Luigi Di Maio risponde al telefono dal suo breve tour elettorale in Emilia-Romagna. Ancora una volta è lui solo a mettere la faccia su una sconfitta certa del MSS, a dimostrazione che resta il capo politico, anche di fronte all’amarezza di questi giorni e alla logica della politica che davanti alle molteplici disfatte consiglierebbe di mollare. Da ministro preferirebbe parlare di politica estera, ma l’eterna faida dei 5 Stelle lo risucchia e lo mette di fronte a quelle indiscrezioni che non smentisce con nettezza. Ma cominciamo dalla Libia. E da una notizia.
Si parla di una missione militare di pace, è vero?
«In passato abbiamo avuto alcune missioni di pace sbagliate nei tempi e nella forma, altre virtuose. Sono i libici gli unici titolati a decidere il proprio futuro e ogni processo dovrà essere inclusivo e intralibico, ma laddove le parti fossero d’accordo, visto che abbiamo raggiunto un cessate il fuoco (sperando che dopo l’annuncio di Haftar sia rispettato da tutti), come Ue credo sia opportuno pensare a un’iniziativa che possa garantire un’intesa».
Dei caschi blu europei?
«Perché no? Sarebbe l’unico modo per fermare le interferenze esterne, il massacro di civili innocenti e per dare all’Ue una sola voce».
Sul modello Libano? Con soldati italiani?
«Il modello Libano è una di quelle missioni Onu di pace vere, dove i nostri militari si sono perfettamente integrati e dove la guida italiana ha fatto la differenza».
E se i libici dovessero dire di no?
«Ma infatti questa è una proposta che deve partire da loro. E solo in un quadro di legalità internazionale sancito dall’Onu. Evitiamo i violenti errori del 2011. No a forzature e ingerenze, ma l’alternativa non può essere restare a guardare mentre altri armano le parti coinvolte».
Però l’Ue pare già divisa. Forse non tutti hanno i nostri interessi strategici.
«Certo noi abbiamo asset, aziende, senza contare l’elemento centrale: che la Libia è un tema di sicurezza nazionale, ci sono cellule terroristiche fuori controllo a poche centinaia di chilometri da noi. E di fronte a questa minaccia non possiamo continuare a discettare. Ora c’è la Conferenza di Berlino, che sosteniamo fortemente. Dopo la tregua sarà importante il processo di pacificazione, ecco perché puntiamo anche molto sul tavolo Italia-Russia-Turchia, che non sarà in competizione ma propedeutico. E’ cruciale per noi far parte di un trilaterale in cui non siamo mai stati».
Sulle missioni non c’è divisione con il premier Giuseppe Conte e il ministro Lorenzo Guerini?
«Io, Conte e Guerini siamo una sola testa, condividiamo tutto. Ogni capitolo poi è a sé, come Italia dobbiamo iniziare a essere consapevoli delle nostre priorità, rispettando gli alleati. Per noi il Mediterraneo è centrale».
L’Alto commissario Ue Borrell ha evocato l’operazione Sophia, che il suo governo con la Lega ha chiuso.
«Al consiglio Affari esteri di venerdì anche Gassam Salamè ha riconosciuto che Sophia non era esaustiva. Sophia non era accettabile perché si era trasformata in una missione principalmente per i migranti e tra l’altro non era prevista una rotazione dei porti di sbarco».
Borrell vorrebbe un inviato europeo in Libia. Proporrete Marco Minniti?
«E’ un’idea un po’ fumosa. All’amico Borrell ho detto: un inviato lo hai già. Siamo noi ministri degli Esteri Ue. L’inviato del governo italiano, invece, arriverà dopo Berlino con l’obiettivo di raggiungere una soluzione politica».
Sarà Minniti? Si fanno anche i nomi di Franco Frattini e Giampiero Massolo.
«Il nome a tempo debito».
I francesi però non vogliono: si pesterebbe i piedi con l’Inviato Onu, dicono. Parigi sta ostacolando il lavoro dell’Italia?
