Il tedesco americano Henry Kissinger, consigliere alla difesa del presidente americano Richard Nixon dal 1969 al 1975 e segretario di stato dal 1973 al 1977, diceva: « chi ha il controllo del petrolio, controlla l’economia. Chi controlla i cereali, controlla il mondo! »
Grazie ad una serie di diversi fattori, l’Africa si trova ad un passo dal controllare l’intera Unione Europea grazie alle sue terre coltivabili, grazie alla sua agricoltura, grazie al suo cibo.
E’ proprio per evitare questo scenario catastrofico che l’Europa ha fatto di tutto per frenare l’accesso del continente africano alla coltura del cereale occupandola con colture inutili e nefaste come il cacao, il caffè e il cotone. Nel momento in cui tutto ciò non era sufficiente, è entrata in gioco la Politica Agricola Comune, la PAC, che ha fatto dumping agricolo, finanziando a oltranza le esportazioni di alcuni prodotti verso l’Africa per assassinare la sua agricoltura e i suoi allevamenti.
Ma la profonda crisi economica dell’Europa, insieme all’arrivo al potere di una nuova generazione di africani più istruiti e più coraggiosi, sono in procinto di cambiare le cose. Così l’Africa è sulla strada per controllare l’Europa nei prossimi 20 anni. Per comprendere meglio, esaminiamo il Perché e il Come di questa rivoluzione.
I- PERCHE’
1- SOVRAPPOPOLAMENTO DELL’EUROPA
Quando ci poniamo la domanda: qual’è il paese più densamente popolato al mondo, di solito rispondiamo dicendo che è la Cina. Questa risposta è sbagliata. La Cina ha la stessa densità di popolazione della Nigeria, 134 abitanti per chilometro quadrato (km²). E’ l’Europa che ha i paesi più popolati del mondo. L’Italia per esempio ha 199 abitanti per km², il Belgio ne conta 385 per km² e i Paesi Bassi 400 abitanti per km².
Ciò nonostante è in Europa che si constata la più importante perdita di terre coltivabili pur avendo molte più bocche da sfamare su uno spazio terrestre più esiguo. Ancora peggio, con una densità di 1.217 abitanti per Km², di terre coltivabili secondo l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa), il Belgio conta un tasso d’urbanizzazione del 92,7% e appena il 7,3% di aree rurali.
Come fanno notare Cazaux, Carels e Van Gijseghem in un rapporto pubblicato nel 2007, finanche quel 7,3% di terre sono minacciate da una forte pressione immobiliare il che avrebbe come conseguenza la scomparsa programmata non solo della produzione agricola ma anche degli abitanti, della fauna e della flora selvatica.
2- DIMINUZIONE DEGLI SPAZI AGRICOLI IN EUROPA
Secondo la rivista economica francese “La Tribune”, nel numero del 21/12/2011, la prima potenza agricola dell’Unione Europea, la Francia, perde ogni secondo 26 m² di terreno agricolo, morsicchiato dall’urbanizzazione. Ciò vuol dire che la Francia perde 82.000 ettari di terreni agricoli ogni anno. Diego Furia, direttore per la regione Piemonte del sindacato italiano degli agricoltori Coldiretti, ha detto, il 25/07/2011, che la città di Torino, che aveva una certa autosufficienza alimentare, aveva perso in 15 anni 7.000 ettari di terre coltivabili a causa della speculazione immobiliare.
Per gli stessi motivi, 100 ettari di terre coltivabili scompaiono ogni giorno in Italia.
Il deficit europeo è quindi molto preoccupante: per conquistare l’autosufficienza alimentare nel 2011 all’Europa mancherebbero 35 milioni di ettari di terreni coltivabili.
Secondo Robert Levesque, direttore di Terres d’Europe-Scafr, il centro studi della federazione Safer (Società di sviluppo del territorio e insediamento rurale), con un aumento delle perdite di 9 milioni d’ettari in 10 anni, è facile prevedere una vera e propria catastrofe per l’Europa negli anni a venire perché dice che « in Europa, storicamente l’uomo si è stabilizzato su delle terre fertili e le attuali città sono cresciute a partire da quei primi insediamenti ».
