Un africano scrive a Sarkozy – Pougala 2a parte

Lettera aperta di un africano a N. SARKOZY, PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FRANCESE E AL POPOLO FRANCESE

Seconda e ultima parte (per la prima parte clicca qui)

4- Perché le popolazioni di origine africana sono sovrarappresentate in carcere rispetto al loro peso all’interno della popolazione francese?

E’ a causa del razzismo di stato in Francia. Esiste una forte discriminazione detta di SELEZIONE all’entrata in prigione. E questo non avviene da oggi. Secondo il rapporto Unedic del 1987, in un articolo pubblicato nella rivista Informazioni sociali col titolo « Carcere: i princìpi d’una selezione », n° 11, Bruno Aubusson de Carvalay et Pierre Tournier denunciavano i criteri della selezione all’entrata in carcere soprattutto per quelle di breve durata.

Così i francesi detti di ceppo (i Bianchi) nella maggior parte dei casi vanno in prigione solo dopo una sentenza delle corti d’assise mentre gli stranieri e le popolazioni di origine straniera nella maggior parte dei casi (9 volte su 10) entrano in carcere dopo una sentenza di un tribunale correttivo cioè per delitti minori. Poi 4 volte su 5 si va in prigione in attesa di giudizio e non per una condanna. Peggio ancora, sempre più parlamenti in Europa votano delle leggi per introdurre reati che riguardano solo gli immigrati e che in alcuni paesi, come l’Italia, diventano la causa principale degli arresti degli immigrati, è il reato d’immigrazione clandestina.

Secondo un rapporto del CESDIP (Centro di ricerca sociologica sul diritto e le istituzioni penali), sugli « stranieri nelle statistiche » c’è un altro elemento discriminatorio contro queste popolazioni.

Ufficialmente la polizia trasmette agli uffici giudiziari i verbali dei crimini e dei reati constatati, ma in realtà le amministrazioni specializzate trasmettono alla giustizia francese solo una piccola percentuale che varia tra 1 e 5% dei dossier delle infrazioni contestate. E’ grazie a questo margine di manovra insieme alla caccia all’uomo per riempire le quote di arresti d’immigrati fissate dal suo governo che si arriva a cifre che fanno tremare i polsi e grazie a questo il capo del partito d’estrema destra della Lega Nord in Italia può annunciare che « le prigioni italiane sono piene d’immigrati », in un paese campione d’Europa nel campo della criminalità organizzata con gruppi famosi come ‘Ndrangheta, Sacra Corona Unita, Camorra e Mafia.

5- I POVERI SONO PIU’ CRIMINALI DEI RICCHI?

Jean-Jacques Rousseau c’insegna che i poveri hanno tre bisogni fondamentali che definisce BISOGNI PRIMARI: bisogno di mangiare, bisogno di procreare e il bisogno di riposare, dormire. Di conseguenza i loro crimini sono limitati a questi bisogni primari. In un articolo dell’Atlantic Montly nel 1982 due ricercatori, Wilson e Kelling, presentavano la teoria della Porta Rotta (broken window) utilizzando i lavori realizzati nel 1969 dal socio-psicologo Philip Zimbardo.

Avevano lasciato un’auto nel quartiere residenziale molto esclusivo di Plato Alto in California e un’altra nel quartiere povero del Bronx a New-York, con all’interno di ogni vettura gli stessi oggetti di valore e un finestrino rotto. Il risultato è stato identico in tutti e due i quartieri: gli oggetti furono rubati attraverso il finestrino rotto sia a Plato Alto che nel Bronx. I ricercatori potevano allora concludere, con quella dimostrazione, che il crimine non è appannaggio dei poveri.

Nel libro « La mappa del crimine », il criminologo Jean-Luc Besson, suggerisce un approccio diverso, quello geografico, per capire e anticipare la delinquenza e decidere di conseguenza l’organizzazione del territorio.

Signor Presidente le propongo un tema di riflessione: secondo lei, perché in Africa i paesi col più gran numero di crimini sono paradossalmente i due paesi più ricchi: il Sudafrica e la Nigeria?

6- LA POSIZIONE DEI NERI NELLA SOCIETA’ MIGLIORA UN PO’ OVUNQUE ECCETTO CHE IN FRANCIA

Recentemente un ricco ereditario di una nota marca di profumi ha sostenuto, alla televisione pubblica francese, una tesi negazionista di un atto odioso che una legge di questa repubblica ha definito « crimine contro l’umanità ». Si tratta di 4 secoli di deportazioni di Neri per lavorare come schiavi in Europa e in America.

