Il prossimo centro culturale italiano di Ouagadougou (Waga) sorgera’ nel quartiere di Goughin della capitale del Burkina Faso.
In queste tre settimane di agosto, la casa della famiglia Dioma ha accolto tre italiani che, grazie a Cleo, hanno potuto conoscere Waga, la sua immediata periferia, e l’accoglienza del popolo burkinabe’.
Ieri (20-21 agosto) abbiamo tenuto una festa visto che era l’ultimo giorno del nostro viaggio.
Ad un certo punto abbiamo sintetizzato quest’esperienza. Cleo ha spiegato i motivi che lo hanno portato a presentare a degli italiani il suo Burkina Faso, o almeno la capitale Ouagadougou. Il centro culturale – ha detto Cleo – e’ un punto d’incontro tra burkinabe’ e italiani. Quello che cercava non era un classico centro di diffusione e promozione della cultura italiana. Per un progetto del genere non ci sarebbe stato bisogno degli italiani. Lo avrebbe potuto fare da solo. Al contrario Cleo ha cercato di vedere il suo paese con gli occhi degli italiani. Come ha detto lui stesso qualche giorno fa, da solo non sarebbe mai tornato a fare visita al suo liceo a Waga. Grazie a noi ha scoperto il suo Burkina Faso e ha notato cose a cui prima non dava importanza. Detto cio’ ha passato la parola agli italiani e alla loro sintesi del viaggio.
Comincio io. Sottolino che la prima impressione in Burkina Faso, o almeno a Waga, non e’ quella che conta. Una persona che arriva qui, come in molti paesi africani, viene investita da una serie di immagini negative: i bambini sporchi che giocano in strade polverose tutto il giorno, la piu’ totale mancanza di organizzazione, l’igiene, la poverta’, i lavori precari, i muratori che salgono sulle impalcature senza alcun tipo di protezione. Subito dopo questa prima superficiale impressione, pero’, una persone con un po’ di sensibilita’ non puo’ non farsi coinvolgere dall’umanita’ e dall’accoglienza sincera dei burkinabe’. Nonostante tutte le differenze che ci possono essere tra le persone, l’umanita’ e’ sempre la stessa. Il sangue e’ pur sempre rosso. Questo non e’ solo un bel principio di amore universale astratto e impraticabile. Gli africani, o almeno i uagalesi, lo praticano veramente: basta pensare al fatto che nella maggior parte delle famiglie convivono pacificamente due o piu’ religioni. Lo abbiamo visto con la festa per la fine del Ramadan, domenica, in cui le persone si sono fatte visita reciprocamente. I cristiani hanno fatto visita ai musulmani. O, ancora di piu’, basta pensare al fatto che il concetto di famiglia burkinabe’ non e’ lo stesso che in Italia o in Europa. Qui la famiglia e’ molto allargata. Non solo nel senso che molti fanno molti figli, ma anche nel senso che spesso due ragazzini che crescono nello stesso villaggio si considerano fratelli.
Aggiungo che oltre al problema delle strade non asfaltate e delle buche, che spesso sono dei crateri, la forza del popolo burkinabe’ sta nel fatto di restare unito nonostante tutte le diversita’. Nonostante una rivoluzione interrotta (quella di Thomas Sankara), il popolo burkinabe’ continua a lottare per il suo futuro. A modo suo. Sottolineo che quello che un europeo puo’ imparare dal burkinabe’, come da altri africani, e’ quello di non considerare il fare velocemente tante cose al giorno sempre al cardiopalma, con l’affanno, non e’ tutto nella vita. E’ altrettanto importante costruire relazioni solide con i membri della propria famiglia, con i vicini di casa, con i colleghi di lavoro, con i compagni di scuola. Ovunque, sempre e in ogni modo. Un europeo puo’ imparare da un burkinabe’ che la velocita’ del fare e l’organizzazione scientifica per risolvere i problemi non servono a nulla se non c’e’ coesione sociale.
Un europeo che non e’ mai stato in Africa e che vede per la prima volta i bambini di Waga che giocano con i vestiti sporchi per le strade in terra battuta con le inevitabili pozzanghere ad agosto (l’inverno del Burkina Faso), potrebbe pensare subito a cosa fare per risolvere i problemi. Probabilmente metterebbe su un programma di cose da fare con un’agenda e inizierebbe a lavorarci su. Subito dopo pero’ si accorgerebbe che i problemi vissuti dagli africani non sono sentiti allo stesso modo da un europeo. Un burkinabe’ metterebbe davanti la relazione col prossimo. La consoliderebbe. Dopo inizierebbe a parlare del come risolvere i problemi comuni. La condivisione e la coesione prima di tutto.
Debora conclude questa piccola condivisione della nostra esperienza in Burkina Faso dicendo che questo e’ stato il suo primo viaggio in Africa. E’ rimasta molto colpita e coinvolta da tutto e da tutti: i bambini del quartiere, la vita a Waga, i villaggi burkinabe’ nelle altre regioni che ha visitato (Bobo, Koudougou, Bazoule’), le case. E al ritorno in Italia trovera’ il modo di tornare in Burkina Faso per un’esperienza a lungo termine.
Alcuni adolescenti maliani ci hanno fatto ballare con la loro musica coinvolgente e cosi’ abbiamo concluso la festa per il nostro arrivederci al Burkina Faso.
Condividere e costruire solide relazioni sono certamente cose fondamentali, da mettere al primo posto, senza dimenticare di mettersi all’opera per risolvere i problemi.