Nel 1960, l’urbanizzazione in Francia ha provocato la perdita di 40.000 ettari di queste terre coltivabili. Nel 2011, questa cifra si è raddoppiata, il che vuol dire che le terre più fertili sono adesso invase dal cemento, come giustamente ha sottolineato Levesque.
Si tratta di un vero spreco per delle popolazioni che consumano la maggior parte dei prodotti alimentari del mondo, e in Africa, anche i più piccoli l’hanno capito. Si assiste ad un’accelerazione di questo processo alla velocità di 26 m² al secondo in cui scompaiono terreni agricoli, e loro si sfregano le mani per approfittare di queste insufficienze alimentari dell’Europa. In Camerun per esempio, le autorità si precipitano per assemblare non le due ruote o le automobili, ma i trattori. In tutto il continente africano c’è la corsa all’apprendistato della produttività e della competitività. Ognuno vuole un pezzo della torta Europa. […]
I meno pronti ci hanno visto solo il fuoco nel costruire la loro nuova campagna su un’ipotetica corsa all’accaparramento delle terre in Africa, ma la verità è un’altra: accogliendo a braccia aperte gli investitori stranieri sulle loro terre, gli africani vogliono importare le moderne tecniche agricole che sono rimaste sconosciute a causa di 200 anni di colture di caffè, cacao e cotone.
3- SPECULAZIONI DI BORSA DEI PRODOTTI AGRICOLI
Se c’è qualcosa che ha fatto molto scalpore durante le rivolte che si sono succedute dal 2008 al 2011 un pò dappertutto nel mondo, è l’aumento dei prezzi delle derrate alimentari a causa delle speculazioni finanziarie. In poche parole, i traders che avevano speculato sul petrolio, sul gas o sui minerali, all’improvviso avevano deciso di speculare sui prodotti alimentari. Ciò che è stato sotto stimato, è stato il vantaggio che ne sarebbe derivato per l’agricoltura africana da queste speculazioni. In effetti, quanto più aumentano i prezzi dei cereali, tanto aumenta la manna per l’Africa che, per la sua posizione geografica, il suo clima favorevole, l’elevata piovosità e la disponibilità continua di sole per tutti i 12 mesi dell’anno, può ottenere facilmente 3 buoni raccolti all’anno rispetto all’unico raccolto dei paesi europei. E’ così che la dipendenza alimentare europea rispetto all’Africa è inevitabile e i deficit rischiano di calcolarsi in diverse centinaia di miliardi di dollari all’anno da qui ai prossimi 10, 15 anni.
II- COME
4- RECUPERO DELLE TERRE AGRICOLE AFRICANE SOTTRATTE DAGLI EUROPEI DAL 1884
Secondo uno studio reso pubblico il 22 aprile 2011 da Shouwang Maitian del Centro d’Informazione della Cina a Pechino, in Africa esistevano 270 milioni di ettari di terreni coltivati, cioè 2,17 volte la quantità di terre coltivate in Cina. Il problema è che su questa quantità, 230 milioni d’ettari sono occupati da colture inutili, nocive per l’economia del continente come le colture di cacao, caffè, cotone e banane. Infatti la quasi totalità dei terreni agricoli africani sono controllati de facto sin dal periodo dell’occupazione europea nel 1884 tanto direttamente quanto indirettamente, senza che ci sia una via d’uscita anche per uno solo dei paesi africani.
Se vuole approfittare della manna europea, l’Africa deve sradicare tutte le colture dette coloniali per passare a quelle che sceglierà senza l’ombra di pseudo esperti occidentali. Utilizzando meno della metà delle terre africane, la Cina riesce a sfamare 1,3 miliardi di abitanti e di fornire l’Europa di diversi prodotti alimentari come la soia, i pomodori, ecc., anche se in certi paesi come l’Italia, è ancora un argomento tabou il fatto di riconoscere che il pomodoro che ha contribuito all’orgoglio nazionale ormai proviene dalla Cina.
L’Africa ha necessità di distruggere tutti questi campi di caffè e cacao (che hanno la vergognosa caratteristica di non permette che nient’altro possa crescere al di sotto) per dispiegare la sua rivoluzione agricola coltivando ciò che può controllare e ciò che può dare un raccolto ogni tre mesi e non ogni 12 mesi come per il caffè.
