Qui il discorso di Tajani, presidente del Parlamento Europeo, che ha aperto i lavori della conferenza di alto livello “per una nuova partnership con l’Africa”.
Intervento di apertura
Conferenza di alto livello sull’Africa
Antonio Tajani
Presidente del Parlamento europeo
Un nuovo Partenariato tra Unione europea e Africa”
Monsieur le Président de la République Centrafricaine, Faustin Archange-Touadéra,
Madame la Haute Représentante de l’Union européenne pour les affaires étrangères, Federica Mogherini,
Monsieur le Président du Parlement Panafricain, Roger Nkodo Dang,
Monsieur le Président de la Banque européenne d’investissement, Werner Hoyer,
Monsieur le Ministre des Affaires Étrangères du Mali, Abdoulaye Diop,
Monsieur le Commissaire européen, Gunther Oettinger,
Monsieur le Président de la délégation parlementaire paritaire ACP -UE, Louis Michel,
Excellences, Chers collègues,
Chers amis d’Europe et d’Afrique,
Introduzione
C’est un vrai plaisir de voir cet hémicycle archi-comble pour un sujet aussi important : notre partenariat avec nos frères de l’Afrique.
Exactement une semaine à Abidjan, en Côte d’Ivoire, se tiendra le Sommet Union Africaine-Union européenne.
Je le dis dès à présent ce Sommet doit être différent par rapport aux autres, il doit se conclure avec des résultats concrets et une feuille de route claire et précise.
Aujourd’hui nous avons l’honneur d’avoir à nos côtés le Président de la République Centrafricaine et de nombreux dirigeants du continent.
Cela s’inscrit dans une volonté très claire du Parlement européen d’établir un dialogue direct à haut niveau avec les leaders africains.
Car je l’ai toujours dit, nous devons regarder l’Afrique avec des lunettes africaines. Et cela se fait avec un dialogue franc et direct, d’égal à égal.
Nous avons commencé ce dialogue en invitant le Président de la Commission de l’Union Africaine ainsi que le Président de la Côte d’Ivoire en plénière.
Ceci continuera à l’avenir.
Le Parlement européen a décidé d’organiser cette « semaine africaine » de travaux parlementaires. La conférence d’aujourd’hui s’inscrit dans ce cadre avec le but de remettre l’Afrique au centre de l’agenda politique.
J’en profite pour remercier mes collègues parlementaires si fortement engagés sur l’Afrique.
Permettez-moi de continuer dans ma langue maternelle.
Per molti anni, l’Unione non ha guardato all’Africa con l’attenzione dovuta. Spesso ci siamo voltati dall’altra parte, incuranti delle emergenze umanitarie, climatiche, di sicurezza, stabilità, che affliggono il continente. Senza maturare una reale consapevolezza del nostro primario interesse strategico per l’Africa.
L’Europa si è mossa in ordine sparso, con una pluralità di voci dissonanti, perseguendo interessi e agende diverse. La conseguenza è stata un percorso lastricato di buone intenzioni, ma con molte opportunità mancate e scarsi risultati. Senza incidere davvero, politicamente e economicamente, sul futuro del continente.
La globalizzazione e i flussi migratori hanno dimostrato che alzare muri o barriere non è la soluzione. I problemi dell’Africa sono anche i problemi dell’Europa.
E’ tempo di un nuovo inizio, prima che sia troppo tardi. I nostri legami vanno oltre la prossimità geografica. Condividiamo interessi e sfide comuni.
Entro il 2050, la popolazione africana raddoppierà, superando i 2,5 miliardi. Questa esplosione demografica può essere un problema, ma anche un’opportunità.
Desertificazione, carestie, pandemie, terrorismo, disoccupazione, malgoverno, alimentano l’instabilità e contribuiscono a un’immigrazione fuori controllo.
