Covid e Cooperazione. Una intervista alla Vice Ministra Affari Esteri e Cooperazione Internazionale Emanuela Claudia Del Re (L’Espresso)
Siamo ancora in piena emergenza sanitaria. La fase 2 è appena iniziata. In concreto, al di là di tutta la retorica legata alla reclusione degli italiani e alla mancata tutela della libertà personale. quale è la risposta italiana alla pandemia del covid19?
In questo momento la cooperazione internazionale è impegnata nel dare una risposta sanitaria alla pandemia COVID-19 che peraltro rappresenta la prima frontiera nella lotta globale al coronavirus. Da una parte tale risposta riguarda la messa a punto di interventi tempestivi di prevenzione, contenimento, contrasto e cura della malattia e, dall’altra, si concentra su ricerca, sviluppo ed equa distribuzione di un vaccino contro il coronavirus e di ulteriori efficaci trattamenti diagnostici e terapeutici. È evidente che non può esserci una risposta solo italiana alla crisi sanitaria mondiale per via delle interconnessioni che emergono sempre più chiaramente in questo scenario. La politica dell’Italia è quella di sostenere l’approccio multilaterale alla crisi, enfatizzando il carattere collettivo della questione, e quindi dal punto di vista operativo l’obiettivo è quello di rafforzare il coordinamento e la partnership tra i Paesi Donatori. L’Italia è in prima linea nella risposta globale al COVID-19. Possiamo esserlo perché abbiamo un alto livello di expertise nel settore sanitario. Per questo abbiamo già fatto proposte di peso, come quella di costituire una alleanza internazionale per la ricerca sul vaccino, annunciata dal Ministro Di Maio nella Ministeriale del G7 recentemente, al fine di massimizzare gli sforzi comuni e rafforzare le strutture internazionali già operative in tale ambito. Siamo sempre attivi nel proporre e sostenere: è anche grazie al decisivo impegno italiano che l’OMS e altri attori della salute globale – tra cui CEPI per la ricerca sul vaccino, GAVI per la sua distribuzione e la Banca Mondiale – hanno recentemente lanciato la piattaforma ACT (Access to COVID-19 Tool Accelerator) la cui missione è accelerare lo sviluppo, la produzione e l’equo accesso a nuovi vaccini e trattamenti diagnostici e terapeutici contro il virus. Il 4 maggio scorso, poi, l’Italia ha ospitato, assieme ad altri partner europei, la Conferenza Globale per il finanziamento della risposta sanitaria al COVID-19, presieduta dalla Presidente della Commissione Europea Van der Leyer, e a cui ha partecipato il Presidente del Consiglio Conte. Era presente l’UE insieme a Francia, Germania, Regno Unito, Norvegia, Canada, Giappone, Arabia Saudita. È stato un evento proficuo perché la comunità internazionale in quell’occasione ha raccolto 7,4 miliardi di euro per accelerare la risposta sanitaria al COVID-19, confermando di avere la consapevolezza che questa emergenza necessita di una mobilitazione collettiva. Noi abbiamo ribadito il ruolo dell’Italia come attore responsabile e solidale, annunciando un impegno di 140 milioni di euro a favore della piattaforma ACT.
Quanto il multilateralismo e la cooperazione internazionale con gli altri Stati nazionali è fondamentale in termini di sicurezza e tutela anche per un eventuale rischio della sicurezza sociale messa in discussione dalla recessione economica in vista?
Io sono una ferma sostenitrice del multilateralismo, più che mai in questo momento. Bisogna però trattare il tema con attenzione, per non cadere in percezioni errate o semplicistiche. La solidarietà globale è fondamentale, costituisce di per sé una enorme conquista socio- economica e politica, ma è anche e soprattutto un interesse collettivo, dal momento che i virus non conoscono frontiere: con i livelli di mobilità della società attuale, anche quando avremo sconfitto il COVID-19 nel nostro Paese, dovremo evitare i contagi di ritorno soprattutto da Paesi vicini. Per questo dobbiamo aderire, promuovere, partecipare alle iniziative globali, perché è nel nostro interesse, e non possiamo restare fuori da un processo decisionale che andrebbe comunque avanti perché cruciale. In questo quadro dobbiamo porre la massima attenzione ai paesi con sistemi sanitari fragili, che riflettono l’esistenza di sistemi socioeconomici altrettanto fragili, che costituiscono un rischio anche in termini di sicurezza.
