Intervista alla viceministra Sereni di Avvenire sulla crisi nella regione del Tigray in Etiopia.
Pieno accesso degli operatori umanitari nella regione del Tigrai e una commissione d’inchiesta indipendente sui crimini contro l’umanità commessi dall’inizio del conflitto. L’Italia sposa la linea della fermezza lanciata dall’Ue e dagli Usa di Biden, ma in una cornice di dialogo con Addis Abeba. Perché le priorità sono la pace, la stabilità e l’unità dell’Etiopia e i legami restano stretti: siamo il secondo partner commerciale Ue e il nono mondiale, senza contare i legami storici, quelli con società civile e Ong costruiti in decenni di cooperazione e il ruolo della Chiesa cattolica. Con Marina Sereni, viceministra degli Esteri già nel governo Conte bis, fresca di delega alla Cooperazione, ripartiamo dal conflitto che lacera da quasi cinque mesi l’Etiopia e il Corno d’Africa per arrivare alla cooperazione secondo il governo Draghi.
Che posizione ha l’Italia sul conflitto nel Tigrai dopo che lo stesso premier Abiy ha riconosciuto in Parlamento solo di recente la presenza di truppe eritree e le atrocità sui civili?
Vogliamo giocare un ruolo attivo e positivo. La situazione è allarmante, l’emergenza umanitaria molto seria. Si stanno deteriorando anche le condizioni di sicurezza e di stabilità in altre regioni del Paese. La comunità internazionale e l’Ue in particolare devono occuparsi di questa situazione attraverso tre richieste fondamentali ad Addis Abeba. Anzitutto l’accesso pieno degli aiuti umanitari. Nelle ultime settimane il governo etiope ha snellito le procedure d’ingresso delle organizzazioni, tuttavia ci sono ancora difficoltà per la durata dei visti e problemi di sicurezza. Il secondo punto – su cui registriamo alcuni sviluppi del governo – è la fuoriuscita delle truppe straniere, in particolare quelle eritree, dalla regione. Terzo, domandiamo una indagine indipendente sui crimini contro l’umanità registrati dall’inizio del conflitto a novembre e documentati da organizzazioni come Amnesty International e dalla stessa commissione per i diritti umani etiope. Per l’Italia è indispensabile un’inchiesta indipendente sui crimini che identifichi i veri responsabili.
Cosa farà Roma sul versante umanitario e politico?
Abbiamo già deliberato contributi urgenti alle popolazioni attraverso Unhcr/Acnur e Croce rossa. Stiamo aspettando che si concretizzi un volo umanitario con materiali sanitari organizzati con la Cri per l’aeroporto di Macallè. È importante ora proseguire il dialogo con il governo etiope, al quale chiediamo riforme e riconciliazione che consentano al Paese di esercitare un ruolo positivo nella regione, attraversata da grandi tensioni. Lavoriamo insieme ai partner europei e l’Ue ha mandato in missione in Etiopia il ministro degli esteri finlandese Pekka Haavisto, il quale ha indicato la via del dialogo non conflittuale con Addis Abeba. L’Etiopia è un mosaico complesso di popoli ed etnie. L’idea di fondo del governo di Abiy è stata il superamento del federalismo “etnico” in nome di una democrazia partecipata da tutte le etnie, ma il Tplf, fronte popolare di liberazione del Tigrai, non ha accettato questo approccio e a novembre ha contribuito allo scoppio del conflitto. Oggi l’interesse italiano, europeo e degli Usa è far sì che il Paese più importante della regione mantenga una struttura unitaria e si avvii verso elezioni credibili.
Come cambierà con la pandemia il rapporto tra Africa e Italia?
Il Covid 19 ha reso sempre più evidente l’interconnessione tra Africa ed Europa per i fenomeni che limitano lo sviluppo e causano grandi flussi migratori quali i mutamenti climatici, il terrorismo, i conflitti che portano alla povertà estrema. L’Italia sta investendo su dialogo politico e cooperazione, sempre più parte della politica estera. La cooperazione deve essere un tassello per costruire soluzioni condivise per esempio sullo sviluppo sostenibile, con l’approccio del partenariato.
Ma come si conciliano le poche risorse assegnate alla cooperazione con questa visione?
L’impegno preso dall’Italia è raggiungere entro il 2030 lo 0,7% del reddito nazionale dedicato all’aiuto pubblico allo sviluppo. Ora siamo allo 0,22. Rispetto all’anno scorso, nel 2021 il segno è tornato positivo. Ma questa cifra superiore non si è stabilizzata nel triennio. Non siamo in condizioni di fare svolte, ma di impegnarci per una costante inversione di tendenza. Non solo per ragioni di solidarietà e giustizia sociale, ma anche per rafforzare il sistema Italia nel mondo.
Fonte: esteri.it