Senza una forte azione per contrastare questi fenomeni, le nuove generazioni si sposteranno verso l’Europa, in cerca di speranza e futuro. Magari attratti dalle immagini viste in TV o su internet di quella che appare loro come la “terra del Bengodi”. E’ urgente dar loro prospettive, per restare e contribuire a risollevare la loro terra.
Garantire la sicurezza e gestire i flussi migratori
I nostri cittadini vogliono un’Unione più forte, capace di gestire flussi migratori e garantire sicurezza. Ci chiedono di difendere i nostri valori, accogliendo i rifugiati, tutelando la dignità delle persone. Ma anche di essere fermi nel respingere chi non ha diritto a venire in Europa.
Non vogliamo più assistere impotenti a flussi migratori incontrollati, a migliaia di morti nel deserto o nel mare, a mercanti di esseri umani, alla disperazione di chi nel XXI secolo non riesce a nutrire o curare i propri figli.
Nell’immediato, dobbiamo rafforzare i controlli alle frontiere, gestire meglio le richieste di asilo, i respingimenti, i rimpatri.
L’Unione deve investire risorse analoghe a quelle utilizzate per la rotta dei Balcani per chiudere i corridoi del Mediterraneo centrale, promuovere stabilità e lotta al terrorismo. Questi fondi vanno spesi in Libia, Tunisia, Algeria, Marocco, Niger, Ciad o Mali.
Vorrei ringraziare i Ministri del governo del Mali, Paese in prima linea nella lotta al terrore nel Sahel. Il Gruppo del “G5 Sahel” è un ottimo esempio di cooperazione regionale che l’Unione deve contribuire a rafforzare.
Questi fondi vanno impiegati per rafforzare la formazione delle guardie di frontiera, delle forze di sicurezza. Possono servire a creare centri d’accoglienza sotto l’egida dell’Onu, con protezione umanitaria, alimenti, medicinali, assistenza ai bambini; e dove sia assicurata la gestione delle domande di asilo.
Dispiegare ingenti mezzi alle frontiere interne, non serve. E’ solo propaganda. Servono, piuttosto, fondi adeguati per Frontex e per la nuova Guardia Costiera e di Frontiera Ue, che deve disporre di più uomini e mezzi.
Gli stessi sistemi satellitare europei, Galileo e Copernico, così come lo sviluppo in comune di nuove tecnologie per la sicurezza, devono essere impiegati in questo senso.
E’ indispensabile anche armonizzare le condizioni per ottenere l’asilo e le procedure di rimpatrio, che devono essere rapide ed efficaci.
Nella scorsa sessione a Strasburgo, il Parlamento ha votato a larga maggioranza il mandato per una profonda riforma del regolamento di Dublino, al fine di renderlo più equo, solidale ed efficace. Ora spetta al Consiglio prendere posizione.
Le sfide dell’Africa
Tutto questo non basta. Il problema va affrontato alla radice. Senza prospettive di benessere e stabilità, a lasciare la loro terra non saranno più decine di migliaia, ma milioni. L’ONU stima che, già nel breve termine, oltre mezzo milione di persone l’anno cercheranno un destino migliore in Europa.
Sostenere l’Africa non è solo un atto di responsabilità. E’ un chiaro mutuo interesse, economico e politico.
Molti Paesi africani stanno già dimostrando che il loro continente offre vere opportunità: nel 2016, cinque economie dell’Africa sono nella top ten di chi cresce più al mondo, con tassi superiori al 7%.
In Africa vi sono materie prime critiche indispensabili per la nostra industria: il 64% del Cobalto proviene dal Congo, fondamentale per le batterie delle auto elettriche; il Tantalo del Ruanda, che serve per i panelli solari; il Platino del Sudafrica, necessario per limitare le emissioni nocive delle auto.
Queste materie prime interessano anche ai nostri concorrenti, a cominciare dalla Cina, che punta a una posizione dominante per rafforzare la propria industria.