Le potenziali ricadute sono numerose in questo senso, perché le misure di lockdown hanno interrotto il ciclo delle reti di solidarietà che consentono a comunità vulnerabili di sopravvivere, esponendole a ogni forma di sfruttamento, alla fame, al disordine sociale. Per questo la cooperazione internazionale acquisisce una importanza strategica formidabile: per l’Italia si tratta di una parte integrante e qualificante della politica estera nel più ampio quadro europeo ed internazionale. Io definisco la Cooperazione allo Sviluppo il braccio operativo più importante della politica estera italiana. Uno strumento che è sempre stato utilizzato dal nostro Paese per favorire uno sviluppo sociale equo, rispettoso dell’ambiente, partecipativo e condiviso delle società dei paesi che consideriamo nostri partner. Un impegno forte per consentire la loro crescita, il loro sviluppo, senza distogliere l’attenzione dai nostri interessi, sia in termini di indubbi vantaggi economici, sia con riferimento alle attività congiunte, quali la lotta al traffico dei migranti e il contrasto al terrorismo. Oggi appare chiaro che senza questo partenariato tra paesi sviluppati come il nostro e paesi in via di sviluppo o meno sviluppati, non si possono porre le basi per un equilibrio globale in tutti gli ambiti, quanto più necessario proprio per garantire pace e prosperità. Desidero precisare che i nostri obiettivi di cooperazione, che sono obiettivi di politica estera, trovano il fulcro d’azione nell’Agenda 2030, adottata dalle Nazioni Unite nel 2015. È un programma che costituisce la sintesi delle riflessioni e delle esperienze di anni di lavoro, creando un’architettura di riferimento altamente strutturata per facilitare il raggiungimento di obiettivi di sostenibilità in termini di Aiuto Pubblico allo Sviluppo da destinare ai Paesi in via di Sviluppo e ai Paesi Meno Sviluppati. La situazione attuale ci impone di ripensare alcune strategie: nel quadro della crisi da Covid-19, abbiamo intenzione di destinare una parte delle risorse della cooperazione stanziate nella legge di bilancio 2020 verso la risposta globale alla pandemia, a sostegno dei sistemi sanitari dei Paesi che hanno forti fragilità in questo settore. Porremo in particolare molta attenzione, oltre al settore della sanità, e al settore WASH (acqua, sanificazione e igiene) anche a quello della sicurezza alimentare. Ecco un altro esempio di conseguenze della crisi che è nostro interesse contribuire a evitare: il lockdown globale ha messo a rischio la fluidità delle catene di distribuzione alimentari e minacciato la sicurezza alimentare di molti paesi fragili, soprattutto nel continente africano. È importante sottolineare il fatto che nessuno dei nostri partner europei e mondiali (anche quelli come noi pesantemente colpiti dal virus) sta abbandonando la cooperazione e l’aiuto umanitario a favore dei Paesi più deboli; al contrario, essi stanno investendo più risorse per combattere a livello mondiale la pandemia che irrompe in un contesto globale in molte aree già di per sé vulnerabili a causa di prolungate crisi umanitarie. Questo dimostra che la visione contemporanea della cooperazione internazionale in senso lato e della cooperazione allo sviluppo ha assunto accenti più complessi, corrisponde nelle sue strategie di base a una visione diversa dal passato. Chi pensa che il paradigma sia ancora paesi del ricco nord che aiutano il sud, non tiene conto del fatto che ormai sono fondamentali anche le dinamiche sud-sud in questo quadro. Dobbiamo aggiornare il planisfero: paesi che prima erano beneficiari ora sono anche produttori di cooperazione, il rapporto è cambiato. L’approccio è sempre più inclusivo, aperto a diverse opzioni di intervento, sempre in un quadro di interessi nazionali e internazionali. La Cooperazione Internazionale non può essere vista come uno strumento che crea competizione tra stati se non nel campo degli investimenti che tali stati decidono di fare, anche se per quanto mi riguarda, penso che non solo la quantità dei fondi debba essere presa in considerazione per misurare quando un paese sia consapevole della necessità di far parte di questo impegno globale, ma anche la qualità. In termini di qualità l’Italia sicuramente è vincente.
