Sono già passate diverse settimane dalle elezioni presidenziali tuttavia la gente della Costa d’Avorio non sa chi ha vinto veramente la tornata elettorale dello scorso 28 novembre 2010.
Laurent Gbagbo che dovrebbe essere uno dei vincitori delle elezioni è l’uscente presidente ivoriano che continua a detenere il potere. Il suo rivale, Alassane Ouattara, è l’ex primo ministro oltre che un economista ben considerato che ha ugualmente un gran numero di sostenitori, soprattutto nel nord del paese. Mentre questi due pesi massimi pretendono entrambi di essere stati eletti, scontrandosi così durante la corsa al palazzo presidenziale, il cittadino medio ivoriano vive sempre nelle stesse condizioni, resta “la solita vittima” che deve nascondere la testa per non perderla nel mezzo degli scontri a fuoco.
“La polizia si trovava tutta per le strade di Abidjan (la capitale economica della Costa d’Avorio) venerdì scorso mentre i sostenitori del candidato eletto, appoggiato dalla comunità internazionale, cercavano ancora una volta di entrare nelle istituzioni nazionali dopo che un tentativo simile del giorno prima aveva provocato circa 30 morti”, ha scritto l’Associated Press a proposito delle tensioni crescenti in Costa d’Avorio.
Ieri, gli Stati Uniti si sono uniti alla Francia e a molti stati africani nelle pressioni sul presidente ivoriano, Laurent Gbagbo, affinché faccia un passo indietro e lasci il potere al suo oppositore che era stato dichiarato vincitore in un primo momento dalla commissione elettorale ivoriana. Anche se successivamente contraddetta dalla corte costituzionale, quella decisione era stata presa prima che venissero invalidati circa mezzo milione di voti registrati nelle roccaforti di Ouattara.
Una delle cause che ha incendiato il clima politico è stata proprio quella decisione, che secondo alcuni è una scorrettezza. Le conseguenze adesso sono gravi.
“Vogliamo che prenda quella decisione (di farsi da parte) e abbiamo chiarito che c’è un tempo ben preciso per prendere quella decisione”, è scritto in una notizia Reuters che riporta le parole di un funzionario che ha chiesto di restare anonimo.
Dopo essere stata devastata dalla guerra civile, la Costa d’Avorio, che un tempo era un paese stabile dell’Africa occidentale, è un’ombra del suo passato. Il paese pacifico è stato dilaniato tra nord e sud, tra paura e sfiducia crescenti che rappresentano una minaccia profonda.
La speranza di molti risiedeva nel fatto di poter unire di nuovo il paese che è molto ricco di risorse naturali. Ora, dopo le violenze post elettorali e le incertezze che si percepiscono nell’aria, quella speranza è fatta a brandelli.
“Lo scintillante centro di Abidjan, un magnete per gli immigrati di tutta l’Africa occidentale nei giorni in cui si parlava del “miracolo” ivoriano, è diventato una foresta di grattaceli con i vetri oscurati. Gli investitori si sono ritirati; i posti di lavoro sono scomparsi. Più di quattro milioni di giovani sono disoccupati in un paese di 21 milioni di persone, secondo i dati della Banca Mondiale“, è scritto sul New York Times del 16 dicembre 2010.
L’ironia della democrazia è evidente. Se il cosiddetto modo di governare democratico riguardasse la gente del posto allora dovrebbe essere preponderante la scelta e il benessere di quella stessa gente, quella stessa gente che non dovrebbe essere massacrata per permettere loro di governare.
Ewanfoh Obehi Peter