Riceviamo e pubblichiamo una lettera personale del giornalista Paolo Naso in cui spiega perche’ la RAI ha deciso di non mandare in onda il suo servizio televisivo sui fatti di Rosarno (RC) durante la campagna elettorale nelle regioni d’Italia.
“Care amiche, cari amici,
vi scrivo a titolo personale per comunicarvi che il mio servizio televisivo intitolato “Dopo Rosarno” messo in palinsesto all’interno della puntata di Protestantesimo (RAIDUE) di domenica 21 febbraio (repliche il 22 ed il 1 marzo), non andrà in onda.
La ragione è che l’ufficio legale della RAI ha valutato il servizio in contrasto con la normativa vigente relativa alla programmazione televisiva nel corso della campagna elettorale. In particolare una norma ammonisce le rubriche non giornalistiche – Protestantesimo è
rubrica religiosa – a non affrontare temi collegati o collegabili alla
campagna elettorale.
Pertanto il mio servizio – a quanto mi dicono decisamente apprezzato
per qualità giornalistica e capacità d’inchiesta da parte della stessa
direzione di rete – non è andato in onda perché affrontava un tema
“politico”.
Precisazioni di rito: nel programma non appariva alcun politico né alcun candidato ad alcuna carica; non esprimevo giudizi politici né su
temi locali né nazionali.
Semplicemente facevo parlare alcune persone e mostravo alcune immagini della realtà di Rosarno di oggi.
Ad esempio quelle delle ruspe della protezione civile che “bonificavano” – ed ancora una volta le parole sono pietre – l’area dell’ex Opera Sila dove negli ultimi anni si sono concentrati migliaia di immigrati.
Le telecamere mostravano gli oggetti di vita quotidiana di migliaia di braccianti africani – quelli che la cronaca solitamente definisce “clandestini” – gettati dalle finestre e raccolti da una
pale meccanica. Pezzi di vita dissacrati e gettati in una discarica
insieme a mille speranze.
Mostravo anche le immagini della rivolta disperata seguita a due
sparatorie che avevano portato in ospedale alcuni “braccianti africani”: li chiamerò così per restituire con il lessico quella
dignità che la società e la politica hanno tolto loro. Brutte e tristi
immagini di violenza, di chi non sa più distinguere tra il mafioso e
la vittima della mafia, tra il rosarnese democratico e civile e quello che imbraccia il fucile per “andare a sparare ai negri”.
Come in Alabama negli anni ’30 e ’40.
Inoltre raccoglievo delle testimonianze: quella del rosarnese furioso con i media per l’immagine che avrebbero dato della sua città, che testimonia con indulgenza razzista che in fin dei conti chi ha sparato lo ha fatto “soltanto con fucili ad aria compressa, a pallini…”.
Raccontavo ovviamente anche l’altra Rosarno, quella che ha paura di se stessa, delle sue pulsioni razziste e violente e che prova a costruire un altro rapporto con i braccianti neri: Giuseppe ha una storia dolorosa alle spalle e, forse proprio per questo, ha tentato la strada del dialogo e dell’amicizia con gli immigrati. “Con loro ho vissuto il più bel capodanno della mia vita” affermava di fronte alle telecamere.
E mi mostra un video girato con il telefonino in cui balla, canta e prega in mezzo a centinaia di amici africani.
Raccontavo anche la solidarietà delle chiese evangeliche della
Calabria e della Sicilia che seguivano gli africani quando erano a Rosarno e cercano di farlo ancora oggi mentre sono in temporanea
diaspora: da Siracusa ad Amsterdam, da Roma a Bergamo.
Il documentario proponeva anche le considerazioni tecniche di una
sindacalista e di un economista – Tonino Perna – i quali descrivevano
il sistema di sfruttamento della manodopera immigrata: 20-25 euro al giorno al meglio, senza contributi né assicurazioni. Un sistema – spiegava Perna – che si potrebbe trasformare, come ad esempio è accaduto nella vicina Riace, costruendo cooperative di consumo, accorciando la filiera dei passaggi di intermediazione, migliorando il prodotto ed aprendo nuovi mercati.
Un’altra Rosarno, insomma, è possibile. E “dopo Rosarno” non c’è solo violenza e disperazione ma anche un impegno e una speranza. Lo spiegava con parole teologicamente molto intense il pastore Aquilante, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia. E proprio per questo il 17 febbraio, ricordando le libertà civili concesse da Carlo Alberto ai valdesi, gli evangelici italiani hanno riflettuto anche di Rosarno, di quello che è successo e del futuro che si può provare a costruire.
Non so che cosa questo c’entri con le imminenti elezioni. Di Rosarno –
ormai metafora de un’Italia incapace di gestire le immigrazioni – nessuno vuole parlare. So che la rubrica cattolica “A sua immagine”, solo qualche giorno fa era incappata nella stessa norma ma alla fine, grazie a un intervento del Quirinale, il servizio era andato in onda ugualmente. Protestantesimo ovviamente non ha analoghi sostegni istituzionali.
Concludendo: il mio servizio voleva buttare un piccolo fascio di luce su questa realtà. Ma nell’Italia di oggi anche pochi minuti di una rubrica religiosa nascosta nelle pieghe più remote del palinsesto televisivo desta sospetti e si espone alle censure di chi controlla culturalmente e politicamente il sistema della comunicazione. Questa è l’Italia di oggi. Ed allora meglio guardare Sanremo ed abbandonarsi alle nostalgie patriottico nazionalistiche di Emanuele Filiberto. E tra poco ricomincia l’Isola dei famosi. Allegria! avrebbe detto il grande Mike.
Un caro saluto,
Paolo Naso”