Ma ciò che è più strano in questa storia non è tanto il silenzio dei politici quanto tutti questi benpensanti che si sono indignati per gli insulti di questo settuagenario senza preoccuparsi dei numerosi atti razzisti istituzionalizzati nel nostro paese.

La Francia resta in effetti il solo paese ad aver partecipato alla pratica di questa deportazione che continua impunemente a utilizzare la parola NEGRO nella sua accezione razzista senza subirne alcun danno. Non parlo dell’uomo della strada, degli incolti del bar o degli ignoranti muratori.

No, si tratta invece degli intellettuali che hanno intenzionalmente tradotto le parole inglesi GHOST WRITER (autore anonimo di un testo firmato da un’altra persona), con la parola NEGRO, senza porsi il problema della frustrazione che noi proviamo come neri ogni volta che loro pronunciano quell’insulto.

Per fare un paragone, i tedeschi hanno tradotto quelle parole con GHOSTWRITER, gli spagnoli con FANTASMA ESCRITOR, i finlandesi con GHOST KIRJAILIJA, gli svedesi con SPÖKSKRIVARE, i rumeni con PERSOANA CARE SCRIE PENTRU ALTCINEVA etc… altri paesi hanno scelto semplicemente di non tradurre e di utilizzare le parole inglesi tali e quali, è il caso dell’Italia, del Portogallo o della Danimarca.

E’ possibile oggi condannare l’imprenditore di profumi senza denunciare contemporaneamente tutta la letteratura francese? Senza condannare gli intellettuali francesi?

Il Comune di Parigi ha presentato un film promozionale per la candidatura della città ai giochi olimpici del 2016 mettendo in scena l’apologia dei francesi indigeni, i cosiddetti francesi di ceppo puro, cioè il contrario dell’immagine di una via qualsiasi della capitale francese: il meticciato.

Si erano finanche sorpresi di aver perso arrivando perfino a gridare al complotto. La semplice verità è stata che i votanti (di tutto il mondo) si sono identificati di più nel film presentato dalla città di Londra. A Parigi, credevano in modo ingenuo che un elettore asiatico, sudamericano o africano vedendo la Parigi degli anni ‘30 si sarebbe messo a sognare i tempi in cui era umiliato dalla colonizzazione, cioè un incubo.

La lotta contro il razzismo negli Stati Uniti d’America ha fatto dei passi avanti importanti grazie all’impegno degli intellettuali, attraverso la televisione, attraverso la radio e soprattutto attraverso il cinema. Sebbene sin dagli anni ‘60 gli attori neri siano sovrarappresentati rispetto al loro peso demografico nella popolazione (americana, NdT), in Francia nel 2010 noi stiamo ancora aspettando. Dove si sono cacciati gli intellettuali francesi? O forse si ricordano di noi solo quando è necessario insultarci e chiamarci NEGRI?

In Francia sembra che tutti abbiano accolto benevolmente l’arrivo di un nero alla Casa Bianca. Che ipocrisia! Qual’è la percentuale dei neri nel parlamento francese? Al Senato francese? Com’è possibile che il popolo francese, i politici francesi abbiano avuto il coraggio di salutare la conclusione di un’evoluzione culturale d’apertura e di tolleranza del popolo americano senza in nessun momento rendersi conto che ciò avrebbe messo in evidenza il loro profondo ritardo culturale e secolare su questo tema?

Signor Presidente, com’è possibile che lei stesso, che ha fatto tanto per essere un amico personale del Presidente Obama, non si sia reso conto che è l’antitesi di ciò che sta succedendo in Francia? Che cosa sarebbe diventato Obama se fosse nato come cittadino francese? E cosa dire del piacere villano col quale alcuni giornalisti francesi annunciavano gli insuccessi (veri o presunti) di Obama?

La signora Michaëlle Jean ha terminato da poco, nel mese di ottobre 2010, i suoi cinque anni di mandato come Governatore Generale del Canada, cioè ha assunto le funzioni equivalenti alle sue, quelle di Capo dello Stato del Canada ed è al corrente, signor Presidente, che è nera e che è nata ad Haiti?