«Il lavoro si integra. La Francia è un partner chiave perla stabilità. In passato ci sono state incomprensioni, ma con un paese amico si parla con franchezza. Così ad esempio ho fatto al Cairo».
Quando, a differenza dei francesi, non ha firmato il documento filo-Haftar: lo ha fatto per ricucire con la Turchia dopo la storia dei curdi?
«Quel documento era troppo squilibrato contro i turchi, che sono un alleato Nato, e Sarraj. Ci sono delle interferenze? Bene, le condanniamo tutte, non solo una parte. E allora andava condannato anche l’attacco al collegio dei cadetti».
La gaffe dell’altro giorno non è significativa? Abbiamo srotolato il tappeto rosso ad Haftar che non è un capo di governo.
«Gli attacchi rivolti a Conte sono stati ingiustificati. Certo, ci vuole cautela e prudenza, ma Sarraj tornato a Roma dimostra che l’Italia ha recuperato il terreno inizialmente perduto».
Ma è sicuro, con la guerra libica alle porte, di aver forza e tempo di occuparsi dell’estenuante battaglia dentro il M5S?
«Continuo a lavorare come ho sempre fatto. Anche il segretario del Pd è presidente della Regione Lazio. I ruoli di capo politico e di ministro mi hanno dato un peso, in Cdm, per ottenere cose che altrimenti non saremmo riusciti a ottenere».
Lascia o non lascia la leadership del M5S?
«Penso a definire i prossimi passi per gli Stati Generali di marzo».
Non ha risposto ministro, così alimenta i retroscena.
«Non posso rispondere su una notizia falsa letta su un giornale».
Deve semplicemente dire si o no. Non è che ci nasconde che si dimette dopo l’Emilia per ricandidarsi agli Stati Generali e farsi rilegittimare?
«Non le sto nascondendo nulla».
Ha comunque ventilato la possibilità di mollare, preso dallo sconforto?
«Lo sconforto non mi è mai appartenuto. Diciamo più che altro che in questi giorni di tensioni internazionali, il M5S dovrebbe essere molto focalizzato»
Beppe Grillo l’ha sentito?
«Ci sentiamo spesso. Si ricorda l’ultimo suo video insieme a me? Non è cambiato nulla».
Di solito quando un partito perde molto –e il M5S dal 2018 ha sempre perso – i leader lasciano. Perché lei non lo fa?
«Le assicuro che fare il capo politico non è una cosa semplice, sembra che mi diverta a lavorare senza sosta. Voglio bene al M5S. E comunque io sono stato candidato solo in elezioni nazionali. Detto questo, gli Stati Generali si fanno per capire proprio cosa non funziona a livello regionale»
Veramente avete perso anche alle Europee senza troppe autocritiche da parte sua.
«Siamo il partito che fa più assemblee in assoluto».
Con gruppi parlamentari che non controlla. Se un generale è senza esercito…
«Queste sono le vostre mitologie. Se tre persone firmano un documento ok, le rispetto, ma non misi venga a dire che è quello che chiede la base. Nel M5S decidono gli iscritti, da sempre. Molte persone che contestano questo metodo dimenticano di essere in Parlamento proprio grazie ad esso. Prima andava bene e ora no?»
E infatti in molti se ne vanno. Non la preoccupa la nuova creatura di Lorenzo Fioramonti?
«Mi limito a dire che la storia del M5S è piena di casi simili».
Perché agli Stati Generali non apre a una sfida tra mozioni?
«Non vogliamo scimmiottare vecchi congressi di partito. Devono essere un momento di confronto non di scontro».
C’è già chi ipotizza successori o altri affiancamenti che sanno molto di commissariamento?
«È stato avviato un processo, ora ci sono i facilitatori e il team del futuro perché io per primo ero convinto di non poter avere tutte le responsabilità solo sulle mie spalle. Il resto sono ipotesi che fate sui giornali».
Anche della rottura con Di Battista che un giorno la difende e un altro la critica? Ma che rapporto è il vostro?
«Ci sono momenti in cui la pensiamo allo stesso modo ed altri diversamente. A lei non capita con persone che conosce da anni?»
Fonte: esteri.it