamento della presidenza italiana con il G8 sono state di grande interesse le parole del cardinale Oscar Andrés Rodriguez Maradiaga, presidente della Caritas internationalis, che su «L’Osservatore Romano» del 26 giugno scorso ha sostenuto la necessità di una «conversione dal vecchio sistema di cieca cupidigia a un sistema dove i nostri occhi si aprano alla giustizia ed alla dignità per tutti».
Giustizia e dignità sono i presupposti imprescindibili per l’azione di un Governo, ma lo sono soprattutto ora per l’Italia e per la cooperazione allo sviluppo.
I vincoli e l’urgenza del risanamento economico hanno obbligato purtroppo a tagli nell’aiuto pubblico allo sviluppo nel 2009. Ma è stata questa una scelta limitata e contingente. Si è trattato infatti di una «eccezionalità negativa»: i fondi stanziati nel 2009 per la cooperazione sono stati ridotti, ma nell’anno 2oo8
l’aiuto italiano è stato di oltre 4.8 milioni di dollari, pari allo 0,22 per cento del Pil con un incremento di 850 milioni di dollari rispetto al 2007.
L’obiettivo resta quello di raggiungere lo 0,7 per cento del Pil entro il 2015, come prevedono gli impegni internazionali. E’ un traguardo che viene perseguito lungo due linee parallele.
La prima, a lungo termine, riguarda i modi per rendere più ef?caci gli aiuti. C’è, paradossalmente, un lato buono della crisi: che obbliga a razionalizzare l’uso delle risorse e che impone una responsabilizzazione, sia dei donatori che dei bene?ciari. Nulla di nuovo: la Dichiarazione di Parigi sull’ef?cacia dell’aiuto del 2005, ?rmata in ambito Ocse-Dac, già prevedeva un criterio di reciproca responsabilità fra istituzioni o Paesi donatori e bene?ciari.
Ma tutto questo diviene ora vincolante.
Per puntare a una risposta coerente e coordinata alla crisi è così necessario mirare a un’impostazione complessiva di sviluppo, che consiste nel creare le condizioni per mobilitare ef?cacemente tutte le sinergie del sistema paese, ovvero tutti quei fattori che contribuiscono allo sviluppo sostenibile. Grazie a meccanismi innovativi di ?nanziamento o anche alla valorizzazione del ruolo delle rimesse dei migranti, cioè quel contributo volontario che i migranti forniscono ai loro familiari.
È allo studio, ad esempio – in una cornice internazionale e assieme alla Banca mondiale – una proposta di raggiungimento dell’obiettivo del «5 per 5»: ossia della riduzione, a livello globale, del costo medio di invio delle rimesse dal circa 10 per cento attuale al 5 per cento, entro 5
anni.
Si tratta di una riduzione di circa il 5o per cento che, si calcola, creerebbe un aumento del reddito del migrante pari a 13-15 miliardi di dollari.
La seconda linea politica, a medio termine, riguarda il modo in cui fare sinergia assieme a tutto il Paese e la comunità internazionale, a partire da un’alleanza tra pubblico e privato. Così, già dallo scorso dicembre, è partita una semplice indagine sull’incidenza degli interventi delle imprese italiane nei programmi di cooperazione. Dai primi dati ottenuti risulta che, nel triennio 2006-2008, sono 521 le imprese italiane titolari di progetti con fondi riconducibili a interventi della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo. Di queste 39 si sono successivamente radicate sui territori in cui hanno operato, mentre sono 237 le imprese italiane che hanno lavorato sul posto con ?nanziamenti provenienti da altre fonti.
Il settore privato è dunque attivo nelle aree in via di sviluppo e non solo a breve termine. E questo è il primo passo verso una strategia più ampia.
Solo attraverso una sinergia tra sforzi pubblici e privati si potrà aumentare la capacità del sistema di aiuti. Una maggiore e più complessiva compartecipazione del mondo economico, e in particolare delle imprese, potrà raggiungere obiettivi come un più veloce radicamento delle attività di cooperazione nei Paesi in via di sviluppo e l’esportazione di buoni modelli produttivi e di gestione.
Esportare buoni modelli produttivi -come quello dell’impresa italiana- non signi?ca imporre, ma mostrare. Contribuire alla lotta alla povertà signi?ca quindi anche indicare e proporre modelli virtuosi di sviluppo privato. Signi?ca inoltre consegnare ai Paesi partner esempi di organizzazione imprenditoriale che possano aiutare a prevenire il fenomeno dell’immigrazione illegale. La sinergia tra pubblico e privato può così dare nuova spinta alla cooperazione. Puòpromuovere nuova ricchezza, soprattutto per l’Africa. E, insieme alla ricchezza, una nuova dignità