Jean Grégoire Sagbo, un russo d’origine beninese, è stato scelto dagli elettori di Novozavidovo in Russia come vicesindaco e tra qualche mese prenderà il posto di sindaco della città.

Quanti sindaci neri sono stati eletti alla testa delle metropoli francesi? ZERO ! Quanti sono Magrebini?

Domenica 25 ottobre 2010, un medico originario del Ghana è diventato in Slovenia il primo nero eletto sindaco in una città dell’Europa dell’est. All’età di 54 anni, Peter Bossman è stato eletto alla guida della città di Piran, una pittoresca città che si affaccia sul mare Adriatico, battendo al secondo turno il sindaco uscente di centro-destra.

Sembra che ovunque si muova qualcosa. Ma dov’è la Francia in tutto questo?

Ahmed Aboutaleb, nato in Marocco 48 anni fa, dal 5 gennaio 2009 è sindaco della più grande città portuale del mondo: Rotterdam in Olanda. Che ne sarebbe stato del signor Aboutaleb se a 14 anni fosse stato arrestato come immigrato clandestino in Francia?

Ciò che colpisce di più in questa bella storia d’immigrazione come tutti noi la sogniamo, è che è stato eletto nonostante il fatto che tre anni prima l’islamico Mohammed Bouyeri avesse ucciso per strada il regista Theo Van Gogh. Che bella testimonianza d’apertura e di tolleranza d’un popolo che ci danno gli olandesi di Rotterdam! Dovrebbe trarne ispirazione.

Dopo gli scontri razziali del 1969, 40 anni dopo la città bianca di York nello stato della Pennsylvania negli USA votava la sua prima donna sindaco nera.

Il 4 gennaio 2010 la giovane Kim Bracey prendendo le funzioni di sindaco ha definito storica la sua elezione e come il risultato di una pacificazione razziale e etnica non solo negli Stati Uniti ma in tutto il mondo; quello stesso giorno, in quello stesso stato avveniva un doppio fatto storico nella città ultra-conservatrice di Harrisburg dove la signora Linda D. Thompson prendeva le funzioni come prima donna eletta sindaco della città e come prima persona di razza nera.

Dov’è la Francia in tutta questa pacificazione razziale?

7- TRE MINISTRE D’ORIGINE AFRICANA NEL SUO GOVERNO

Signor Presidente, nella formazione del suo primo governo ha scelto per la prima volta tre ministre d’origine africana. Tutti l’hanno elogiata per quella scelta audace. Finanche il refrain dei dirigenti del partito socialista era: CI RAMMARICHIAMO DI NON AVER FATTO ALTRETTANTO.

Tuttavia la sua scelta tanto audace non era in sé altro che un gesto maldestro contro la comunità africana e le spiegherò perché e come.

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Linda D. Thompson

Signor Presidente lei ha scelto 3 donne e, a mio avviso, era una decisione molto bella. Il punto che offende tuttavia è la scelta di tre donne musulmane.

Allo stesso modo lei si è vantato d’avere nominato il primo prefetto musulmano. No signor Presidente, rifiutiamo il fatto che l’essere africano sia automaticamente associato alla spiritualità perché gli africani non sono tutti musulmani, cristiani o animisti.

Gli africani sono in maggioranza agnostici, laici e atei.

Il ritiro nel ghetto identitario della spiritualità è stato più un momento di smarrimento a causa dell’ondata di razzismo e della xenofobia in Francia negli anni ‘70 e ‘80 che una vera convinzione o conversione religiosa.

Se sempre più cantine di case popolari si sono trasformate in terreni di misticismo e di preghiera per persone in trans fomentate dall’estremismo cristiano o voudou di cui la maggior parte di noi non riesce a capirne i contorni, non si trattava tanto di un’adesione di massa a un qualsiasi nuova missione d’evangelizzazione riuscita di nuovi profeti del Cristo risuscitato, quanto piuttosto dello sbocco di una frustrazione.

No signor Presidente, non tutti gli africani saltano dalla finestra del secondo o terzo piano per paura del diavolo. Non tutti gli africani sono animisti o praticano il culto dei morti.

Gli africani rivendicano la trasformazione culturale dell’Europa del rinascimento e del secolo dei lumi come un valore e un’eredità universale, vale a dire che appartiene a tutti gli esseri umani. Prova ne è il fatto che su 53 paesi africani, 50 hanno una legislazione laica che è la stessa base dell’Unione Africana.