C’è anche un problema di sostenibilità ambientale. Grazie al Partenariato sulle materie prime, che ho promosso quando ero Commissario all’Industria nel 2012, è nata una cooperazione tra servizi geologici UE e africani. Che ha portato innovazione e maggiore rispetto dell’ambiente.
Si possono citare molti altri buoni esempi del nostro lavoro con l’Africa. A cominciare dall’integrazione dei mercati, che con le convenzioni di Lomé e di Cotonou. Questi accordi hanno consentito libero accesso al mercato europeo al 99,5% dei prodotti africani.
Le discussioni sul post-Cotonou sono in corso. Ringrazio i relatori del Parlamento per i loro contributo.
Malgrado questi sforzi e decine di miliardi investiti, la strada per assicurare condizioni di vita dignitose e più sicurezza alle popolazioni africane è ancora lunga.
Molti aree dell’Africa sono afflitte da conflitti, instabilità, terrorismo, malgoverno. Basti pensare a quello che sta succedendo in Zimbabwe o nel Corno d’Africa o nella Repubblica Centro Africana.
Secondo la Banca Mondiale, il PIL di tutti i paesi africani nel 2015 supera di poco quello della Francia.
Nonostante il drammatico record di mortalità infantile – pari al 38% di tutti i neonati morti nel mondo nel 2015 -la popolazione africana ha il più alto tasso di crescita.
Siamo lontani dagli obiettivi di sviluppo sostenibile, posti in sede ONU, per ridurre la povertà: 1/3 degli africani resta sotto la soglia di povertà, 1/6 e necessita assistenza umanitaria; nelle zone rurali, il 60% degli abitanti vive con meno di 1 euro al giorno.
L’agricoltura e le materie prime, compresa l’energia, restano le fonti economiche principali, mentre il livello d’industrializzazione è estremamente basso.
Lunedì scorso è stata la Giornata internazionale dell’industrializzazione in Africa. Ancora una volta si è sottolineato che crescita e occupazione passano attraverso la creazione di una base industriale.
Solo il 15% ha internet a casa. Appena 1 persona su 3 ha l’elettricità
L’Africa Sub-Sahariana ha i tassi di analfabetismo più alti al mondo: 1 bambino su 5 non va a scuola, quasi il 60% degli adolescenti non frequenta corsi.
Non possiamo stupirci se i giovani africani pensano di non aver nulla da perdere. Se decidono di rischiare la vita per venire in Europa. Se si fanno sedurre da chi predica violenza in nome di Dio.
Molti problemi si potrebbero risolvere con maggiori investimenti in educazione, infrastrutture, industria e agricoltura moderne. Eppure l’Africa, è di gran lunga, il continente che attira meno investimenti: appena 80 miliardi l’anno, solo il 3% del PIL. La Cina è il paese i cui investimenti crescono di più in proporzione.
Il destino dell’Africa non può che essere nelle mani degli africani. Ma un’Europa amica deve fare la sua parte.
Dobbiamo lavorare insieme, da pari a pari, mettere a disposizione la nostra leadership nelle tecnologie, nella qualità, nel saper fare industriale, nella formazione.
Sono passati dieci anni dalla strategia Ue-Africa. Molte aspettative sono state disattese. All’Europa è mancato il coraggio per costruire strumenti davvero efficaci.
Invece di consolidare la nostra posizione di partner principale, stiamo perdendo terreno. Non solo la Cina, ma anche investitori emergenti, quali Turchia, India e Singapore, rafforzano la propria influenza.
Un Piano Marshall per l’Africa
Il quinto vertice tra Unione africana e Unione europea del 29 e 30 novembre ad Abidjan, cui partecipano oltre ottanta capi di Stato, arriva in un momento cruciale.
Dobbiamo dare un segnale inequivocabile della nostra volontà di rilanciare e rafforzare questo partenariato, parlando con una voce forte e unita.
La stella polare della nostra azione sono i giovani: la chiave per un continente più stabile, prospero e moderno.
