Di Maio “Al Cairo serve un ambasciatore Per Zaky e per Giulio” (la Repubblica)
VOLO PRISTINA-PARIGI – Un giorno e mezzo di tour forsennato tra le istituzioni dei Balcani occidentali: a Belgrado, Skopje, Pristina, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio si è fatto portatore di un messaggio che guarda alla stabilizzazione dell’area e al suo ingresso nell’Unione europea. Ha visitato il comando della Kfor in Kosovo, ha parlato con i 500 soldati italiani che ora guidano la missione Nato. Ha ricordato gli sforzi fatti dal nostro Paese per la pace, tanto qui, dove una sanguinosa guerra civile ha scavato ferite che stentano a rimarginarsi, quanto in Libia, dove il momento di agire è adesso. Attraverso un embargo totale del rifornimento di armi alle fazioni in lotta. Ma quando sale sul volo che lo porta a Parigi, alla cena con il suo omologo francese Le Drian, Di Maio si ferma a parlare di Patrick George Zaky, il ricercatore egiziano dell’università di Bologna il cui fermo troppo somiglia a quello subito da Giulio Regeni prima di essere torturato e ucciso.
Cha notizie ha la Farnesina di Patrick Zaky?
«Poco fa (ieri sera, ndr) c’è stato un incontro tra il nostro ambasciatore Giampaolo Cantini e Mohammed Fayek, il presidente del National Human Rights Council che ha sede al Cairo. L’ambasciata sta portando avanti tutte le azioni che servono per avere il massimo delle informazioni e attivare tutti gli organi di garanzia. Abbiamo fatto lo stesso a livello europeo, chiedendo che l’Unione segua tutti i passaggi del processo».
Pensa che basti? L’avvocata di Zaky ha rivelato che ha subito torture.
«Quando si parla di diritti umani l’Italia tiene sempre un faro acceso, a prescindere dalla nazionalità di questo ragazzo. Stiamo acquisendo tutti gli elementi possibili per fare piena luce su questa vicenda».
Una storia che sembra ripetere quella lasciata al buio di Giulio Regeni. L’Egitto non ha ancora dato le risposte che la famiglia e il nostro Paese chiedono. Non pensa sia necessario un nuovo ritiro dell’ambasciatore davanti al muro dl gomma?
«Ho avuto modo di incontrare i genitori di Giulio Regeni e pubblicamente ho detto una cosa molto chiara: l’obiettivo che ci siamo dati fin dalla nascita di questo governo è la riattivazione del dialogo tra le procure, che era rimasto interrotto per un anno. Il 14 gennaio c’è stato un primo incontro tecnico, adesso -quando Roma avrà nominato il suo nuovo procuratore capo – dovrà esserci un vertice ai massimi livelli. Quella sarà la prova del nove delle disponibilità. Non sono Alice nel Paese delle meraviglie, so che non sarà facile, ma mi aspetto concretezza. Vogliamo che i colpevoli siano individuati e puniti. Questo processo di conoscenza e di richiesta di giustizia però può essere portato avanti solo avendo un ambasciatore lì. Lo stesso vale per l’aiuto che possiamo dare a Patrick Zaky proprio per il fatto che al Cairo l’Italia c’è».
Perché, nonostante l’opacità e le violazioni del diritti umani del regime di al Sisi, vendiamo all’Egitto navi che Fincantieri ha fabbricato per la nostra Marina?
«Sulle fregate Fremm il governo non ha preso alcuna decisione. C’è un negoziato in corso tra Fincantieri e governo egiziano, ma seguiamo con molta attenzione quello che sta avvenendo e nessuna vendita è stata approvata».
Anche Leonardo vende elicotteri e aerei ad al Sisi, che aumenta i suoi armamenti.
«Ma noi non possiamo intervenire sulle commesse del passato. Se c’erano degli accordi già presi e i prodotti arrivano in consegna adesso, non può essere imputato a noi».
Quindi che rapporti deve avere l’Italia con l’Egitto?
«Quando abbiamo affrontato il tema libico non si è potuto prescindere dal lavorare anche con l’Egitto, che oggi siede alla conferenza di Berlino ed è cruciale per la stabilizzazione del Mediterraneo e perla questione energetica. Ma posso garantire che ogni volta che vediamo al Sisi, sia io che il premier Conte, la prima questione che poniamo è quella della verità su Regeni».
L’inviato Ue perla Libia Josep Borrell ha chiesto all’Italia di dire si al ritorno in mare della missione Sophia. Come risponde?
«Noi insistiamo affinché la missione europea attui un embargo delle armi serio nei confronti di entrambe le fazioni in lotta. E le armi arrivano via aerea, via mare e via terra. Soprattutto via aerea e via terra».
Sta dicendo che non serve che le navi dell’Unione europea tornino a controllare un’area dove ora ci sono solo imbarcazioni turche?
«Dico che il primo modo per accertarsi che in Libia non entrino armi è il controllo aereo, attraverso i satelliti e i droni. La missione Sophia così come l’abbiamo conosciuta incontra diverse contrarietà a livello europeo».
C’è la paura dell’Austria che sia un pull factor per i migranti. È anche la ragione dei dubbi italiani?
«È chiaro che la missione può avere anche un dispiegamento navale, ma servono regole di ingaggio esclusivamente sul rispetto dell’embargo».
Sa bene che la legge del mare e le leggi internazionali impongono il salvataggio dei profughi.
«Certo, la legge del mare va seguita, ma i migranti devono essere accolti dal Paese di bandiera della nave».
Sa anche che la prima cosa da fare è trovare un posto sicuro. A cosa servono le nostre tardive richieste di modifica al memorandum libico, se Unhcr ha dovuto chiudere un centro perché è impossibile garantire l’incolumità di operatori e migranti?
«Intanto è molto importante che Unhcr abbia detto che rimane in Libia, perché il suo ruolo è quello dell’Oim sono fondamentali affinché si rispettino gli accordi di Berlino, si chiudano i centri di detenzione e si aprano centri di accoglienza controllati dall’Onu. Ma in Libia la sicurezza si sta deteriorando, con il blocco degli introiti derivati dal petrolio il governo presto non avrà i soldi per pagare i servizi essenziali. Il problema non riguarda solo i 3000 profughi nei centri, ma l’intero popolo libico e i 700mila immigrati presenti sul territorio che potrebbero muoversi su altre rotte».
Lei ha assicurato che il diciassettenne rimasto in Cina, nel Wuhan, sarà presto a casa, ma le 24 ore di cui aveva parlato sono già trascorse. Quando tornerà in Italia Niccolò?
«Un aereo dell’aeronautica è già pronto per andarlo a prendere dall’altra parte del mondo. Ci sono dei tempi tecnici da rispettare, ma si tratta di problemi burocratici. La volontà politica non c’entra. Ho parlato con i suoi genitori, che lo hanno sentito. Niccolò sta bene e sarà presto in Italia».
Cosa pensa della gara tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni per accreditarsi con l’amministrazione americana di Donald Trump?
«Più che compiacere Trump, mi sembra che siano in competizione tra loro. Perché non li sento parlare dei dazi che colpiscono le nostre imprese?».
Fonte: esteri.it