Rifiutiamo il fatto che voi ci spingiate con ogni mezzo nelle riserve identitarie di tipo spirituale. Nessuna società, nessuna repubblica, nessun regno s’è sviluppato grazie alla religione.

Anche noi africani ne siamo coscienti.

Il momento in cui gli europei sono stati dominati tutti dalla spiritualità è stato nei 1000 anni del Medioevo che quasi all’unisono è stato descritto come il millennio della morte culturale e intellettuale dell’Europa (F. REVEL).

Gli africani hanno già abbastanza difficoltà nella loro transizione dalla religione naturale del culto degli antenati di tipo neolitico alla laicità dei tempi moderni per meglio cogliere le opportunità della logica e della ragione scientifica per lo sviluppo del nostro continente. Per piacere non complicateci questo compito.

8- NAZIONALITA’ FRANCESE E CITTADINANZA EUROPEA

Durante la conferenza che ha tenuto alla Sorbona l’11 marzo 1882 intitolata: « Che cos’è la Nazione?» il filosofo Ernest Renan, padre della cittadinanza francese, affermava che da molto tempo il francese di ceppo puro è scomparso da molto a causa di incroci vari. Fustigava coloro che come lei continuano a fare una classificazione di razza che definisce « classificazione zoologica ».

Renan denunciava il monolotismo prussiano (tedesco) il cui orientamento puntava alla classifica animalesca della razza umana dividendo gli esseri umani tra roditori e carnivori, e che, prevedeva il filosofo nel 1882, avrebbe certamente portato la Prussia ad una guerra di sterminio.

Le due guerre mondiali gli hanno dato ragione.

E’ necessario oggi avere un sesto senso alla Renan per prevedere che il Suo modello di società alla prussiana di dividere i francesi in modo zoologico tra roditori (vecchi francesi e supposti di ceppo puro) e carnivori (nuovi francesi e supposti criminali) non potrà che concludersi con una guerra di sterminio?

Sarebbe, aveva concluso Renan, « la fine di questo miscuglio fecondo, composto di elementi numerosi e tutti necessari, che si chiama umanità » e che ha fatto la Francia.

Signor Presidente, cos’è che non Le piace di questa Francia?

Non è arrivato il momento per battersi affinché si realizzi piuttosto una vera cittadinanza europea?

Vale a dire che dobbiamo riappropriarci della cittadinanza dell’impero romano di diritti che era molto più evoluta di tutte le nostre barzellette dei giorni nostri con dei passaporti cosiddetti europei solo perché hanno tutti lo stesso colore bordeaux e i caratteri tipografici dello stesso tipo come se si trattasse di colori per divertire i bambini della scuola materna e non uno strumento che dovrebbe sottintendere diritti e doveri derivanti dalla residenza come sapevano fare bene i nostri antenati dell’impero Romano.

9- FRANCOFONIA O UNIONE EUROPEA ?

Il 24 ottobre 2010 si è concluso nella città svizzera di Montreux la 40ma riunione dei capi di stato della francofonia. Ho avuto voglia di porle una domanda molto semplice: a che serve questa cosa qui? Perché non l’ho mai capito. E’ forse l’espressione di un monolitismo linguistico e culturale?

Io sono originario del Camerun, l’unico paese africano che ha il francese e l’inglese come lingue ufficiali. Posso assicurarle che parlare abitualmente queste due lingue ha trasformato la mia vita e aggiungendo anche altre due lingue europee oltre a una lingua asiatica mi hanno permesso uno sviluppo culturale ineguagliabile.

Se parlassi solo il francese il mondo sarebbe stato più grigio, troppo blando ai miei occhi.

A meno che l’interesse per quest’istituzione non risieda in ciò che Jean-Jaurès dichiarava nel 1884: « Per la Francia, la lingua è lo strumento necessario alla colonizzazione… Più scuole francesi aiuteranno i coloni francesi nel loro difficile compito di conquista e d’assimilazione ».

Avrei compreso se lo spazio della francofonia fosse un luogo per la libera circolazione delle idee, della cultura e quindi degli uomini. Tuttavia lei ha sempre cercato di fermare i cantanti, gli scrittori e gli intellettuali africani e impedirli di circolare liberamente verso la Francia col pretesto che erano troppo poveri e che avrebbero invaso la Francia. Queste sono le sue parole.