In che termini la pandemia protratta potrebbe avere un impatto sul sistema complesso delle filiere alimentari, che coinvolge agricoltori, sistemi di stoccaggio e trasformazione del cibo, trasporti e altro. E in che modo il Governo sta mettendo in atto misure per arginare questo problema?
Questo è un tema molto sentito dall’Italia. Secondo la FAO la pandemia COVID-19 sta direttamente influenzando i sistemi alimentari degli stati con effetti sull’offerta e sulla domanda di alimenti, e indirettamente attraverso la riduzione del potere d’acquisto e della capacità di produrre e distribuire alimenti. Non ci sono dubbi sul fatto che se la pandemia si protrae a lungo potrebbero esserci effetti significativi sul sistema complesso delle filiere alimentari, che coinvolge agricoltori, sistemi di stoccaggio e trasformazione del cibo, trasporti e molto altro. Ho partecipato a numerose discussioni internazionali sul tema che in questi giorni si tengono proprio per rispondere alle emergenze ma anche per individuare forme di prevenzione. Emerge che non ci troviamo di fronte a un problema di scarsità di cibo, quanto piuttosto di logistica, di insufficiente coordinamento sulle norme relative alla chiusura dei confini, di standard sanitari, di approvvigionamento, di manodopera e altro. L’Italia ha grande esperienza nel settore, e quindi può condividere le sue best practices in materia di colture biologiche, protezione del territorio e valorizzazione delle realtà locali. Come Italia abbiamo promosso la creazione di una Food Coalition: un meccanismo multilaterale e multi-settoriale innovativo in grado di creare una rete di solidarietà internazionale per rispondere alle nuove criticità del sistema di approvvigionamento alimentare. Tramite la Food Coalition intendiamo mobilitare risorse umane e finanziarie a livello sia pubblico sia privato; fornire supporto tecnico-scientifico ai policymakers; instaurare le basi per un dialogo aperto fra tutte le Parti interessate, a tutti i livelli; promuovere iniziative di sensibilizzazione del grande pubblico. La nostra proposta di istituire la Food Coalition, che ha avuto immediatamente l’appoggio di tanti Paesi, risponde all’appello del Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres di stabilire un meccanismo internazionale promosso da FAO, WFP e IFAD, le tre agenzie delle Nazioni Unite di basa a Roma, per condurre studi e ricerche mirate sullo scenario post-COVID ed elaborare linee guida per mitigare gli effetti della crisi.
In Africa ci sono stati casi di disordini sociali, come la calca pericolosa delle persone in fila per il cibo in alcune città africane, dove il lockdown ha reso difficile ai più poveri procurarsi alimenti. C’è il rischio concreto di questi fenomeni anche da noi in Italia?
Ogni volta che vediamo immagini come quelle che ci arrivano dall’Africa di persone in fila, accalcate, in attesa di ricevere cibo restiamo profondamente toccati. Il problema sta proprio nel cambiamento che il lockdown ha imposto a sistemi che in paesi particolarmente fragili si appoggiano più su reti sociali di sostegno che su politiche governative, per cui per i gruppi vulnerabili procurarsi il cibo è diventato difficilissimo. Circa l’80% della povertà estrema nel mondo si concentra nelle zone rurali e il cambiamento climatico aggrava gli effetti della insicurezza alimentare. Nei Paesi in via di sviluppo l’impatto economico negativo della siccità, che si va intensificando a causa del cambiamento climatico, ricade sull’agricoltura. Un’ampia letteratura ha descritto per anni gli effetti deleteri della malnutrizione sulle risposte immunitarie che non riescono adeguatamente a fronteggiare agenti patogeni e infezioni, sottolineando come il problema sia grave in particolar modo nei paesi a basso reddito. Il vero problema non è la scarsità di cibo, piuttosto sono le misure drastiche introdotte in risposta al virus dai vari paesi a livello globale, come ad esempio la chiusura delle frontiere, le restrizioni alla circolazione e le interruzioni nei settori del trasporto marittimo e dell’aviazione, che hanno reso più difficile continuare la produzione alimentare e trasportare merci a livello internazionale. Trovo paradossale paragonare quelle situazioni ai supermercati presi d’assalto e scaffali lasciati vuoti in Gran Bretagna, ad esempio, quando il Premier Johnson dichiarò l’emergenza sanitaria nel Paese. È chiaro però che anche a noi il Covid-19 e il lockdown hanno imposto di cambiare le nostre abitudini, anche quelle alimentari. Ma i supermercati in Italia, anche nella fase più acuta della pandemia, sono sempre stati ben forniti, e dell’allentamento delle restrizioni con l’avvio della Fase2 beneficerà l’intero settore agroalimentare. Un sistema che dobbiamo proteggere perché fondamentale per la nostra economia. Per noi il problema sta nel fatto che una prolungata crisi dovuta al Covid-19 potrebbe mettere alla prova le catene di approvvigionamento alimentare, una complessa rete di interazioni che coinvolge agricoltori, fattori di produzione agricoli, impianti di trasformazione, spedizioni, rivenditori e altro ancora.