Il piano d’investimenti per l’Africa di 3,4 miliardi di euro, è un importante passo nella giusta direzione. Ma è lungi dall’essere sufficiente.
Gli sforzi del continente verso una base industriale sostenibile, un’agricoltura efficiente, fonti rinnovabili, infrastrutture adeguate per acqua, energia, mobilità, logistica o digitale, vanno sostenuti con un “piano Marshall”. Così come va rafforzata la governance e lo Stato di diritto, la lotta alla corruzione, l’emancipazione delle donne e l’istruzione.
Dobbiamo lavorare affinché nel prossimo bilancio pluriennale Ue, il fondo d’investimenti per l’Africa sia dotato di almeno 40 miliardi. Grazie all’effetto leva e sinergie con la Banca Europea d’Investimento, si potrebbero mobilizzare investimenti pubblici e privati per circa 500 miliardi.
Su questa base, possiamo portare avanti una forte diplomazia economica che promuova integrazione dei mercati, trasferimenti di tecnologia e di saper fare industriale, sostenibilità, formazione.
L’obiettivo è creare un contesto favorevole allo sviluppo di una base manifatturiera, all’imprenditoria, alla nascita di PMI, al lavoro per i giovani. Per questo sono utili strumenti come l’Erasmus per giovani imprenditori, che va esteso all’Africa.
In parallelo, quote d’immigrati legali possono, da un lato, soddisfare la domanda in certi settori nella Ue; dall’altro, apprendere un mestiere per poi creare imprese in Africa.
Serve anche una diplomazia accademica e culturale che consenta a un numero maggiore di africani di studiare da noi, rafforzando Erasmus plus e la cooperazione tra università su progetti di ricerca e mobilità.
Conclusioni
Il punto non è solo aumentare le risorse. Già oggi investiamo 33 miliardi dal bilancio Ue, senza contare i contributi bilaterali degli Stati membri.
Se la generosità dei nostri contribuenti non ha prodotto i risultati sperati, dobbiamo interrogarci sulla validità dell’attuale modello di cooperazione allo sviluppo.
Continuare a fare come sempre, sarebbe un grave errore. I cittadini chiedono un’Europa politica, capace di scelte coraggiose. A cominciare dal bilancio, che non può essere una mera replica dell’esistente, ma deve riflettere le priorità dei popoli europei.
I 40 miliardi proposti – 12 volte superiore all’attuale dotazione del Piano d’Investimenti – sono necessari per produrre un impatto in linea con gli obiettivi. E’ una massa critica sufficiente a fare da catalizzatore agli investimenti pubblici e privati europei.
Non è utopia. Se c’è la volontà politica, le risorse si trovano. In parte, utilizzando meglio i fondi già previsti per l’Africa; in parte, attraverso garanzie sul bilancio Ue; infine, reperendo nuove risorse.
Per questo ho proposto l’aumento del prossimo bilancio. Ma le nuove risorse non devono pesare su cittadini o PMI. Al contrario, dobbiamo individuare risorse proprie comunitarie. Da un lato, recuperando contributi da chi oggi le tasse non le paga; dall’altro, riducendo i prelievi a chi li versa. Un’Europa che sia “Robin Hood”.
Penso ai paradisi fiscali, ai giganti del WEB, o alle transazioni finanziarie a carattere speculativo.
Oggi, questo Parlamento s’impegna a svolgere un ruolo centrale per un nuovo Partenariato con l’Africa. Il nostro dibattito, con la partecipazione di giovani, leader politici, esperti, investitori, europei e africani, deve preparare l’appuntamento di Abidjan.
Ce moment doit être l’occasion pour relancer ce partenariat. Pas juste un moment solennel où nous lisons un discours.
Si notre partenariat est une priorité, alors nous devons nous réunir plus régulièrement, tous les deux ans. Avec des réunions de suivies à plusieurs niveaux en incluant la société civile, les acteurs économiques et les jeunes, de manière régulière.
Abidjan doit marquer un nouveau départ dans nos relations.