Cercherò di dimostrarle che questo argomento non regge.

Questa è la lista di alcuni paesi i cui cittadini possono entrare in Francia senza visto: Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Costa-Rica, Guatemala, Honduras, Messico, Nicaragua, Panama, Paraguay, Salvador, Uruguay e Venezuela.

Avrà notato lei stesso che non c’è neanche un paese africano in questa cosiddetta lista « bianca » stabilita dall’Union Europea col regolamento (CE) n°539/2001 del 15 marzo 2001 sulla base di 3 criteri: immigrazione clandestina, ordine pubblico e Sicurezza.

In altre parole su 53 stati africani nessuno rispetterebbe questi criteri? Per quanto riguarda il primo, lei ha mai visto nelle sue statistiche un sans-papiers dello Zambia? O del Botswana? Della Namibia? Lei ha mai espulso per clandestinità un solo cittadino fuoriuscito dal Lesotho o dallo Swaziland?

Per gli altri due criteri mi rimetto alla sfida di provarmi che in tutta la storia coloniale e postcoloniale della Francia con l’Africa ci sia una qualsiasi traccia di una bomba piazzata in Francia da un senegalese, un cittadino del Mali o un congolese.

Lei capirà bene che l’unica ragione di quest’obbligo di visto per 53 paesi africani non si giustifica in altro modo se non con un razzismo istituzionale europeo contro gli africani, razzismo accolto da un sempre più importante numero di dirigenti di destra come lei.

Allora che senso ha tutto questo teatrino della fraternità della francofonia se la domanda  di un visto d’ingresso per la Francia da parte di un cittadino del Benin evidenzia un percorso da incubo mentre un disoccupato qualsiasi dell’Honduras può andare a cercare lavoro a Parigi senza visto?

Le propongo di avere il coraggio di sciogliere l’istituzione della francofonia.

Il 26 maggio 2009 durante l’inaugurazione della base militare francese di Abu Dabi (Emirati Arabi Uniti) lei si è rivolto a un militare francese in lingua inglese. Questo vuol dire che in qualche modo lei ha dimostrato che neanche lei crede a questa francofonia. Perché non redigere una volta per tutte il suo atto formale di decesso?

Mi ritrovo obbligato a citare ancora Ernest Renan che ha scritto: « La lingua invita a riunirsi, non a unirsi (…) la Svizzera, così ben fatta, poiché è stata creata dal sentimento delle sue diverse componenti, conta tre o quattro lingue. C’è nell’uomo qualcosa di superiore alla lingua: è la volontà. La volontà della Svizzera di essere unita malgrado la varietà dei suoi idiomi è un fatto molto più importante di una somiglianza spesso ottenuta con delle prepotenze ».

Le devo manifestare un reclamo: signor Presidente, la prego di impegnarsi nelle procedure per far sì che la Francia rinunci al suo seggio di membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU a vantaggio dell’Unione Europea. Sarebbe un gesto che la farà entrare nella storia con la S maiuscola, dalla porta principale e che darà all’Unione Europea quel ruolo di faro che è capace di assumere agli occhi degli altri popoli.

Ciò contribuirà a semplificare la riforma delle Nazioni Unite affinché si adatti ai tempi e a dotarsi dei mezzi adeguati per affrontare i problemi del nostro secolo.

In quattro mesi lei ha promesso 4 volte ai capi di stato africani a Nizza, a Parigi, a New-York e a Montreux di usare il suo peso per permettere ai paesi africani di ottenere uno o due seggi al Consiglio di Sicurezza. La ringrazio signor Presidente a nome degli africani, ma che cosa vuole in cambio?

In parole povere quali sono i suoi veri interessi? Sono essi compatibili con quelli degli africani? E cosa dire del fatto che lei ha totalmente ignorato la richiesta avanzata dagli stessi africani nel difendere il loro interesse, cioè quello di rivendicare un seggio, e non due, per tutta l’Unione Africana nella sua interezza.

Se l’Unione Europea seguisse l’Unione Africana in questo percorso prendendo il posto del seggio francese, ciò contribuirebbe alla democratizzazione delle istanze che dovranno assicurare la Governance Globale.

Così si creerà un Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che rassomiglierà a un direttorato democratico di una vera Assemblea dei Popoli e non solo un gruppo di paesi scelti sulla base della forza.