La pandemia ha creato una emergenza sanitaria e allo stesso tempo anche una catastrofe alimentare. Si rende pertanto necessario elaborare strategie per evitarla: l’Italia ha una grande esperienza in questo. In che modo si possono sostenere i sistemi agricoli resilienti e le filiere produttive da adattare alla situazione di emergenza?
L’Italia pone l’accento sul corretto funzionamento del settore agro-alimentare nell’emergenza da Covid-19, ma anche sull’aiuto ai gruppi vulnerabili e agli indigenti, nonché sulla lotta contro lo spreco alimentare. Sono stati questi i temi e le direttrici del mio intervento introduttivo all’incontro del Group of Friends della sicurezza alimentare e della nutrizione, un gruppo informale di 41 paesi, presieduto da me insieme ai miei omologhi di Canada, Egitto e Brasile. Dovremo affrontare un periodo di recessione, e questo ci impone di ripensare la gestione dell’industria alimentare sul piano globale per scongiurare effetti imprevedibili sul piano economico e socio-politico. È necessario concentrarsi sul mondo rurale coinvolgendo le comunità locali. Dobbiamo lavorare sinergicamente per mantenere in funzione le catene di approvvigionamento globali. È fondamentale trovare soluzioni economiche creative per rispondere all’esigenza di liquidità ragionando anche sul meccanismo dei sussidi, e immaginando un sistema di finanziamento più flessibile. Dobbiamo infine fermare tutte le restrizioni all’export e valorizzare il ruolo del settore privato. Questi interventi devono essere sostenibili, senza distorcere il mercato, incentivando l’innovazione. In questo senso bisogna pensare anche a un nuovo modello di agricoltura che promuova filiere produttive sostenibili, attraverso il sostegno ai piccoli produttori e alle cooperative, la valorizzazione dell’imprenditorialità femminile e il coinvolgimento delle comunità locali.
C’è il rischio manifesto che povertà, dipendenza dall’importazione di alimenti, aumento dei prezzi dovuto alla pandemia e altre problematiche possano determinare un corto-circuito fatale, con ovvie ricadute securitarie e migratorie anche sul nostro continente. Quali sono le misure nazionali e internazionali per arginare questi fenomeni?
