INTERVISTA A CLEOPHAS, CO-REGISTA di “BE YE KA YE”Mentre il 31mo festival del cinema africano di Verona arriva al suo terzo giorno, oggi (14 novembre 2011) molti artisti africani stanno approfittando dell’opportunità per condividere i loro punti di vista sul Continente dato che i suoi popoli stanno cercando nuovi modi di vedere la loro realtà.
In quest’intervista, Cleophas, un Burkinabe co-regista di “BE YE KA YE”, un documentario sulla diaspora africana che ritorna a casa, condivide il suo punto di vista su questo lavoro.
Ci puoi dire cosa ti ha spinto a girare questo documentario?
Parlando un giorno col mio amico Alessandro, e’ uscito fuori l’argomento Burkina Faso e cosi’ ci decidevamo ad andarci per visitare la mia gente, la mia famiglia. Non volevamo visitare l’Africa come se fossimo in vacanza. Avevamo deciso di andarci per ritornare con un documentario. Poi pensai un’altra cosa. Mi ero ricordato che quando stavo per lasciare l’Africa, 10 anni fa, dissi a mia madre che volevo andare via perché li’ non c’era niente per me. Mi guardo’ e poi mia madre mi rispose, domandandomi: “BE YE KA YE?” che tradotto vuol dire: cosa c’e’ li’ che non c’e’ qui?
Dissi ad Alessandro che ancora dovevo trovare una risposta a quella domanda. Lavoriamo su questa storia!
Qual’e’ il messaggio che vuoi far arrivare al pubblico?
L’intenzione principale e’ quella di raccontare una storia sul Burkina Faso, dal punto di vista di un burkinabe che ha vissuto in Italia per 10 anni. Cos’e’ successo dal punto di vista politico, cos’e’ cambiato negli anni nella cultura e nella società? Il documentario racconta la storia di quelle persone che sono rimaste a casa; le persone che non si sono mai allontanate da casa anche quando ne avevano la possibilità; le persone che sono rimaste e che hanno combattuto duramente per cambiare la realta’ per il meglio.
Il documentario parla anche delle persone che sono andate via e che sono ritornate a casa. Quelle persone che sono state migranti in altri paesi del mondo, che hanno studiato, fatto esperienze e che sono ritornate a casa per dare il loro contributo alla comunita’ locale.
Dopo essere arrivato in Burkina Faso dopo tanti anni, quali cambiamenti hai trovato?
A parte la situazione politica che e’ un po’ delicata, ho visto che le persone hanno veramente voglia di fare qualcosa, che e’ anche la realtà di molti altri paesi in Africa. Non vogliono più aspettare affinché la politica cambi. Stanno lavorando nonostante le scarse risorse a loro disposizione. Per me tutto ciò e’ uno sviluppo davvero incoraggiante. Soprattutto, ho capito che anche se non l’ho mai capito prima, per me e’ stato sempre possibile fare qualcosa anche quando stavo per lasciare il Burkina Faso.
Quali sono state le difficoltà principali nella realizzazione di questo documentario?
Una delle difficoltà principali e’ stata quella di sapere esattamente cosa fare. Ci eravamo dati il tempo di un mese ma non avevamo un progetto con una struttura solida come per esempio sapere con chi parlare. Cosi’ abbiamo iniziato ad andare in girare con la nostra telecamera e cominciavamo a intervistare gli amici che conoscevo. E’ successo tutto per caso, camminando in giro per la città, parlando con una persona che poi ci portava a parlare con un’altra. Il documentario in gran parte e’ stato fatto incontrando diverse persone.
C’era la difficoltà dei soldi. Non avevamo abbastanza fondi per il progetto per affrontare i costi del viaggio, dell’alloggio, eccetera in Burkina Faso.
L’unica nostra fortuna e’ stata il fatto che tutti i miei amici erano pronti a darci una mano sotto diversi aspetti.
Un altro grave problema l’abbiamo trovato durante il montaggio. Il contendere tra me e Alessandro riguardava il cosa tagliare e cosa lasciare nel documentario. Lui diceva “dovremmo evidenziare questo del Burkina Faso e io dicevo di no; queste miserie non sono la cosa giusta da mostrare. Per sei mesi non ci siamo parlati, ma alla fine siamo arrivati a una conclusione. Non e’ stato un montaggio facile.
Considerando le tue esperienze con questo documentario, secondo te cosa frena molti africani dal far ritorno nei loro paesi in Africa?
Penso che il problema abbia a che fare con la complessa situazione della migrazione africana; la differenza tra illusione e realtà. Quando partii per l’Italia, pensavo che avrei fatto un sacco di soldi in poco tempo; pensavo che sarebbe stato possibile per me fare tanti lavori anche se ciò voleva dire trasportare i corpi dei morti, per poi tornare in Africa con le valigie piene di soldi. Ma la realtà e’ che dopo dieci anni, ancora non hai i soldi per ritornare a casa. E a causa di quello che le persone dicono nel proprio paese, molte persone non hanno il coraggio di tornare avendo avuto poco o nessun successo.
Un altro freno e’ che qualche volta e’ possibile fare i soldi, mettendo su un negozio o qualche altra attività fisica che dia soldi. Poi si capisce che e’ una scelta difficile quella di abbandonare tutta l’attività per iniziare da zero in Africa. Non e’ una scelta facile da prendere. In breve, gli immigrati si trovano in genere in un grosso dilemma. Non hanno mai la possibilità di fare nel modo in cui lo vogliono fare.
Secondo te qual’e’ la soluzione a questo problema?
Penso che dobbiamo imparare a dire alle persone la verità. Sara’ molto più semplice coinvolgere la gente se possiamo dire alle persone rimaste a casa: guarda non ha funzionato nel modo in cui mi aspettavo. Non dovremmo tornare a casa con due valigie piene di vestiti nuovi facendo finta che tutto e’ ok. La gente del posto non ha bisogno di queste cose.
In ogni caso, dovremmo sapere che abbiamo imparato qualcosa qui e che quel qualcosa che abbiamo imparato può essere portato a casa per aiutare i sistemi locali.
Poi c’e’ anche la necessita’ di organizzarci; la diaspora africana dev’essere organizzata. Se abbiamo bisogno di un medico da mandare in Nigeria o in Camerun, dovremmo comprendere che qui abbiamo tanti dottori nigeriani e camerunesi con esperienza; perché dovremmo mandare un medico italiano?
Tutto ciò si può verificare solo se siamo organizzati, cosi’ da poter avanzare le nostre proposte formulate sulla base dei nostri veri interessi.
Abbiamo tanti esperti africani nel mondo occidentale; questi esperti devono rendersi utili alla situazione africana. Abbiamo bisogno che gli africani siano al centro della realtà africana.
Per esempio: in questo festival abbiamo visto “Black Gold“, una storia nigeriana da un punto di vista nigeriano il che e’ completamente diverso da “Blood Diamond“, un film bellissimo ma con un punto di vista americano.
Si nota la differenza. Noi dobbiamo raccontare le nostre storie e non permettere ad altri popoli di raccontarle al posto nostro.
Molte grazie per il tuo tempo.
Ewanfoh Obehi Peter
Traduzione di Piervincenzo Canale
Felice di leggere bella intervista