Una siffatta assemblea sarebbe molto più efficace nell’affrontare i problemi al loro nascere poiché sarebbe dotata di un vero potere di decisione legittimata dall’essere rappresentativa del pianeta.

10- INTELLETTUALI PIU’ RAZZISTI DEL RESTO DELLA POPOLAZIONE

Siamo abituati a pensare che più gli individui hanno un livello culturale basso e più sono portati ad avere dei pregiudizi e a detestare ciò che non è conforme al loro standard abituale.

Tuttavia in Francia abbiamo l’impressione che si verifichi l’opposto e che più le persone siano acculturate più utilizzino il potere della loro cultura per spingere il resto della popolazione a sopraffare coloro che sono diversi. In un paese come la Francia la normalità è: essere Ricco, essere un Uomo, essere un Bianco, e essere Giovane.

Nel momento in cui non si rientra in questa categoria d’individui, non ci sarà alcuna gara equilibrata in cui si potrà parlare (…) di uguaglianza nelle possibilità o di giustizia sociale senza una minima correzione da parte del potere pubblico.

E’ per permettere che la corsa dei 100 metri non inizi con dei concorrenti che partono con 50 o 90 metri di vantaggio che lo Stato deve intervenire con delle misure correttive, senza le quali si tratterebbe di una corsa truccata sin dall’inizio.

E’ ciò che il governo americano ha fatto per accompagnare i diritti civili dei neri, cioè l’AFFIRMATIVE ACTION. L’obiettivo era di passare da un’uguaglianza formale, descritta nei testi, a un’uguaglianza reale dei Neri.

In Francia gli intellettuali hanno deciso di fare una traduzione volutamente razzista: DISCRIMINAZIONE POSITIVA. La parola discriminazione è per definizione un vocabolo negativo e tutti coloro che lo usano in Francia tendono a spiegarci che ciò è contrario tanto ai princìpi repubblicani della Francia quanto all’applicazione al nostro paese. Questa difesa della Repubblica non è altro che polvere negli occhi che serve a nascondere i privilegi ben protetti del gruppo dominante.

Signor Presidente non è la nomina di un prefetto africano che cambia il risultato. E’ solo l’albero che nasconde la foresta. In democrazia, meno del 2% dei posti sono elettivi. E anche quel 2% di posti che dipendono dal voto popolare sono selezionati in modo non democratico. Il restante 98% dei posti non sono altro che nomine. E’ a questo livello che si constata o meno la volontà politica di correggere le tendenze maggioritarie della popolazione che per principio sceglie ciò che è meno lontano dal gruppo nel quale si identifica. Così è ponendoci la questione sul numero di ambasciatori d’origine africana, di generali dell’esercito d’origine africana, di direttori di grandi imprese pubbliche d’origine africana, come la televisione, le banche, ecc… che possiamo concludere che senza dubbio esiste un razzismo di Stato in Francia. L’AFFIRMATIVE ACTION interviene a questo livello per correggere le ingiustizie escludenti proprie di tutte le democrazie di tipo maggioritario.

Cosa vuol dire la parola ESPATRIATO? E’ un’espressione che fa parte del vocabolario degli intellettuali razzisti che si vedono a priori una razza superiore nel momento in cui si recano in Africa. Come spiegare altrimenti che lo stesso impiegato che un qualsiasi gruppo francese invia in Canada non si chiama espatriato ma nel momento in cui mette piede in Africa, diventa un ESPATRIATO. Se venisse spostato in Giappone, una volta lasciata l’Africa, cesserebbe di essere un Espatriato. Tuttavia esiste una parola ufficiale scelta dalle Nazioni Unite per definire qualsiasi persona che vive al di fuori del suo paese per un anno o più: MIGRANTE.

La mediatizzazione dell’immagine del nero associato all’AIDS, alla morte e a tutto ciò che può essere negativo è molto intenzionale.

Un esempio: ci sono stati 2.995 morti di cui 343 pompieri nell’attacco alle due torri gemelle del Wall Trade Center di New-York l’11/9/2001, nel paese più mediatizzato del mondo, si è vista l’ombra di un solo cadavere, d’un ferito o di un braccio? NO. Sa perché? Perché c’è il rispetto dei cadaveri, il rispetto delle vittime.