In questo caso emerge quanto sia fondamentale l’azione della Cooperazione Italiana, perché con i suoi programmi si creano le condizioni per flussi migratori sicuri, regolari e ordinati. Questa è una priorità che viene declinata in vari modi, primo fra tutti tramite iniziative volte alla creazione di impiego e di inclusione sociale nei Paesi di origine e di transito, sia attraverso il finanziamento e il rafforzamento delle capacità delle micro-imprese esistenti, sia creando un ambiente favorevole alla nascita di nuove, per far sì che la migrazione non sia una necessità, ma una scelta. In tale contesto una delle caratteristiche del nostro approccio è il coinvolgimento delle diaspore, affinché siano attori attivi dello sviluppo dei Paesi di origine. Io ho potuto visitare molti progetti in numerosi paesi africani, e ho verificato l’effetto che essi hanno sugli individui, sulle comunità. Si tratta di progetti di alta qualità, caratterizzati da una forte sostenibilità. Sottolineo questo perché la selezione dei progetti e delle OSC attuatrici è molto seria da parte della nostra Agenzia per la Cooperazione Internazionale, e questo si riflette nell’efficacia dell’intervento. Peraltro, abbiamo delle vere e proprie “tradizioni” sul terreno, direi, in diversi paesi – ad esempio il Burkina Faso o l’Etiopia – dove le nostre ottime relazioni diplomatiche si fondano anche sulla presenza sul terreno di italiani che portano avanti progetti di cooperazione da anni, consentendo uno sviluppo sostenibile che sarebbe stato difficile portare avanti altrimenti viste le scarse risorse dei paesi. Anche in campo sanitario, diversi alti rappresentanti delle istituzioni mi hanno ripetuto che i progetti italiani hanno consentito ai loro paesi di far fronte a situazioni per loro difficili da gestire senza aiuto. Per quanto riguarda le migrazioni, l’emergenza da Covid-19 e la conseguente chiusura delle frontiere in molti Paesi di origine e di transito dei flussi migratori incentivano l’Italia a rafforzare le attività di integrazione e di assistenza a rifugiati e migranti in movimento, specialmente in Africa. Si rivela quindi essenziale che gli interventi urgenti per la pandemia non ci facciano perdere di vista le esigenze dei Paesi in via sviluppo: il contrasto al virus deve andare di pari passo con la prosecuzione degli aiuti strutturali alle categorie più vulnerabili. Oltre ad intervenire oggi sul piano medico e sanitario per fornire sostegno ai Paesi di origine e di transito nei loro piani di contrasto alla diffusione del Covid-19, dal 2017 l’Italia finanzia, grazie ad un apposito Fondo Migrazioni della Farnesina, progetti mirati specificatamente alla protezione dei migranti e alla loro integrazione nelle comunità locali, nonché attività di capacity building a beneficio delle Autorità preposte alla lotta all’immigrazione clandestina, con particolare riguardo al rispetto dei diritti dei migranti. Attualmente, stiamo pianificando ulteriori attività di assistenza in Niger insieme alle organizzazioni delle Nazioni Unite, sia per rafforzare la risposta all’epidemia, sia per migliorare le condizioni di vita dei migranti. Io stessa ho visitato diversi progetti finanziati anche da noi, ad Agadez, nel deserto nigerino come nel Tigrè in Etiopia. Si tratta di progetti il cui impatto positivo è tangibile, che peraltro agiscono sulle comunità ospitanti, promuovendo una forte consapevolezza dei rischi connessi con la migrazione illegale.
C’è davvero il rischio di misure restrittive non tariffarie alle importazioni di prodotti Made in Italy, inaccettabili (evidentemente) per il nostro paese anche se non esistono evidenze scientifiche sulla trasmissione del virus attraverso il cibo?
Il rischio c’è ed è un rischio che riguarda direttamente i nostri interessi nazionali. Stiamo ribadendo con forza a tutti i nostri interlocutori, sia sul piano bilaterale sia multilaterale, che misure restrittive non tariffarie alle importazioni di prodotti Made in Italy basate su considerazioni “sanitarie” sono del tutto inaccettabili per il nostro Paese. Per me certe misure proposte sono addirittura grottesche, perché frutto di riflessioni arbitrarie non scientifiche, con intenti forse volti a colpire la nostra competitività. Non esistono evidenze scientifiche sulla trasmissione del virus attraverso il cibo: etichette del genere “virus free” sono assolutamente inammissibili.
Come è allo stato attuale la situazione in Africa rispetto alla emergenza covid e rispetto ad alcune recenti scoperte scientifiche per debellare malattie come la malaria?