III – REAZIONI DEL PRESUNTO MALATO
Di fronte a questa morte annunciata dell’agricoltura europea e la conseguente dipendenza dall’Africa, si può constatare che sfortunatamente l’Europa non ha preso nessuna misura per affrontare questa transizione obbligata. Al contrario insiste in una politica irragionevole utilizzando la sua armata di ONG che finanzia per distrarre gli africani dalle vere priorità :
5- LA FALSA GUERRA DELL’ECOLOGIA SULLA FORESTA AFRICANA
La foresta equatoriale africana è un handicap allo sviluppo economico dei paesi che hanno ceduto alle sirene dell’imperialismo maligno in versione ecologica. Esistono delle ONG che fanno di questa questione una sorta di religione e riescono a distogliere l’attenzione dai veri problemi africani per concentrarla su un falso problema come quello della conservazione della foresta equatoriale.
La Conversione dei terreni agricoli dell’Åboland ne è un esempio: c’è un paese europeo che vive della sua foresta, è la Finlandia. L’Unione Europea consiglia a questo paese di conservare la sua foresta affinché divenga una riserva d’ossigeno per tutta l’Europa, come fanno i suoi luogotenenti ecologisti in Africa? Ovviamente no. E’ sorprendente constatare che si consiglia persino il contrario. L’UE finanza la Finlandia affinché distrugga la sua foresta e trasformi questi spazi, nella regione dell’Aboland, in zona agricola, nonostante il fatto che il difficile clima nordico non permetta un’agricoltura florida come in Africa.
L’UE ha ragione, basta osservare in Africa la povertà delle popolazioni delle zone forestali, ambienti tanto ostili all’uomo quanto il deserto. Eccone le ragioni:
A- La foresta è incompatibile con l’agricoltura. “Per natura, l’agricoltura impedisce agli alberi di guadagnare terreno (la scomparsa dell’agricoltura impegna generalmente un forestale esperto). Nei paesi nordici, il problema è la foresta, è la perdita di spazi non boschivi” revista a pagina 58 il rapporto dell’OCSE 2009 di 82 pagine intitolato: “La conversione dei terreni agricoli” per giustificare il finanzimento da parte dell’Unione Europea per distruggere la foresta e passare così all’agricoltura ad Aboland, nel sud della Finlandia.
B- La foresta è incompatibile col turismo: “Il turismo aumenta il valore delle terre e rafforza la concorrenza. Come vantaggio ha quello di moltiplicare le fonti di ritorno economico non agricolo, in particolare con l’agriturismo, e di accrescere la domanda di prodotti alimentari locali”. E’ ciò che sostiene lo stesso rapporto citando la pubblicazione “Andersson, Eklund e Lehtola, 2006”. La foresta è vista come un handicap al turismo, generatore di numerosi posti di lavoro: “Gli spazi agricoli offrono delle strade aperte il che rafforza l’attrattiva turistica della regione, l’agricoltura può contribuire a difendere il mercato del lavoro locale”, conclude il rapporto.
In parole povere, coloro che moltiplicano i seminari e gli incontri per incitare a conservare la foresta equatoriale africana sanno che stanno impedendo a dei paesi interi di uscire dalla povertà, utilizzando i mezzi naturali a loro disposizione. Ancor peggio, arrivano fino a finanziare i loro luogotenenti affinché vadano a raccontare agli africani fino a che punto adorano i gorilla che bisogna difendere ad ogni costo, con un cinismo incredibile, come a voler dire che accetterebbero un’Africa con i suoi animali e senza i suoi abitanti, senza gli africani.
C- Le idee ricevute dagli ecologisti malinformati sulla foresta tropicale.
Una delle bugie sapientemente veicolate dai luogotenenti del non-sviluppo dell’Africa per convincere gli africani a non sviluppare certe zone oggi occupate dalla foresta è di dire che l’Africa è uno dei polmoni del globo rifornendo d’ossigeno finanche l’Europa. Coloro che fanno questo genere d’affermazioni peccano d’ignoranza o di cattiva fede, perché gli alberi centenari di queste foreste non possono produrre più ossigeno dei giovani alberi, perché sul piano scientifico è stato provato che un albero centenario, come ogni anziano, produce meno ossigeno di quanto ne consuma. Per di più, un albero centenario fa una grande ombra intorno a lui, impedendo la crescita delle piante che stanno al di sotto, il che vuol dire che è nocivo due volte.
