Ha richiesto cinque anni di lavoro e il contributo di oltre 5mila persone appartenenti a continenti diversi. Alla fine però la Carta Internazionale dei Diritti dei Migranti ha visto la luce. E in una cornice speciale e fortemente simbolica, la piccola isola di Gorée, da cui nei secoli passati hanno transitato migliaia di schiavi africani destinati alle piantagioni del Nuovo Mondo, il testo definitivo è stato approvato lo scorso 4 febbraio ed è subito dopo stato presentato al Social Forum di Dakar.
La Rete ‘Primo Marzo’ ha contribuito attivamente alla redazione della Carta e alla sua approvazione, e oggi è molto attiva nella sua promozione in Italia e all’estero.
Il 27 giugno questo documento sarà presentato per la prima volta a Milano, a Spazio Tadini – all’interno dell’evento I muri dopo Berlino si chiamano frontiere (mostra collettiva, spettacoli, dibattiti dal 16 giugno al 29 luglio) – nel corso di una serata a cui parteciperanno:
- Cècile Kashetu Kyenge (portavoce Rete Primo Marzo),
- Paolo Limonta (coordinatore dei Comitati per Pisapia), in rappresentanza del sindaco Pisapia,
- Paolo Buffoni (Arci),
- Giuseppe Cassibba (artista, autore del logo del Primo Marzo),
- Stefania Ragusa e
- Cristina Sebastiani (fondatrici della rete Primo Marzo).
Appuntamento alle ore 21 in via Jommelli 24.
A seguire, un’intervista a Cécile Kashetu Kyenge sul senso della Carta e sulla sua portata.
«Questo documento ha una particolarità che, prima ancora che dal suo contenuto dipende dal modo in cui è stata costruita: partendo dal basso, dall’esperienza e dalla sensibilità di persone singole che hanno avuto un’esperienza concreta di emigrazione e che dunque sanno, per averlo provato sulla propria pelle, di che cosa si sta parlando», spiega Cécile Kashetu Kyenge. «Questo processo, muovere dai singoli per arrivare alle associazioni e alle ong e, quindi, alle istituzioni rappresenta il valore aggiunto: perché mette realmente la persona al centro del percorso».
Come si concretizza nel testo questo valore aggiunto?
«Nell’affermazione di principi che difficilmente potrebbero trovare spazio in un testo elaborato in una cornice istituzionale. Ciò è visibile in vari punti. Uno dei più significativi è già nel prologo, precisamente nei due primi capoversi, dove si dice: “Le persone migranti sono bersaglio di politiche ingiuste. A detrimento dei diritti universalmente riconosciuti ad ogni persona umana, queste mettono gli esseri umani gli uni contro gli altri attraverso strategie discriminatorie, basate sulla preferenza nazionale, l’appartenenza etnica, religiosa o di genere.
Tali politiche sono imposte da sistemi conservatori ed egemonici che per cercare di mantenere i propri privilegi sfruttano la forza di lavoro, fisica e intellettuale dei migranti. A questo scopo, tali sistemi, utilizzano le esorbitanti prerogative consentite dal potere arbitrario dello Stato-Nazione e dal sistema mondiale di dominazione, ereditato dalla colonizzazione e dalla deportazione. Questo sistema è, nel medesimo tempo, caduco, obsoleto e causa di crimini contro l’umanità. Per questa ragione deve essere abolito.” Si tratta di un’affermazione esplicita e coraggiosa, che mette in discussione tanto il concetto di Stato-Nazione quanto quello di frontiera».
Questo passaggio è stato voluto, in particolare, dai rappresentanti latinoamericani. Come mai?
«In molti stati latinoamericani le specificità e i diritti delle minoranze indigene sono ignorati e violati con grande disinvoltura ed è comprensibile quindi che in questi contesti l’insofferenza verso le esorbitanti prerogative degli Stati-Nazione sia particolarmente sentita. Ma il problema non è solo latinoamericano, basti pensare ai boscimani o ai beduini in Africa e alle tante minoranze del continente asiatico».
Perché il Primo Marzo ha scelto di impegnarsi nella costruzione della Carta e qual è stato il principale contributo?
«Il Primo Marzo è un laboratorio di partecipazione che si muove dal basso e coinvolge in primo luogo la società civile. Il suo obiettivo è combattere il razzismo, difendere i diritti umani e far comprendere che l’immigrazione, oggi come ieri, non rappresenta solo forza lavoro ma è una risorsa da vari punti di vista. La storia umana, non dimentichiamolo, è sempre stata storia di immigrazioni e la costruzione delle civiltà e delle culture è un processo dinamico all’interno del quale gli spostamenti degli esseri umani rappresentano il fattore principale. Tra il nostro movimento e il progetto della Carta c’era dunque un’analogia di metodo e intenti che ha reso ovvia la collaborazione. Abbiamo contribuito in vari modi ma forse l’apporto più significativo riguarda l’introduzione di un principio all’interno del testo: il passaggio in cui viene sottolineato che, oggi più che mai, siamo tutti migranti, in atto o in potenza. Oggi davvero può capitare a tutti, per ragioni che vanno dalla ricerca di un lavoro alla necessità di sfuggire a un disastro ambientale di dovere lasciare il proprio Paese. Pensiamo alla fuga dei cervelli dall’Italia ma anche a quello che sta accadendo in Giappone».
La Carta è stata presentata al Social Forum di Dakar e ha riscosso un grande interesse. Cosa ci riserva il futuro? Quali saranno i prossimi passi?
«Ci siamo lasciati con la promessa di tornare a incontrarci, ancora a Gorée, dopo giugno. Il documento, subito dopo l’approvazione, è stato sottoposto ad associazioni e ong e da parte di questi soggetti stanno arrivando molte proposte per il suo utilizzo. Per esempio, quella di elaborare un passaporto dei migranti, rilasciato dalle organizzazioni che riconoscono il documento e che avrà un valore simbolico forte. Adesso stiamo lavorando per diffondere la Carta il più possibile e anche per trovare forme di finanziamento che garantiscano l’autonomia del progetto. Fino ad oggi siamo stati economicamente supportati da fondazioni che non hanno interferito con il nostro spirito. Ma non è detto che sarà sempre così ed è importante attrezzarsi».
Un’ultima cosa: la Carta non è stata firmata. Perché?
«Abbiamo scelto di non firmarla per consentire anche a chi non fosse stato presente a Gorée di aderire con la stessa autorevolezza che avrebbero avuto i presenti. A breve, attraverso il sito, sarà possibile dare le adesioni ufficiali: come singoli, come associazioni e, perché no, come istituzioni. Certo, è improbabile che un’istituzione accetti di firmare una carta che mette in dubbio il concetto di frontiera ma potrebbe anche accadere…».
Fonte: uff. stampa rete primo marzo