Non esistono statistiche precise, ma ad oggi i casi di Covid-19 in Africa sono attorno si 70mila e si contano circa 2500 vittime. La risposta sanitaria alla pandemia in Africa rappresenta la prima frontiera nella lotta globale al coronavirus ed uno dei principali settori di intervento della cooperazione internazionale, soprattutto per sostenere i Paesi con sistemi sanitari particolarmente fragili. Essa riguarda, da una parte, interventi tempestivi di prevenzione, contenimento, contrasto e cura della malattia COVID-19. Dall’altra, si concentra sull’unica soluzione di lungo periodo alla crisi: ricerca, sviluppo ed equa distribuzione di un vaccino contro il coronavirus e di ulteriori efficaci trattamenti diagnostici e terapeutici. Un problema serio, però, è che si deve scongiurare il rischio che la giusta lotta al COVID in questi paesi faccia distogliere l’attenzione e l’allarme sulle battaglie in corso per combattere le tradizionali malattie che solo in Africa ogni anno uccidono centinaia di migliaia di persone. Per esempio la lotta alla malaria rientra tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 ed è uno dei settori di maggiore intervento della Cooperazione Italiana. Nel 2001, nell’ambito della Presidenza italiana dell’allora G8, fu lanciato il Fondo Globale per la lotta ad AIDS, Tubercolosi e Malaria, ed ospitammo a Roma la prima conferenza di finanziamento. Da allora, il Fondo Globale è divenuto il più importante finanziatore globale per la salute nei Paesi in via di sviluppo: ha salvato 32 milioni di vite e inciso in modo decisivo sulla lotta alle tre malattie. Ma questo è solo un esempio. L’Italia ancora oggi è il nono donatore al mondo al Fondo Globale ed il sesto donatore in assoluto dell’Alleanza Globale per i Vaccini e l’Immunizzazione (GAVI), che ha immunizzato 760 milioni di bambini, incidendo enormemente sia sul contenimento delle malattie infettive che sul tasso di mortalità infantile e, insieme ai nostri partner, puntiamo a raggiungere più di 1 miliardo di bambini entro il 2025. Un nuovo prototipo di vaccino antimalarico è stato recentemente lanciato in Malawi, e presto sarà esteso anche al Kenya e al Ghana. L’obiettivo è vaccinare circa 360.000 bambini all’anno nei tre paesi per valutare la capacità del vaccino di ridurre i decessi infantili e la sua sicurezza nel contesto dell’uso di routine. Gavi e Fondo Globale, in coordinamento con l’OMS, stanno hanno finanziato con poco meno di 50 milioni di dollari la prima fase di sperimentazione in questi tre paesi. Il vaccino è considerato uno strumento complementare da aggiungere al pacchetto di misure raccomandate dall’OMS per la prevenzione della malaria, che include l’uso di zanzariere trattate con insetticidi, e l’uso tempestivo di test e trattamenti antimalarici.
Lei come Vice Ministra degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, ha aperto nel contesto della 72ma Assemblea Mondiale della Salute che si è tenuta a Ginevra nel maggio 2019 l’evento di presentazione della “Giornata Internazionale contro la Diarrea Infantile”, al quale hanno partecipato delegazioni nazionali e rappresentanti delle principali organizzazioni internazionali coinvolte (oltre all’OMS, UNICEF, Un-Water, il Comitato Internazionale della Croce Rossa, la Federazione Internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, UNHCR ed altri). Quali sono le questioni che più sono emerse rispetto a tale problema?
Quando ho visto alcuni dati che segnalavano che ogni anno nel mondo muoiono più di 530.000 bambini, sotto i 5 anni di età, a causa della diarrea, non ho potuto non pensare a fare qualcosa contro questa terribile situazione. Se si pensa che quei bambini potrebbero essere salvati se solo avessero accesso ad acqua potabile sicura e a un’adeguata igiene, si resta veramente sgomenti. Basterebbero acqua pulita, lavaggio delle mani con il sapone, buona igiene personale e alimentare, educazione alla salute su come le infezioni si diffondono…
Proprio per questo ho proposto di istituire una Giornata Internazionale contro la Diarrea Infantile affinché si sensibilizzino tutti i governi a una gestione adeguata, equa e sostenibile delle risorse idriche, soprattutto in favore delle comunità più vulnerabili. La diarrea uccide non solo nei Paesi poveri, ma anche nelle periferie degli Stati occidentali, compresi USA ed Europa: è un problema che riguarda tutti, ovunque nel mondo, ed è solo lavorando insieme, sinergicamente, che potremmo garantire la sopravvivenza di migliaia di bambini. Questa mia iniziativa, portata avanti dal MAECI, che spero di presentare anche alla prossima Assemblea Generale delle Nazioni Unite che si terrà a New York a settembre, ha ottenuto l’adesione di tanti Paesi e numerose istituzioni, tra cui la Fondazione Bill and Melinda Gates con cui ci stiamo interrogando sulle modalità di intervento per massimizzare l’impatto delle azioni che saranno messe a punto sul terreno. Voglio ricordare anche che l’Italia è tra Paesi i firmatari della risoluzione Onu che sancisce l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari come un “diritto essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani”. Ho pensato di inserire l’istituzione della Giornata Internazionale contro la Diarrea Infantile in un percorso già intrapreso dal nostro Paese che, nel solco degli SDGs dell’Agenda 2030, intende investire sempre di più per non lasciare nessuno indietro.
