Negli ultimi decenni la presenza italiana in Africa ha viaggiato su due binari paralleli. Da una parte progetti di sviluppo di ong, missionari e società civile. Dall’altra aziende che, in ordine sparso, si sono trovate ad affrontare mercati complessi, con risultati altalenanti. L’era degli aiuti a perdere è ormai terminata. L’obiettivo dichiarato è quello di riuscire a creare un vero e proprio sistema di presenza italiana sul continente africano per attuare interventi sostenibili.
Ferro di lancia del nuovo corso della cooperazione allo sviluppo è la Legge 125/2014, che ha dato vita all’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) e al Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo (Cncs). Un quadro normativo innovante che apre la porta a diversi attori per azioni integrate tra settori istituzionali, della finanza, dell’imprenditoria e della società civile. Per la prima volta le comunità di immigrati stabilite in Italia sono chiamate a diventare un ponte con il Paese di origine.
Transnazionalità, rete, identità collettive, co-sviluppo, collaborazione proattiva, migrazione veicolo di sviluppo, cooperazione integrata e sostenibile sono state le parole più ricorrenti al convegno intitolato “Nuova cooperazione allo sviluppo. Le diaspore protagoniste, sfida e opportunità”, tenuto il 3 maggio a Roma presso l’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà (Inmp). Un incontro organizzato dall’Associazione culturale Le Réseau, il cui presidente Cléophas Adrien Dioma è stato nominato coordinatore del gruppo di lavoro “Migrazioni e sviluppo” del Cncs.
«L’Italia ha una lunga storia di immigrazione. Un fenomeno che può aiutare un Paese a diventare più maturo, con una forza propositiva che purtroppo viene spesso ignorata. Il mainstream dell’informazione fornisce un’altra lettura invece andrebbe pubblicizzato positivamente tutto quello che le comunità straniere fanno»: ha esordito Laura Frigenti, direttrice della neo Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), annunciando la prossima pubblicazione del primo bando dell’istituzione rivolto a organismi non governativi per l’identificazione, l’organizzazione e la gestione di interventi nel nuovo corso della cooperazione. «Dobbiamo chiedere alle diaspore che cosa ha senso per loro, avvalendoci delle loro competenze e conoscenze. Dobbiamo lavorare a un futuro comune piuttosto che rimanere ancorati al passato».
Numeri alla mano si evince che «le diaspore costituiscono già una realtà importante per l’economia italiana» ha sottolineato Giampaolo Cantini, direttore della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo. In Italia i titolari di 477.000 imprese sono stranieri (marocchini, rumeni, cinesi, senegalesi, tunisini ed egiziani), pari al 7,8% del totale, con un fatturato di 7 miliardi di euro. Il volume di flussi finanziari in uscita (rimesse) si attesta attorno ai 5,2 milioni (contro 7,4 nel 2012), pari allo 0,35% del Pil. Sin dal semestre di presidenza italiana dell’Unione europea nel 2014 è stato portato avanti il concetto di migrazione veicolo di sviluppo, ora integrato al “Migration Compact” e all’Agenda dello Sviluppo 2030. Ad esempio, l’Italia ha già fornito sostegno alla diaspora senegalese con una linea di credito di 25 milioni di euro destinata al finanziamento di progetti imprenditoriali nel Paese di origine. Un’esperienza che su scala continentale si rispecchia nel Trust Fund dell’Ue, istituito nel novembre 2015 al vertice della Valletta.
In prima linea nel nuovo corso della cooperazione anche il settore privato profit e non profit. «I dati economici indicano chiaramente che bisogna eliminare gli stereotipi» ha insistito Danilo Salerno, direttore di Coopermondo Confcooperative. L’Italia spende 3,5 miliardi per migrazioni e cooperazione ma l’Inps incassa 8 miliardi di contributi versati dai lavoratori stranieri, per un gettito fiscale nel 2014 di 45,6 miliardi e 6,8 miliardi di contributi Irpef. Nonostante la crisi, il numero di cooperative sociali continua a crescere: delle 80000 registrate (dato dello scorso dicembre), 4800 sono dirette da nuovi cittadini e immigrati.
Altro contributo dovrebbe arrivare dal mondo della finanza. In base alla Legge 125, la Cassa dei depositi e prestiti (Cdp) dovrà ricoprire la funzione di “banca di sviluppo” per far fronte alle grandi sfide e potenzialità dell’Africa. Intanto in Italia «su 22 milioni di possessori di libretti postali, 1,5 milioni sono cittadini stranieri originari da ben 140 Paesi, tra i più poveri al mondo» ha precisato Bernardo Bini Smaghi, direttore della Cdp. Inoltre la Banca Popolare dell’Emilia Romagna (BPER) ha già lanciato un “Laboratorio Prototipi di Business” per la realizzazione di progetti sostenibili nei Paesi africani. «Un’iniziativa che parte dal basso per valorizzare il capitale umano, scambiare competenze, conoscenze e creare ponti» ha spiegato Lorenzo Zanini, responsabile del progetto della BPER. Tra le modalità di finanziamento dei progetti selezionati – che vedono il coinvolgimento di istituzioni, Ong, università – c’è anche il crowfunding.
Italia-Africa-quale-ruolo-strategico-per-la-DiasporaLe ong hanno espresso soddisfazione per un quadro normativo più favorevole, auspicato da tempo. «L’Europa sta, però, venendo meno ai suoi valori fondamentali quali il diritto di asilo e di rifugio a chi ne ha bisogno. Abbiamo scritto al presidente del Consiglio Renzi esprimendo preoccupazione per il possibile accordo con la Turchia. Al contrario bisognerebbe sostenere i Paesi in transizione democratica, a cominciare dalla Tunisia» ha deplorato Andrea Stocchiero di Focsiv, Concord Italia e Aoi.
Su scala europea, un’esperienza innovativa ha preso il via nel 2012: la Joint Migration and Development Initiative (Jmdi), programma congiunto tra Commissione europea, Onu e Agenzia svizzera per lo sviluppo e la cooperazione. Dopo che la cooperazione assimetrica ha dimostrato i suoi limiti obiettivi, «dobbiamo costituire reti tra comunità della diaspora, enti locali e regionali per creare un partenariato orizzontale, un nesso tra il territorio di partenza e quello di arrivo» ha sottolineato Cécile Riallant, direttrice del programma. Tra gli strumenti ideati dalla Jmdi un cofanetto contenente materiale formativo (Toolbox on Migration and Local Development) e un apposito portale http://www.migration4development.org/.
In attesa che venga convocato il Summit delle Diaspore, il prossimo appuntamento per rimanere in tema cooperazione è la prima conferenza ministeriale Italia-Africa del 18 maggio, a Roma.
Véronique Viriglio
Foto © Cooperazione Italiana allo Sviluppo, Associazione culturale Le Réseau.
Fonte: eurocomunicazione.com