D- I preziosi boschi europei, semplici nicchie per i borghesi europei.
Gli africani possono morire di fame e gli umanisti europei della domenica continueranno a ripetere loro che sarebbe meglio non toccare le foreste, anche perché i preziosi legni che escono dalle foreste africane sono destinati a una nicchia di borghesi europei che sono gli unici che si possono permettersi un pianoforte, una porta o un mobile fatto d’ebano o di aloa che ha 300 anni d’età. Ecco, l’Africa non ha come vocazione quella di mettersi al servizio dei capricci di un pugno di ricchi europei.
IV- COSA DEVE FARE L’AFRICA?
Chi controlla il cibo, controlla il mondo. Se la nuova generazione di africani che prenderà il potere nei prossimi 10, 20 anni è sufficientemente scaltra e ben impregnata delle nozioni di geostrategia africana, mireranno al controllo alimentare dell’Europa, una preda troppo facile poiché sono le sue stesse pratiche del guadagno facile e l’egoismo smisurato delle sue popolazioni che la indeboliscono in questo settore strategico.
Ma per arrivarci, è urgente continuare cone le politiche molto selettive e di limitazione dell’accesso alle terre agli stranieri, privilegiando le cooperazioni da Stato a Stato e non da Stato a privato. E in tutti i casi, nessuna terra potrà essere venduta ma solo affittata anche a un prezzo infinitesimale ma per un periodo che non può superare i 20-30 anni, il tempo necessario affinché le popolazioni africane imparino a disfarsi delle pratiche secolari delle coltivazioni inutili di cacao e di caffè, per passare alla modernità dei cereali e iniziare a copiare le tecniche agricole provenienti dall’estero. Una priorità sarà concessa ai collegi e ai licei agricoli.
I prodotti delle piantaggioni affittate agli stranieri non dovranno in alcun caso finire sul mercato locale. Il mercato nazionale dev’essere riservato alla nazione. La popolazione africana dev’essere sfamata solo dagli africani come spazio d’opportunità e di allenamento reale per sviluppare la loro creatività per questa missione alla conquista del grande mercato dell’Europa.
6- CONCLUSIONE
Il controllo dell’Africa da parte dell’Europa era innanzitutto mentale. Il controllo dell’Europa da parte dell’Africa, che è iniziato con l’olio di palma (vedi capitolo precedente), sarà ugualmente efficace vincendo la battaglia a livello psicologico degli africani per capire che la ricchezza e la povertà sono delle nozioni puramente fittizie e psicologiche.
Tutto ciò non raggiungerà l’obiettivo finale a meno che l’Africa non realizzi il più presto possibile la sua federazione creando gli Stati Uniti d’Africa, federazione che ci permetterà d’ottimizzare i nostri mezzi di produzione e di meglio coordinare le nostre strategie d’accerchiamento alimentare dell’Europa con un grande diversificazione dell’offerta.
Non c’è solo l’Africa che s’interessa a questo mercato.
In Russia si puntano tutte le speranze su un riscaldamento climatico che farà aumentare la temperatura di 1 o 2 gradi e che trasformerà la Siberia in un vero e proprio granaio dell’Europa mettendo in difficoltà l’offerta di un’Africa divisa e non coordinata. Il cammino è lungo e impervio ma se l’Africa sarà unita e parlerà con una sola voce, non ci sarà concorrente che potrà batterla lealmente perché ha dalla sua: il clima, la pluviometria, l’umidità e l’acidità delle sue terre (Ph), garantendo così tre raccolti all’anno per i principali cereali, legumi e frutta.
26/12/2011
(*) Jean-Paul Pougala è camerunese e direttore dell’Istituto di studi geostrategici di Ginevra in Svizzera.
pougala@gmail.com
www.pougala.org
Traduzione in italiano dal francese di Piervincenzo Canale