In che modo si intende rafforzare l’impegno per migliorare l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari in contesti di crisi e non solo, in contesti, cioè, dove la scarsità delle risorse primarie acuisce queste questioni?
In tutto il mondo 780 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile e 2,5 miliardi non utilizzano servizi igienico-sanitari adeguato. Sappiamo bene che l’accesso all’acqua e la gestione sostenibile delle risorse idriche stanno diventando un’emergenza. Sotto la pressione della crescita demografica e a causa del cambiamento climatico, le risorse idriche pro capite sono in continua diminuzione: si stima che 1,8 miliardi di persone nel 2025 vivranno in aree con scarsità di risorse idriche, con conseguenze importanti sia sui fenomeni migratori che sulle controversie territoriali. L´acqua è un elemento essenziale per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030, la lotta contro la povertà, la sicurezza alimentare, l´agricoltura sostenibile, la salute e il benessere, lo sviluppo sostenibile delle città, la gestione degli ecosistemi terrestri e delle risorse marine; l’acqua è fondamentale per la costruzione della resilienza ai cambiamenti climatici e alle catastrofi e per affrontare le cause profonde della migrazione. L´Italia ha adottato il diritto all´acqua come un diritto umano essenziale. E, come strategia a lungo termine nella prevenzione dei conflitti, l´Italia si impegna attivamente nello sforzo collettivo per garantire che i cambiamenti climatici e la carenza idrica, a causa dell´impatto sulla pace e sulla sicurezza, rimangano all´ordine del giorno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU per un´adeguata valutazione dei rischi, promuovendo il concetto di preparazione dei paesi vulnerabili. La mancanza di acqua è una minaccia per lo sviluppo, per la pace e la sicurezza e, in definitiva, per la vita. Il continente africano, con le sue frequenti siccità, è una delle principali priorità italiane per la cooperazione nella gestione delle risorse idriche. Il bacino del lago Ciad è uno degli esempi più urgenti di scarsità d´acqua e dei suoi effetti drammatici sui mezzi di sostentamento, la sicurezza alimentare, la biodiversità e la pace e la sicurezza. L´Italia è inoltre orgogliosamente impegnata in partnership a livello globale, in Medio Oriente, Asia e America Latina, e vanta una lunga tradizione ed esperienza nella conservazione e gestione delle risorse idriche. Tra le sue principali attività di cooperazione allo sviluppo italiane in questo settore, ci sono gli interventi nel settore WASH (Water, Sanitation and Hygiene). La nostra esperienza, l’approccio multistakeholders e multi-obiettivo che anima la nostra cooperazione sin dagli inizi, una vasta expertise tecnico- scientifica sulla materia, oltre che una presenza diffusa e riconosciuta di diversi attori della cooperazione italiana nel settore sono alla base dell’impegno dell’Italia sul fronte sia degli interventi finalizzati a garantire l’accesso all’acqua potabile sia della conservazione e gestione delle risorse idriche nella cooperazione internazionale. Il nostro Paese ha favorito gli usi potabili, la sanitizzazione e la partecipazione nell’uso della risorsa idrica a scopi potabili; consistenti sforzi sono stati fatti nella direzione di una gestione partecipata dell’uso dell’acqua nelle aree rurali, privilegiando interventi irrigui efficienti per l’agricoltura. Come Italia continuiamo ad essere impegnati sia a livello bilaterale sia multilaterale per migliorare l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari in contesti di crisi e non solo. Con la nostra azione intendiamo sostenere processi di governance partecipati dalle comunità locali e di gestione dell’acqua per uso umano e per uso produttivo, con approcci inclusivi ed efficienti che tengano conto, in un’ottica moderna di sostenibilità, delle sue implicazioni sociali, economiche ed ambientali. Miriamo, inoltre, a rafforzare processi di institution-building finalizzati a coniugare processi decisionali multi- obiettivo, multi-livello, multistakeholders, di gestione delle risorse idriche a livello rurale sia per uso umano e dei servizi sanitari che per uso agricolo per produzione di cibo; l’accesso all’acqua per uso umano e per uso alimentare va infatti considerato come un fattore decisivo per la sostenibilità dello sviluppo e per la qualità della vita delle persone, strettamente interconnesso con le esigenze di sicurezza alimentare e nutrizionale di ciascun Paese, nonché come mezzo di prevenzione di sempre più possibili conflitti in relazione all’accesso alla risorsa idrica.