Un’epidemia di colera colpisce Haiti, ecco un’ondata di cadaveri di Neri ammassati per terra e con dei commenti incredibilmente offensivi che l’autore delle immagini accompagna dall’alto della sua superiorità razziale e perché no, divina.

In cosa un cadavere a New York vale più d’un altro a Port-au-Prince?

E che dire delle ONG europee che hanno fatto la loro fortuna sulle nostre miserie e che hanno tutto l’interesse a lanciare al mondo l’immagine delle vittime africane violando la dignità dell’intimità di un cadavere, d’un essere umano, sia pur esso un povero africano.

E’ scioccante e offensiva questa messa in scena della miseria altrui.

La invito signor Presidente a prendere delle misure (non solo per vietare, come già si fa, per i francesi) al fine di rendere possibile tradure in tribunale  gli autori di tali pubblicazioni in Francia.

CONCLUSIONE

Signor Presidente, noi non siamo una Racaille (feccia). 1000 anni di schiavismo arabo, 400 anni di schiavismo europeo e 150 anni di colonizzazione europea non sono stati sufficienti per uccidere in noi l’istinto di sopravvivenza che caratterizza qualsiasi essere umano che subisce violenze e umiliazioni.

Per forza di cose abbiamo imparato ad asciugare le lacrime provocate dai vostri insulti, a cicatrizzare le piaghe causate dalle vostre violenze psicologiche e poliziesche.

Sin dai tempi remoti siamo caduti 10, 100, forse 1000 volte al giorno, spinti dalle vostre fruste, poiché per voi era la sola lingua che ascoltavamo e siamo sempre riusciti a risollevarci.

Ci avete amputato un braccio o un piede perché non avevamo ragiunto le quote giornaliere di produzione di banane, di cotone o di caffè e noi non abbiamo mai smesso di perdonare la vostra follia omicida.

Se per reazione non abbiamo sviluppato un’uguale violenza, non si tratta d’un segno di debolezza, ma di forza, di forza psicologica e la storia non ci ha forse dato ragione? Poiché vede signor Presidente, la vera forza non consiste unicamente nella capacità degli esseri umani di affrontare le sfide più difficili, ma soprattutto a non lasciarsi dettare la propria linea di condotta, il proprio comportamento dalla violenza altrui.

Se per lei questo significa non entrare nella storia come lei l’ha insinuato nel suo famoso discorso di Dakar, sì signor Presidente noi preferiamo non entrare nella vostra storia in cui il valore e la gloria si misuravano in base alla violenza e alla capacità distruttrice impiegata.

Avete sostituito i nostri nomi con « uomo di Colore », l’unica razza al mondo che gode di una siffatta attenzione. E noi non ce ne siamo mai lamentati. Siamo stati chiamati « Sale nègre » (sporco negro) e siamo rimasti impassibili. Siamo stati deportati e abbiamo reagito a mala pena. Siamo stati castrati perché eravamo considerati una razza inferiore, ma abbiamo continuato a partecipare al pellegrinaggio alla Mecca.

Nel 1452, il papa Nicola V che autorizzava il re Alfonso V del Portogallo a deportare i primi neri della Guinea verso l’Europa, dichiarava che noi eravamo degli animali e che noi non avevamo anima, tuttavia abbiamo continuato a riempire le chiese.

Ci è stata imposta l’apartheid nella nostra stessa terra e abbiamo continuato a tendere la mano dell’amicizia. Sicuramente per lei questa è la prova della nostra stupidità. Al contrario, il nostro silenzio, la nostra mano tesa e sempre rifiutata è la sola opportunità che ha evitato la nostra scomparsa. E’ la nostra vera forza che ci fa continuare a sorridere nonostante tutto il peso della miseria e dell’umiliazione che ci opprime.

E’ per caso troppo pregarla di non continuare a insultarci, a umiliarci, a crocifiggerci per i suoi calcoli politici?

Nella speranza di leggere presto una sua risposta, le rivolgo signor Presidente della Repubblica Francese l’espressione della mia più alta considerazione.

6/11/2010
Jean-Paul Pougala (pougala@gmail.com)

(professore di Geopolitica e di Sociologia all’Université de la Diplomatie di Ginevra).

Traduzione italiana di Piervincenzo Canale per www.africanews.it (se decidete di ripubblicare quest’intervista siete pregati di citarne la fonte e linkare a www.africanews.it)

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