Cercando notizie e guardando i film del Festival del cinema africano, d’Asia e America Latina di Milano, gli inviati di Africanews.it hanno intervistato Anthony Suze, ex detenuto politico a Robben Island, Sudafrica. Era felice di condividere con noi l’idea che sta dietro ‘more than just a game’, il film sudafricano per cui e’ a Milano. Come ex carcerato a Robben Island, ha ugualmente condiviso con noi le sue esperienze personali.
‘More than just a game’, cosa significa?
“Significa che il calcio non era solo un gioco negli affari politici a Robben Island. Aveva un significato molto più profondo. A quel tempo per i detenuti, il calcio era uno stile di vita. E’ per questo che diciamo che era più di un gioco.”
Come descriverebbe la sua esperienza a Robben Island?
“C’erano molte difficolta’ a Robben Island. Personalmente, e’ stato un momento molto duro. Tutto avrebbe intimidito chiunque se non fosse stato per la compagnia degli altri prigionieri che e’ servita per incoraggiarci reciprocamente. Tuttavia sapevamo perche’ ci trovavamo li’. In una lotta come la nostra c’erano molte perdite. C’erano quelli che morivano e c’erano altri che venivano fatti prigionieri e noi eravamo stati fatti prigionieri”.
Ripensando ai giorni dell’apartheid in cui i diritti umani venivano abbondantemente violati in Sudafrica, secondo lei oggi va tutto bene nel paese?
“Ci sono stati cambiamenti radicali nel paese, nel senso che oggi il Sudafrica e’ governato dai neri, dalle popolazioni indigene. E’ per questo che abbiamo combattuto. Poi il fatto che ora i neri inizino ad avere il controllo dell’economia e dei mezzi di produzione, questo e’ un incoraggiamento.”
Come persona che e’ stata nella famosa Robben Island, che cosa vorrebbe che gli spettatori sapessero dal film ‘more than just a game’?
“Vogliamo che le persone comprendano la vittoria dello spirito umano sulle avversita’. Vogliamo che le persone capiscano che ci puo’ essere speranza finanche in quelle situazioni che sembrano senza speranza e senza soluzione. Vogliamo che la gente sappia che le situazioni possono essere negoziate. Nel film si vedono molti compromessi…
Cambiare atteggiamento non e’ una cosa semplice, ma l’atteggiamento delle persone puo’ cambiare veramente. In Sudafrica abbiamo cambiato atteggiamento. Abbiamo cambiato i nostri modi di vedere nei confronti della dignita’ e della nostra umanita’ e non abbiamo usato solo la forza per farlo. Abbiamo usato il compromesso, la condivisione dello spazio e la tolleranza degli uni verso gli altri”, ha detto con un’espressione molto seria e decisa in viso, come quello di un uomo vissuto che vuole che altre persone imparino qualcosa dalla sua lotta dolorosa.
Parlando di tolleranza, il presidente della regione Lombardia, Roberto Formigoni, ha sottolineato che visto che la coesistenza tra persone diverse incomincia ad avere un ruolo centrale in molte parti del mondo, festival cinematografici come quello di Milano dovrebbero essere visti come un utile strumento per l’integrazione culturale e la convivenza pacifica.
“Per capire i tuoi vicini, li devi conoscere”, ha aggiunto.
In un altro momento, uno studente membro della giuria composta da giovani italiani e figli di stranieri che abitano a Milano, ha detto dopo aver premiato ‘Nègropolitain’ come miglior film per la giuria: “Siamo noi che dobbiamo cambiare la nostra situazione. Non possiamo permettere che le situazioni ci cambino”.
Per permettere una maggiore partecipazione degli spettatori al festival, gli organizzatori hanno attentamente selezionato alcuni slogan, due dei quali erano ottimi: ‘Forget Africa?’ (Dimenticare l’Africa?) e ‘Racism is a Nasty Story’ (Il razzismo e’ una brutta storia). Entrambi hanno lo scopo di stimolare le riflessioni sulla condizione dei meno fortunati.
Dopo essere stati spettatori di diversi atti di xenofobia e di opinioni negative scagliate contro i migranti in Italia e in altri paesi europei negli ultimi anni, e’ naturale che molte persone e organizzazioni si battano per correggere l’andamento. Il festival e’ stato percio’ un’opportunita’, usando lo slogan ‘racism is a nasty story’, per rafforzare la lotta per una societa’ in cui ogni individuo, indipendentemente dalla sua razza o dalla sua fede, possa essere trattato con rispetto e dignita’.
‘Forget Africa?’ e’ un altro slogan interessante usato durante il festival. Sebbene non sia una domanda diretta, cio’ non di meno e’ stato uno slogan provocatorio per coloro i quali sono chiamati ad assumersi una responsabilita’ per aiutare l’Africa, o piuttosto verso gli africani che devono aiutare se stessi.
Ewanfoh Obehi Peter