Che messaggio si sente di lasciare all’inizio di questa fase2 ai tanti concittadini che hanno patito e stanno patendo un periodo di isolamento extra-ordinario?
Un messaggio di rassicurazione, che rivolgo anche a me stessa naturalmente. L’Italia e gli Italiani si sono dimostrati altamente responsabili, accorti, determinati e pazienti. Siamo riusciti ad invertire la linea dei contagi grazie al lavoro encomiabile di tutti, del nostro personale medico-sanitario che non si è mai risparmiato lavorando letteralmente in trincea, di quei lavoratori che hanno continuato a garantire il funzionamento di alcuni importanti comparti del nostro Paese come i dipendenti dei supermercati, gli addetti alla vendita al dettaglio, i trasportatori, gli autisti dei mezzi pubblici e tanti altri. Desidero esprimere dal profondo del cuore il mio più sentito ringraziamento a tutti loro. Oggi piangiamo la perdita di più di 30mila persone, nostri rimasti connazionali vittime del Covid-19. Ma non sono un numero, sono persone con una loro storia, con un proprio vissuto. La mia vicinanza e il mio pensiero commosso va a tutte le loro famiglie. Stiamo vivendo un’esperienza durissima e anomala. Gli italiani, hanno nella stragrande maggioranza rispettato tutte le misure previste dai DPCM e le varie norme promulgate dai Ministeri, con risultati positivi che sono davanti agli occhi di tutti. È proprio questo il momento più importante, il momento della ripresa, quando è vitale non abbassare la guardia e non mollare: dobbiamo continuare ad essere rigorosi e rispettare le regole basilari del distanziamento sociale. Dobbiamo abituarci ad una nuova “normalità” e rivedere alcuni aspetti della nostra “quotidianità”. Sono certa che l’Italia affronterà con responsabilità la Fase2. Siamo tutti impegnati e stiamo lavorando per rimettere in moto il Paese dopo aver messo in sicurezza la salute dei cittadini e, soprattutto, il nostro straordinario sistema sanitario, un fiore all’occhiello della nostra Italia. I nostri bambini, i giovani, hanno bisogno di essere rassicurati che l’impegno ottiene risultati, che esiste una causalità tra le azioni che si compiono e i risultati che si ottengono. Credo che la riaffermazione in chiave contemporanea di questa semplice equazione azione=reazione sia un elemento fondamentale in questa fase di ripresa, una lezione che abbiamo appresa a causa del Covid-19 che può trasformare la crisi in una opportunità. La consapevolezza della responsabilità personale, della possibilità di incidere sui destini collettivi partendo dalle scelte individuali è il valore che secondo me determinerà una svolta ontologica positiva anche per gli anni a venire. Il senso della collettività è molto forte in questo momento di iperrealismo. L’unità di intenti e di azioni è l’unica strategia veramente efficace, a livello nazionale e a livello globale. E l’Italia, un paese grande nel mondo, potrà tornare a costituire quell’esempio di grandi valori che è stata sempre nella storia e sarà nel futuro.
Fonte: esteri.it